«Sei impazzita? Sai bene che non puoi entrare nella camera del padrone senza il suo permesso!» la sgridò Lucille. «E poi, non credo che James si trovi qui dentro, il signorino sa bene che cosa gli potrebbe succedere se suo padre lo trovasse nella sua stanza.» alzò leggermente la voce, facendo in modo che il piccolo nobile la potesse sentire. «Lo farebbe stare una settimana intera senza una goccia di sangue.»
«Dobbiamo ugualmente trovarlo.» disse seccata Sabrina, per nulla sospettosa che l’umana le stesse mentendo.
«Forza andiamo.» disse Lucille e infine le due schiave si allontanarono.
Il ragazzino dai capelli dorati uscì da sotto il letto, Lucille aveva ragione, suo padre sapeva essere molto severo con lui, anche per il più piccolo errore l’avrebbe punito, figuriamoci per questo. Il giovane predatore arrivò alla porta di legno, aprendola leggermente. Con il suo olfatto sviluppato, poté star certo che non ci fosse alcun umano nelle vicinanze e incominciò a camminare lentamente, tentando di non produrre troppi rumori che l’avrebbero potuto far scoprire e fargli perdere il gioco. Scendendo silenziosamente le scale che portavano al primo piano, arrivò nell’immenso soggiorno e adocchiò la porta d’ingresso. Improvvisamente gli venne un’idea, anche se pericolosa, non era mai uscito dalla villa senza essere accompagnato da suo padre o da un servitore, non gli erano ancora stati concessi tutti questi privilegi…ma voleva rischiare. Con la mano destra, cercò il ciondolo che portava alla catenina allacciata al suo collo, si trattava di una semplice piuma fatta di argento e anche se si trattava di un modesto oggetto, per James essa possedeva un valore inestimabile dato che apparteneva alla sua defunta madre. Quand’ella morì, suo padre distrusse tutto quello che gli avrebbe potuto far ricordare la vampira un tempo da lui amata e d’allora divenne chiuso in sé stesso, diventando violento nei confronti degli umani e anche nei confronti del suo unico figlio. Il piccolo James riuscì a salvare la collana che costudiva un potere immenso, infatti, questo piccolo ciondolo, anche se era fatto di un materiale dannoso per la sua specie, era in grado di proteggerlo dai raggi mortali del sole, senza nuocergli la pelle con il suo materiale argentato.
James si avvicinò alla porta che lo avrebbe condotto verso la libertà, guardò dietro di lui, troppo timoroso che il suo piano potesse fallire, rimanendo per vari secondi in quella posizione. Dopo attimi di esitazione, riuscì a convincersi, portando la sua attenzione verso la maniglia della porta principale e, facendo pressione su di essa, riuscì ad aprirla, permettendogli di uscire dall’abitazione. Il sole era completamente coperto dalle nuvole grigie e la foresta che si affacciava davanti alla sua abitazione, sembrava ancora più oscura grazie all’assenza di luce. Egli corse senza una meta precisa all’interno del bosco con la sua velocità vampiresca, sentendo l’adrenalina scorrere nel suo corpo minuto.
Il vampiro dai capelli dorati rallentò i suoi movimenti quando incominciò a scorgere qualcosa oltre gli alberi e incuriosito si avvicinò. «Che cos’è?» gli venne spontaneo da chiedersi, anche se sapeva che nessuno gli avrebbe potuto dare la risposta che cercava. Si trattava di una costruzione fatta in cemento, di forma quadrata ed essa era sui toni del grigiastro. Sentì delle urla di dolore e infine un odore che lui conosceva fin troppo bene, era uno dei suoi preferiti e di conseguenza, i suoi occhi azzurri si tinsero di un colore scarlatto. L’inesperto predatore, incominciò a girare attorno alla struttura, notando che su uno dei lati del quadrato, quasi vicino al suolo, si trovava una crepa, grande quanto una mano. La osservò incuriosito, e dopo una manciata di secondi udì qualcuno avvicinarsi verso la sua direzione. «Chi è la?» e dopo aver formulato quella domanda, i passi cessarono.
«Chi sei tu?» gli domandò l’altro con arroganza.
Quella che sentì James non fu la voce profonda di un essere umano adulto, essa era acuta, simile alla sua. «Sono stato io il primo a chiedertelo.» disse all’essere umano di cui non riusciva a intravedere il corpo.
«E va bene.» dalla piccola crepa uscì una mano minuta che sul davanti possedeva due evidenti cicatrici. «Sono Newt, piacere.» la mano rimase penzolante, aspettando d’essere stretta.
Il biondo non si fidava del bambino che si trovava all’aldilà del muro, così decise di non dire il suo vero nome. «Alexander, piacere mio.» fece unire le due mani dalle temperature contrastanti.
«La tua pelle è così fredda.» l’umano gli studiò la mano con le dita. «Priva di qualsiasi graffio.» Newt ritirò sgarbatamente la sua mano. «Non sarai per caso uno di quegli esseri succhia sangue?»
Il biondo fu preso alla sprovvista. «N-no.» disse incerto, non essendo abituato a mentire.
«Dimostramelo.» lo sfidò. «Come mai la tua pelle sembra così liscia e morbida?»
«Perché…perché io lavoro nella servitù» tentò di inventarsi qualcosa. «E i miei padroni non praticano alcun tipo di violenza su di me.» sperò d’aver convinto l’essere umano.
«È la verità?» l’umano voleva essere certo di non star parlando con un vampiro.
«Si.» James tentò di far apparire le sue parole veritiere.
Newt si rilassò. «Perdonami per il mio comportamento di prima, è solo che…non sopporto quelle mostruose creature.» si scusò, il che era molto strano che lo facesse.
«Oh no figurati…» disse velocemente il vampiro. «Nemmeno io le sopporto.» Dopo essere stati invasi da un silenzio imbarazzante, il biondo parlò. «E dimmi, che cos’è questo posto?» la curiosità prevalse sulla sua persona.
«Come fai a non saperlo?» ridacchiò Newt, credendo che l’altro stesse mentendo, ma il silenzio gli fece capire il contrario. «Davvero non sai che cos’è tutto questo?» James annuì. «Beh caro Alexander, ti presento l’inferno in cui sono imprigionato.» l’umano allargò teatralmente le braccia, anche se sapeva di non poter essere visto.
«Imprigionato?» gli chiese confuso il ragazzino dagli occhi insanguinati «Che cosa vi fanno in questo posto?» chiese, ignaro degli orrori di quel luogo.
«Qui dentro accadono cose orribili Alexander. Fidati, sei fortunato nell’essere un semplice maggiordomo.» credette alla sua menzogna. «Qui rischiamo di morire ogni singolo secondo della nostra vita.» James tentò di immaginare che cosa potesse avvenire all’interno di quelle mura e Newt gli diede subito la spiegazione che stava cercando. «Per loro siamo soltanto delle riserve di cibo.» strinse i denti. «Ogni sei settimane, se non di meno, quegli esseri vengono a prelevare il nostro sangue.» fece una pausa. «Ci trattano come se fossimo delle bestie da macello.»
Al vampiro tornò in mente tutte le volte in cui il padre lo viziava, dandogli un bicchiere intero di sangue umano. Talvolta James ne richiedeva anche un altro, non interessandosi per nulla sulla provenienza di ciò che mangiava.
«Come ti sei procurato quelle cicatrici?» domandò, cambiando completamente argomento, essendo la riposta che attendeva di più.
Newt si guardò la mano destra, facendo un respiro profondo. «Oh beh, una volta un vampiro.» pronunciò l’ultima parola con molta riluttanza. «Stava soddisfacendo il suo palato con un bambino…il piccolo stava urlando, non voleva morire, ma quel mostro sembrava che avesse le orecchie otturate…io…non volevo restare a guardare, non potevo, così l’ho aggredito.»
James spalancò gli occhi, la sua razza era nettamente superiore alla sua, come poteva essere stato un essere umano così sciocco? «Spero che tu stia scherzando.»
«No, affatto.» continuò. «I suoi compagni riuscirono a fermarmi e decisero che meritavo una punizione. Mi legarono le mani a un tronco di un albero e incominciarono a frustarmi la schiena.» fece una breve pausa, rammentando quella scena. «Quando ebbero finito, il vampiro si avvicinò a me…la sua faccia era vicinissima alle mie mani e mi chiese se avevo imparato la lezione…tentai di strozzarlo.» James lo definì di nuovo uno sciocco mentre Newt continuò la sua storia. «Ovviamente non fu contento della mia risposta e ripresero a frustarmi ma questa volta sulle mani, con molta forza.»
«Ha fatto molto male?» dopo aver formulato quella domanda James si diede dello stupido da solo.
«Abbastanza.» disse semplicemente. «E tu invece?» chiese all’improvviso Newt.
«Che cosa?»
«Sei mai stato punito?» lo prese alla sprovvista con quella domanda.
James non poteva di certo dirgli che il padre Luchan, dopo la scomparsa della compagna, divenne abituale nel punire quotidianamente il figlio, anche per le cose più banali. Una delle sue punizioni preferite erano le frustate, ma non con una semplice frusta, essa era stata immersa in un materiale dannoso se non mortale per i vampiri, l’argento. Quando suo padre la prendeva dalla cristalliera del salone, doveva per forza indossare un guanto di pelle per non rischiare di bruciarsi e dopo aver portato il figlio in camera sua, ordinava al piccolo di inginocchiarsi, facendogli togliere la parte superiore degli indumenti. «Devi imparare.» si giustificava, prima di far schioccare la frusta sulla schiena del suo unico figlio. James doveva trattenere ogni volta le lacrime che minacciavano di uscire, accettando il suo orribile destino…oramai non rammentava più l’ultima volta in cui il vampiro maggiore gli aveva dato una carezza invece di un violento e sonoro schiaffo. «Conta.» gli ordinava, tentando di fargli capire quanto avesse sbagliato.
Il piccolo vampiro scosse la testa, volendo dimenticare quegli orribili episodi che si sarebbero verificati nuovamente. «No, nel senso sì, ma…non nel modo in cui intendi tu.»
«Capisco.» l’essere umano non volle insistere. «Ma io mi domando, come fai a non conoscere questo posto? Insomma, di solito i vampiri li prendono in questi luoghi i loro umani servitori. Se non provieni da un posto come questo…allora da dove vieni?» gli chiese il ragazzino che si trovava aldilà del muro.
«Io…» James si guardò attorno a sé, cercando qualsiasi cosa che lo potesse aiutare, purtroppo era circondato unicamente dalla natura, non poteva di certo dire che abitava sopra a un albero. «Io…sinceramente non lo so.» non riuscì a non dire la verità.
«Forse i tuoi padroni ti hanno preso quando eri molto piccolo, potrebbe essere questo il motivo per cui non lo ricordi.» tentò di aiutarlo l’essere umano e il biondo annuì, non sapendo che cosa inventarsi. «Tu quanti anni hai?» Newt gli stava rivolgendo tutte quelle domande per vedere se effettivamente si poteva fidare di quello che considerava un essere umano. Avrebbe tanto voluto vedere il volto della persona con cui stava parlando, sarebbe stato divertente vedere la sua faccia se avesse scoperto che il ragazzino dai capelli dorati era in realtà un vampiro, ma per fortuna questo non accadde…non ancora.
I vampiri erano esseri immortali, potevano essere uccisi soltanto attraverso un semplice paletto di legno. Stranamente crescevano in età giovanile come gli esseri umani, per poi rallentare la loro invecchiamento. «Compirò dodici anni tra un mese esatto, l’undici ottobre.» Il compleanno di James era in assoluto il suo giorno preferito.
Quando sua madre era ancora in vita, lei rendeva quell’evento il giorno più bello dell’anno e al tempo contribuiva anche suo padre. I domestici preparavano la zona picnic per lui e i suoi genitori, e per l’intero giorno bevevano soltanto sangue umano, nemmeno una traccia di quello animale, insomma, solo il cibo migliore per quel giorno speciale. Dopo la scomparsa della madre, suo padre non sorrise più e quel giorno non fu più felice. Ovviamente si celebrava ancora il giorno della sua nascita, vampiri di ogni dove venivano nella loro abitazione, ma ormai per Luchan il figlio era diventato solo un peso, ma non lo dimostrava mai in pubblico, soltanto quando si trovavano da soli.
«Tu invece?» domandò il vampiro.
«Io ho dodici anni, ma non ho idea di quando sia giorno della mia nascita.» disse Newt con leggerezza.
«Davvero? Non te l’hanno mai detto i tuoi genitori?»
Newt si tirò nelle spalle. «Non ho mai avuto l’occasione di incontrarli.»
«E non sei curioso di sapere che fine abbiano fatto?».
«Un tempo lo ero, ma poi mi sono reso conto che non avrebbe fatto alcun tipo di differenza.» rise delle sue disgrazie. «Tanto mi hanno ugualmente abbandonato e saperne il motivo non cambierà la mia situazione attuale.» Aveva solo dodici anni, a James venne quasi da piangere, non poteva immaginare che cosa avesse passato quel povero bambino. «Alcuni dicono che sia nato verso la fine di maggio, quindi mi piace pesare d’essere nato il trenta.» e dopo quelle parole, entrambi i nostri due protagonisti restarono muti.
Dopo poco, il silenzio che circondava i due ragazzini, fu squarciato da un forte tuono. «Forse è meglio salutarci Alexander.»
«Cosa? No, per favore.» lo implorò il vampiro, cercando di convincerlo e poi in lontananza si sentì il suono di una sirena.
«Mi spiace ma devo andare, sta per piovere e poi la mia pausa è finita…se non mi farò trovare saranno guai per me.» gli spiegò velocemente.
«Allora, posso ripassare?» il biondo era speranzoso di una risposta affermativa.
«Certo, io ho la pausa verso quest’ora ogni giorno. Se ti va, puoi ripassare domani.»
James fece un enorme sorriso, uno di quelli che credeva d’aver perso da tempo. «Si, senz’altro!» disse euforico, stava per andarsene quando la voce di Newt lo fermò.
«Fermo! Allora, amici?» il vampiro dagli occhi rossi non fece tardare nemmeno di un secondo la sua risposta.
«Con molto piacere! Arrivederci Newt.» detto questo, James si girò e se ne andò via, esaltando.
«Ciao…Alexander.» lo salutò Newt accennando un piccolo sorriso, anche se in realtà questo non era il suo nome. James sarebbe stato sorpreso nello scoprire anche l’altro bambino aveva mentito sul suo vero nome, il piccolo in realtà si chiamava Nathan.
Il ragazzino si abbassò, arrivando all’altezza della crepa che gli aveva permesso di parlare con Alexander fino a pochi secondi fa. I suoi occhi verdi, capaci di portare la felicità anche negli attimi più bui, cercavano di intravedere il ragazzino con cui aveva parlato, non trovandolo decise di alzarsi e di tornare al suo lavoro. I suoi capelli neri, scuri come la pece, vennero bagnati dalle sottili gocce di pioggia e la pelle chiara, oramai non più candida, venne bagnata dalle lacrime del cielo.
James e Nathan legarono molto nel corso degli anni, non riuscirono mai a vedersi in volto ma impararono a conoscere alla perfezione le loro voci. Nessuno dei due disse il suo reale nome e alla fine…fu questo che mise in funzione tutto.
Capitolo II
Ribellione.
Tre anni dopo.
«In piedi umano!» gli urlò contro Sebastian.
Il ragazzo dagli occhi verdi quel giorno non riusciva a reggersi in piedi, il motivo era che ieri, durante il prelievo, gli era stato tolto molto più sangue del solito. Inoltre, il loro pasto era misero, a lui e ai suoi compagni non era concesso di avere oltre il necessario per non morire di fame e affrontare una nuova giornata in quell’orribile posto. Nei vari campi di concentramento, sia uomini, donne, e bambini erano costretti a praticare i lavori forzati; anche se eri di giovane età, oppure in anni più avanzati, dovevi lavorare e guadagnarti il tuo misero pasto. Molte persone, a causa delle orribili condizioni in cui erano costrette a vivere, preferivano togliersi la vita, era quasi una cosa quotidiana e Nathan non poteva biasimarli.
Il ragazzo dai capelli corvini si trovava seduto su un ceppo di un albero morto, con la testa china e la schiena incurvata, e le sue braccia erano state lasciate a penzolanti lungo i fianchi del suo corpo. La camicia grigia, ormai rovinata, era quasi del tutto sbottonata e grazie ad essa era visibile il suo codice in alto a destra sulla clavicola. “1002-108” gli era stata fatta circa otto anni fa e attraverso questi numeri, i vampiri non dovevano sforzarsi nel ricordare il suo nome, bastava soltanto chiamarlo per il numero che gli era stato dato. Quando il codice gli fu assegnato, fu proprio Sebastian a marchiarlo, utilizzando un pugnale affilato. Nathan di quell’episodio rammenta soltanto il dolore, infatti, il vampiro utilizzò tutta la sua crudeltà per segnarlo e non si fermò nemmeno quando il bambino gli chiese pietà piangendo.
Nathan, ormai quindicenne, voleva soltanto riposarsi per qualche minuto. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente, aveva il fiato corto, quel giorno non riusciva nemmeno a svolgere i suoi soliti lavori e mentre stava per chiudere gli occhi, sentì la sua guancia sinistra andare in fiamme e la sua faccia girarsi verso il lato opposto.
«Ho detto in piedi, maledetto!» gli sbraitò contro il vampiro dagli occhi scuri e Nathan sospirò, facendo come gli era stato ordinando. «Quando ti ordino di fare qualcosa tu la devi fare senza perdere nemmeno un secondo della tua patetica esistenza, hai capito moccioso?» lo spinse.
Nathan ormai rammentava la crudeltà di Sebastian fin dall’infanzia. «Si.» disse il quindicenne con la più totale indifferenza, guardando gli occhi senza vita del vampiro.
«Che cosa hai detto contenitore?» all’essere umano venne quasi voglia di sputargli in faccia, non riusciva a sopportare il soprannome con cui lo aveva chiamato. Contenitore, era uno dei tanti nomignoli che utilizzavano i vampiri quando si rivolgevano alla sua specie.
«Si, signore.» l’umano scandì bene le parole, così da rendere felice il vampiro dai capelli chiari.
«Sebastian, c’è qualche problema?» gli domandò improvvisamente Cristian, un altro vampiro.
Sebastian sembrò quasi impaurito dalla figura dell’altro. «No.» si inumidì le labbra cadaveriche, dando una veloce occhiata a Nathan.
«Non ti stai facendo rispettare da quest’umano?» gli domandò quasi scherzando. «Devo pensarci io?» gli chiese con tono minaccioso, rammentandogli il loro patto.
Sebastian tentò di mantenere la calma. «N-o Cristian.» afferrò il ragazzo quindicenne per la spalla sinistra, affondando le unghie nella carne calda del giovane umano, Nathan fu sicuro che il suo sangue stesse bagnando le dita di quel mostro.
Cristian fece un sorriso di soddisfazione e si avvicinò al suo collega vampiro. «Non vorrei che la storia si ripetesse.» e Sebastian si perse tra i dolorosi ricordi. «Quanto a te.» si rivolse all’umano. «Questa volta non ti punirò.» Nathan dovette trattenersi nel non rispondergli con un grazie sarcastico. «Anche se lo meriteresti…contenitore» e dopo aver pronunciato quel crudele soprannome, lo prese per il collo, facendo mancare a Nathan il respiro per qualche istante. «Quindi ho deciso che domani riceverai la punizione che meriti.» lo lasciò, e dopo aver comunicato la sua decisione, Cristian guardò con uno sguardo severo Sebastian, per poi andarsene.
Sebastian lo lasciò, osservandolo per qualche istante. «Va a lavorare.» se ne andò.
Il giovane dalla pelle cicatrizzata non ebbe tempo di decifrare lo strano comportamento del vampiro, infatti, dopo pochi attimi, si sentì il suono della sirena, ciò significava che un’altra ora era passata. Nathan fece un veloce calcolo delle ore che erano già trascorse, rendendosi conto era arrivato il momento della sua pausa…il che significava solo una cosa. Tutto il dolore che provava scomparve magicamente, si diresse verso il suo solito posto, facendo attenzione a non farsi notare. Si sedette sull’erba secca, attendendo il suo amico Alexander, scoprendo la crepa che aveva nascosto con un cespuglio. Aspettò impazientemente l’arrivo del suo caro amico, non avevano parlato per molti giorni e Nathan temeva che a Alexander fosse successo qualcosa di terribile. Per far passare i lunghi minuti che stavano trascorrendo, incominciò a strappare vari fili d’erba e si fermò soltanto quando sentì dei passi aldilà del muro.
«Newt?» lo chiamò James, sedendosi al suo solito posto.
«Guarda un po’ chi si fa vivo dopo tanto tempo.» dopo aver pronunciato quelle parole, l’umano vide spuntare dalla crepa delle mani pallide con al loro interno delle fette di pane.
Era l’unica cosa commestibile per gli umani che era riuscito a trovare il giovane vampiro. «Un modo per farmi perdonare.» sorrise il biondo, anche se sapeva di non poter essere visto. James non poteva di certo dire a Newt che non era andato a trovarlo nei giorni scorsi perché era stato frustato a sangue dal padre, il motivo era perché si era rifiutato di uccidere una delle loro schiave umane. Un tempo quella donna era una delle preferite del padre, ma Luchan, era ormai stufo di lei, ordinò al figlio di ucciderla, avvisandolo che la schiava sarebbe morta o per mano sua o per quella dell’inesperto vampiro biondo.
James si rifiutò e Luchan mantenne la parola data. Quando affondò i suoi canini nel collo della ragazza di nome Sara, la giovane tentò con tutte le sue forze di liberarsi, urlando e scalciando, ma nulla di tutto questo la allontanò dal suo orribile destino. Fu un grande trauma per il vampiro dagli occhi color ghiaccio, provava una sorta di pietà nei confronti della ragazza e non fu facile per lui vedere il sangue di Sara colare dalla bocca del padre. Dopo che la servitù pulì i segni del brutale omicidio che si era appena consumato, Luchan prese la sua arma preferita, e tentò di far capire a James il suo errore con l’unico metodo che conosceva.
Nathan, ignaro dell’accaduto, prese immediatamente il pane e incominciò a mangiarlo velocemente.
«Prego Newt» ridacchiò quello che si fingeva un essere umano.
«Oh perdonami, non so davvero come ringraziarti Alex.» non era la prima volta che il nobile portava del cibo allo schiavo sempre affamato.
«Sai che per me è un piacere non sentire i tuoi lamenti sulla fame.» lo prese in giro il biondo.
«Come mai non sei venuto in questi giorni? Hai idea di come mi sia annoiato?» gli chiese Nathan continuando a mangiare.
James era preparato a questa domanda, oramai era diventato bravo a mentire al suo unico amico. «I miei padroni mi hanno dato molto da fare in questi giorni e non mi hanno permesso di uscire.» l’essere umano gli credette. «Tu come sei stato durante la mia assenza?»
Alexander detestava quando Nathan si cacciava nei guai, così l’umano preferì mentirgli. «Non è accaduto nulla di interessante.» finì il suo pasto.
«Newt dimmi la verità, ci conosciamo da anni ormai.» oramai aveva imparato a riconoscere perfettamente i diversi toni di voce dell’amico, sia quando mentiva e sia quando diceva la verità e quel giorno, da quando era arrivato, si era accorto che la voce dell’umano era fin troppo debole.
«E va bene, ieri ci hanno fatto il solito prelievo, ma nulla di cui preoccuparsi.» Nathan disse metà di cosa era realmente accaduto.
«Newt.» Alexander non credette alle sue menzogne.
«Non ti sfugge mai niente vero Alex?» sentì l’amico ridacchiare.
«Purtroppo, no. Allora, cos’altro è successo?»
Nathan sbuffò, arrendendosi. «Durante il prelievo mi hanno tolto più sangue del solito e per questo sono un po’ più debole.»
«Che cosa?» James quasi urlò.
«Stai tranquillo, mi sento già meglio adesso.» Nathan tentò di tranquillizzarlo, ottenendo l’effetto contrario.
«Mi è difficile crederti.» il vampiro abbassò il capo, cose del genere non accadevano raramente, anzi, più spesso di quanto James era stato messo al corrente.
«Fa come ti pare Alex, sai che non posso decidere io queste cose, ne abbiamo già parlato.» disse Newt, non volendo continuare il discorso.
«E se per caso un giorno…» James venne interrotto.
«La vuoi smettere? Sai che detesto parlare di queste cose!» gli urlò l’umano contro.
James sapeva benissimo di quanto Newt detestasse parlare di quello che gli sarebbe potuto succedere in quel campo. «I-o…» balbettò il vampiro.
«Credi che io sia così ingenuo Alex? So benissimo, molto meglio di te, che potrei morire in qualsiasi momento!» si fermò per qualche istante. «Forse domani, forse tra una settimana, forse tra un mese, forse tra un anno…che differenza fa?» anche quando erano più giovani, Nathan tentava sempre di non introdurre mai l’argomento e quando accadeva, cambiava completamente atteggiamento, diventando esattamente come in questa scena.
«Scusami.» fu l’unica cosa che James fu in grado di dire.
In quel momento Nathan gli avrebbe voluto dire tante cose, cose poco piacevoli da udire, ma non lo fece. Chiuse semplicemente gli occhi e incominciò a contare, facendo lunghi respiri profondi. «Uno.» fece il primo respiro, riempendo i suoi polmoni d’aria e dopo due secondi di apnea, espirò. «Due» incominciò a far calmare la mente. «Tre.» Ci fu il terzo respiro che lo fece rilassare definitivamente, aprendo subito dopo gli occhi verdi, adesso rilassati.
«Va meglio?» gli chiese il vampiro e sentì l’altro annuire.
«Perdonami.» disse il moro, leggermente imbarazzato.
«No, perdonami tu. Non avrei dovuto chiederti quelle cose.»
«Stai tranquillo, devi solo smetterla di pensarci.» James si chiese come Newt potesse prendere con tale leggerezza la sua situazione.
«Allora, sono perdonato?» chiese speranzoso il biondo.
«Certo, solo se la prossima volta mi porterai più cibo.» Nathan tentò di far alleggerire la tensione che si era creata tra loro due.
«Okay, lo farò.» ridacchio il vampiro quindicenne.
James vide sbucare la mano destra dell’umano. «Abbiamo un accordo? Guarda che non so se il mio stomaco riuscirà a perdonarti se fallirai.» il biondo afferrò la mano cicatrizzata.
«Tranquillo, quando mai ti ho deluso Newt?»
La voce del moro venne bloccata dal lungo suono che si sentì. «Accidenti.» Nathan si alzò.
«Di solito dura di più…» il vampiro avrebbe tanto voluto continuare a parlare con Newt.
«Sei tu che sei arrivato in ritardo.» lo accusò Nathan.
«Allora domani arriverò puntuale, promesso.»
Nathan si morse il labbro. «Alex…domani non possiamo incontrarci. Ho un…» tentò di inventarsi una scusa. «Ho un impegno.» non poteva di certo dirgli che doveva essere punito.
«Tu un impegno, sul serio?» chiese Alexander con voce molto seccata e Nathan annuì. «Lo sai che non mi piacciono le bugie.»
«Beh…oh e va bene!» il biondo sorrise vittorioso. «Devo essere punito.»
«Che cosa hai combinato?»
«Questa volta niente, è stato Sebastian a decidere tutto.» disse la verità, non sapendo che cosa inventarsi.
«Quanto odio quel vampiro.» strinse i denti il giovane predatore. «Un giorno riuscirò a portanti fuori di lì.» disse ostinato il nobile all’umano.
Nathan si rese conto del troppo tempo che stava trascorrendo. «Lo spero ma adesso devo proprio andare.» disse a malincuore. «Ciao Alex.» nascose la crepa con il cespuglio.
«Va bene, ciao Newt.» James si alzò, sentendo il suo unico amico allontanarsi.
Da quello che avete potuto leggere, il biondo e il moro avevano legato molto nel corso di quei tre anni.
James continuò a mentire a Newt fingendosi un essere umano. Come lo si poteva biasimare? Aveva soltanto paura di perdere il suo unico amico.
Nathan invece era stato molto sincero con lui, tranne su una cosa: il suo vero nome.
La situazione tra i due ragazzi rimase invariata. Le bugie di Alexander crescevano e il loro legame di amicizia cresceva sempre di più. Le cose continuarono così per un altro anno, finché un fatidico giorno cambiò i loro destini.
Capitolo III
Giudizio.
Un anno dopo.
«Che ore sono?» chiese il signorino James.
«Sono le 15:45 mio signore.» gli comunicò la sua schiava Marika, ancora debole per il sangue perso.
Il nobile si ricordò del suo appuntamento giornaliero. «Accidenti, sono in ritardo.» il biondo si ricordò della presenza della ragazza riccia nella sua stanza, notando i suoi occhi arrossati che era stato lui stesso a provocare.
«Come?» chiese la mora, asciugandosi le ultime lacrime.
«Puoi andare schiava, non mi occorrono più i tuoi servigi.»
La giovane quindicenne abbassò lo sguardo, osservando i suoi piedi penzolanti «Si, signorino James.» scese velocemente dal grande letto matrimoniale, sentendosi svenire. «Vi auguro una buona giornata.» si avvicinò con grande fatica alla porta della stanza e quando girò il pomello, essa venne sbattuta facendola richiudere. Marika non si girò, ma sentiva la presenza del suo padrone dietro di lei, notando la mano pallida del vampiro che aderiva al legno della porta.
«Perché sei così debole? Non ti avrò mica prosciugata…» gli chiese difendendosi. Il giovane dai capelli dorati, al contrario degli altri predatori, odiava doversi cibare dei propri schiavi, lo riteneva un gesto disumano.
«Non so di che cosa stiate parlando mio signore.» mentì la giovane.
Marika tentò di aprire la porta, ma fu tutto inutile. «Voltati.» le ordinò e la giovane ritentò la fuga.
«Signorino, lasciatemi tornare ai miei servizi, ve ne prego.» lo supplicò.
«Fa come ti ho ordinato schiava!» alzò leggermente la voce e la riccia non ebbe altra scelta se non eseguire ciò che le era stato imposto.
«Fammi vedere dove» ordinò il nobile e la ragazza sollevò la manica destra della sua divisa, scoprendo un morso ancora fresco. «Mio padre è stato a farti questo?» la ragazza annuì, chinando il capo e subito dopo delle lacrime fresche bagnarono il suo viso. Da quando la schiava Lucille era stata uccisa, nessuno poteva più proteggerla e quotidianamente i suoi padroni si cibavano di lei.
James guardò la ragazza con compassione, non capendo il perché di tale sentimento. Avrebbe dovuto odiare gli umani, provare disgusto per loro, ma si sentiva più legato alla loro razza impura che alla sua. Egli appoggiò la sua mano destra sulla guancia bagnata della ragazza e dopo il contatto tra due pelli dalle temperature contrastanti, la ragazza smise di piangere per lo stupore. «Desideri che ti liberi da tutto questo?»
«Se vi state prendendo gioco di me, mio signore, vi prego di smetterla.» lo implorò la ragazza.
«Non è nei miei piani, mia cara.»
La ragazza, confusa, alzò il capo e in quel momento non vide gli abituali occhi azzurri, bensì, essi erano di un colore simile allo scarlatto. «No.» scosse il capo. «La prego mio signore, basta.» disse spaventata. «Sono troppo debole.» supplicò la ragazza, cercando disperatamente la maniglia della porta che si trovava dietro di lei.
«Ferma immediatamente quella mano!» la urlò il vampiro, immobilizzandole il capo afferrandole il mento. «Non tentare mai più di sottrarti a me.» minacciò la giovane di sua proprietà, anche se odiava doversi comportare in quel modo.
«La supplico, solo per questo giorno, abbiate pietà di me» ma nonostante le numerose suppliche, James non si fermò. Il vampiro spostò i capelli scuri che coprivano la parte sinistra del collo della ragazza, scoprendone la pelle olivastra. «Il tuo odore…è sempre stato uno dei migliori al quale ho avuto il piacere di imbattermi.» non diede il tempo alla giovane di rispondere o di fare qualsiasi altra azione, infatti, dopo quelle parole, egli affondò i canini nel collo della giovane, facendola urlare di dolore, permettendo al nobile di raggiungere il suo scopo. Alzò improvvisamente il capo, fermando le sue azioni. «Il tuo sangue è…è così dolce.» guardò la schiava indifesa. «Ne voglio ancora.» le scoprì la clavicola sinistra, baciandole la pelle, preparandola al prossimo dolore che avrebbe dovuto sopportare.
«Fermatevi.» lo pregò tra i vari singhiozzi.
«Sh-h.» le appoggiò l’indice destro sulle labbra. «Non è giusto tenersi una tale prelibatezza per sé, sarebbe da egoisti…non credi?» morse la zona che aveva precedentemente baciato.
«Per favore, basta!» Marika gli diede dei pugni sul petto, ma la sua forza era pari a quella di una piantina appassita in confronto a quella del suo padrone. Il giovane dalla pelle pallida continuò a cibarsi anche quando incominciò a sentire il corpo della ragazza cedere. «La prego non lo faccia.» fu l’ultima supplica che udì il vampiro, finché Marika non ebbe nemmeno un briciolo di forza per far funzionare le sue corde vocali ma il nobile non si fermò, non poteva, sapeva che lui stava ascoltando.
Quando la giovane chiuse gli occhi, James si staccò e appoggiò il corpo per terra. Nella sua tenuta era frequente che il padre uccidesse i propri schiavi, ma era un caso più unico se non raro che ad ucciderli fosse il giovane vampiro. Durante una data fatidica, circa un anno fa, James si sporcò per la prima volta le sue candide mani. La giornata sembrava una come tante, era appena tornato dalla sua giornaliera visita da Newt quanto sentì delle urla. «Come hai osato!» urlò Luchan e subito dopo si udì una donna urlare e James riconobbe subito la voce. Nessuno degli schiavi presenti parvero scomporsi nell’udire tali urla, essi continuarono semplicemente le loro mansioni, troppi timorosi per la loro vita. Perfino Marika, la persona che Lucille considerava come una figlia, continuò a pulire con uno straccio i mobili della casa, avendo troppa paura della furia del padrone. L’unico che ebbe il coraggio di fare qualcosa fu il nostro protagonista vampiro che si precipitò nella stanza da dove si erano udite le due voci; quando raggiunse la sua destinazione, vide il padre che teneva ferma Lucille per le spalle, impedendole la fuga. I suoi denti affilati come rasoi erano affondati nella pelle scura della donna che stava lottando per la sua sopravvivenza.
All’improvviso Luchan schiuse gli occhi color scarlatto, accorgendosi della presenza del figlio, staccandosi dal collo di Lucille e facendola accasciare per terra. «Ben tornato James.» gli si avvicinò, calpestando, volontariamente, la mano della donna, facendola urlare di dolore.
«Che cosa state facendo padre?» domandò il biondo, osservando scioccato la scena.
«Beh figlio mio…» si sistemò i capelli scuri scompigliati, girandosi verso Lucille. «Quell’umana ha osato negarmi il suo sangue.» si riavvicinò alla schiava e le diede un calcio nello stomaco. «Alzati schiava, non ti ho concesso di riposarti!» le urlò.
«Si, mio signore.» disse Lucille e molto lentamente, eseguì l’ordine che le era stato dato.
James notò qualcosa nello sguardo del padre, come se avesse pensato a qualcosa e pochi secondi dopo, un ghigno dominò il volto di Luchan. «Avvicinati James.» il biondo fece come gli venne ordinato. «Tu conosci Lucille da tanto tempo, non è vero?»
«Si, è così padre.» rispose, non capendo il senso di quella domanda.
Luchan fece una teatrale risata. «Allora lascerò a te l’onore.» si mise dietro alla schiava.
«L’onore per che cosa?» James temette per la risposta che gli sarebbe stata data.
«Per ucciderla.» annunciò il vampiro dai capelli corvini, tenendo ferma Lucille da dietro per le spalle.
«Che cosa?» il biondo indietreggiò di pochi passi.
«Hai sentito bene James.» indicò con lo sguardo Lucille. «Non sei ancora riuscito ad uccidere nessun’umano in questi anni e questo non posso accettarlo.»
Il biondo scosse il capo, in segno di disapprovazione «Non posso.»
Luchan si innervosì. «Fallo!» urlò, spaventando la donna. «Sai bene che cosa ti succederà se non farai come ti dico.» lo minacciò.
Il giovane vampiro si convinse pensando alla frusta argentata del padre «Va bene.» si avvicinò a Lucille che stava tentando di liberarsi.
James osservò la sua futura vittima, rammentando i dolci ricordi che condividevano. Lucille fu sempre gentile con lui, non ebbe mai timore della sua vera natura e dopo la morte della madre, ella gli diede l’affetto che Luchan non fu mai in grado di dargli. Il padre fu messo all’oscuro del loro rapporto e gli altri schiavi non capivano come l’umana potesse provare affetto per quell’essere succhia sangue.
«Vedrai che sarà una sensazione bellissima.» lo incoraggiò il padre.
James lo guardò per un secondo, domandandosi come una persona potesse essere così crudele. «James ti prego…non lo fare.» lo pregò la schiava e il predatore riportò la sua attenzione sulla donna che stava per uccidere.
«Mi dispiace.» dopo aver pronunciato tali parole, il biondo divenne ufficialmente un assassino e mentre le urla di Lucille gli dominavano l’udito, James si accorse di star piangendo, un nobile come lui che piangeva nell’uccidere una schiava di sua proprietà, questa sì che era una rarità. Dopo poco, le urla cessarono, gli occhi di Lucille si chiusero definitivamente e quando James finì di cibarsi, si toccò le labbra, vedendo la sua mano sporca di sangue. Guardò il liquido rossastro per una manciata di secondi, finché non si accasciò per terra, prendendosi i capelli tra le mani.
Luchan accarezzò la testa del figlio, facendolo smettere di piangere per lo stupore. «Sono fiero di te James.» detto questo uscì dalla camera, ordinando alla servitù di portare via il corpo e di pulire la stanza.
James non si mosse della sua posizione per l’intera giornata, non poteva credere alle parole del padre, Sono fiero di te. In quell’orribile giorno, James capì una cosa importante…se avesse continuato a comportarsi come voleva il padre, forse non l’avrebbe più frustato e non avrebbe più vissuto la sua vita nel terrore. Infatti, dopo pochi giorni, le sue supposizioni si rivelarono esatte, Luchan era diventato più gentile con il figlio da quando sentiva spesso versi di dolore provenire dalla camera del vampiro…ma il biondo non uccise nessun altro umano dopo Lucille, non si sarebbe mai più macchiato le mani di sangue.
James guardò la ragazza dai capelli ricci, sembrava che la sua ora stesse per arrivare, ma il suo cuore stava battendo ancora, anche se debolmente. Il quindicenne si morse il polso destro, facendo fuoriuscire il suo sangue scuro e quando si abbassò, sollevò la testa della ragazza, curandola. Ella aprì i suoi occhi marroni con molta lentezza e quando realizzò ciò che stava succedendo, continuò a bere quel sangue scuro, finché non recuperò le forze. «L-a…ringraz-io…» ma venne interrotta.
James le fece cenno di fare silenzio, alzandola. «Devi andare via.» le sussurrò il vampiro, per poi aprire l’unica finestra che si affacciava davanti al bosco.
«Che cosa? Ma io…» Marika venne afferrata per il braccio e portata davanti all’unica via d’uscita.
«Non avrai altre possibilità come queste, quindi sbrigati!» la incitò il vampiro ma la ragazza esitò.
«Perché state facendo questo?» domandò e la risposta non tardò nell’arrivare.
Il biondo abbassò lo sguardo. «Perché non voglio essere un mostro…voglio…voglio essere buono.» improvvisamente si trovò circondato tra le braccia di Marika.
«Grazie, grazie infinitamente.» il vampiro ricambiò l’abbraccio, non rammentava da quanto tempo non ne ricevesse uno.
Il nobile, rendendosi conto del tempo stava passando, fece staccare i loro corpi. «Adesso va!» la aiutò nella fuga, osservandola mentre correva verso la foresta, per poi scomparire in essa. Il biondo chiuse velocemente la finestra e dopo pochi attimi, udì una voce a lui ben nota. «James.» Luchan fece la sua entrata in scena. «Ho udito le urla di Marika.» studiò la stanza con i suoi occhi color sangue. «Ma a quanto pare è tutto finito.» disse seccato, mentre il figlio lo guardava in silenzio. «E dimmi, dov’è il corpo?»
«L’ho fatto portare via della servitù.» il padre annuì. «Credo che abbiano già bruciato il cadavere.» era questa la fine che spettava agli esseri umani di loro proprietà.
«Continua così James.» gli sorrise il padre orgoglioso. «Adesso però dobbiamo andare.»
«Dove?» gli chiese incuriosito il vampiro biondo.
«Ho bisogno di nuovi schiavi e tu oggi verrai con me.» per James sarebbe stato la prima volta scegliere i suoi futuri servitori. «Preparati, quando uscirai, io sarò già in carrozza.» uscì dalla stanza.
James ci mise poco tempo nel prepararsi e infine, quando indossò il suo lungo cappotto di pelle, uscì dalla tenuta ed entrò nella carrozza che lo stava attendendo. Lo schiavo che gli faceva da cocchiere, era un uomo sulla cinquantina d’anni, era strano che il padre non l’avesse ancora ucciso, i loro schiavi non duravano così tanto. Il suo nome era Patrick, aveva gli occhi di colore castano dorato e i suoi capelli erano di un marrone chiaro. L’essere umano fece schioccare la frusta sui due cavalli neri e James non poté non provare compassione per quei poveri animali, conoscendo alla perfezione quel tipo di dolore. Il tragitto si svolse in silenzio, suo padre guardava fuori dal finestrino, non rivolgendo alcuna attenzione al figlio, mentre James stava con lo sguardo rivolto verso il basso. La carrozza si fermò improvvisamente e il cocchiere scese dalla sua postazione per poter aprire lo sportello ai suoi padroni.
«Prego mio signore.»
Il primo che scese fu James che guardò con molta attenzione la struttura, riconoscendola. «Padre, sarà qui che prenderemo i nostri nuovi schiavi?» chiese il quindicenne, continuando a guardare gli imponenti muri che lo avevano sempre affascinato.
«Si.» disse Luchan mentre scendeva dalla carrozza.
«Riuscirò finalmente a vederti Newt.» sussurrò James, sorridendo.
Patrick Deniso (proprietario verificato)
Storia intrigante da una giovane autrice italiana!