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Womenbeing: progettare il benessere ergonomico e biologico delle donne in un mondo androcentrico

Womenbeing - Progettare il benessere ergonomico e biologico delle donne in un mondo androcentrico
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Quello in cui viviamo è un mondo a misura d’uomo in cui il sesso maschile si è affermato nello spazio e nel tempo. L’uomo si riconosce nell’Assoluto e la donna invece nell’Altro, come scriveva la celebre scrittrice francese femminista Simone De Beauvoir per denunciare l’ormai radicata gerarchia di ruoli nel nostro sistema sociale, politico ed economico in cui sono gli uomini a tenere le redini in mano. Ma cosa succede quando questa subordinazione trova agio nel mondo del design? Che effetti comporta sul benessere una visione androcentrica del mondo? Appellandosi a libri, estratti di ricerche e articoli di giornali ed esperienze raccolte sul web, si dimostra come per parecchio tempo nell’ambito professionale, sportivo e tecnologico il corpo delle donne ha dovuto relazionarsi con prodotti che nella loro ideazione sono stati pensati per un utente finale maschio, compromettendone il benessere e in certi casi la sicurezza, a causa di svariati stereotipi che si sono sedimentati nei secoli.

Perché ho scritto questo libro?

Questo libro nasce da un impellente bisogno di fare anche la mia parte, contribuendo alla lotta per la parità dei sessi attraverso la mia sfera di competenza: il design. Ho sempre voluto rendere nota la discriminazione femminile da un punto di vista inedito: quanto la progettazione dei prodotti è fortemente intrisa di maschilismo e ha favorito gli uomini piuttosto che le donne, gettando la luce su un argomento sconosciuto ai più e che incide profondamente sulla nostra etica.

ANTEPRIMA NON EDITATA

2.2 Il settore automobilistico: un perfetto esempio di disparità

Quattro anni fa, nel 2019, l’autrice Hana Schank fu investita frontalmente da un camion passeggeri. Tutta la sua famiglia era rimasta gravemente ferita, ma soprattutto le passeggere, le cui spine dorsali sono state fratturate e gli intestini lacerati. Dall’altra parte del mondo e cinque mesi dopo, un autista distratto ha saltato la corsia ed è andato addosso a un’altra donna, Maria Kuhn, attivista per il car safety, e anche in quell’incidente, le donne in auto hanno subìto la rottura dell’intestino e ossa rotte, mentre gli uomini ne sono usciti quasi illesi. Quando Hana e Maria si sono ritrovate un anno dopo, unite dalla ricerca di risposte, hanno riscontrato che più di 400.000 donne erano state gravemente ferite da veicoli a motore. Questo racconto riportato in un articolo di FastCompany accredita il design automobilistico come un evergreen del vuoto di genere nel design, poiché le auto vengono progettate idealizzando l’uomo come unica reference antropometrica e comportando delle conseguenze in termini di benessere, nel caso specifico esasperato a livelli che rasentano la fatalità più estrema: la morte.
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D’altronde, la disuguaglianza di genere è di casa nell’industria automobilistica, che è stata sempre un club per maschi. Guardando alle otto case automobilistiche migliori al mondo – Toyota, Honda, Hyundai, Mercedes, General Motors, Volkswagen, Tesla e Peugeot – raccolte in una ricerca di Carmart questa disparità risulta evidente osservando la componente femminile dei CEO, che equivale a solo due donne su sette, Peugeot e General Motors. E si sa, il CEO di un’azienda ha enormi responsabilità, per questo si può addurre che esista una correlazione tra la predominanza maschile al tavolo del board e la progettazione delle automobili che fino ad oggi non ha contemplato le donne. Nel disegno delle auto è infatti fondamentale considerare la differenza anatomica tra uomini e donne, soprattutto considerando l’esistenza della chinetosi, una patologia del movimento ‘provocata dall’invio al cervello di messaggi integrati contrastanti da parte degli organi principalmente coinvolti nell’equilibrio: orecchio interno, occhi, muscoli e articolazioni’ (Istituto Superiore di Sanità). Si tratta di un disturbo che si manifesta nel corpo quando sottoposto a movimenti irregolari che ne compromettono l’equilibrio. Nel suo libro ‘Invisibili’, Carolien Criado Perez spiega che la chinetosi entra in gioco quando ci troviamo su una barca, su un aereo e anche, appunto, su una macchina. Il nostro corpo è programmato per eseguire dei micro-aggiustamenti che ci tengano in equilibrio durante tutta la giornata e in qualsiasi momento: quando siamo seduti, quando stiamo in piedi o in movimento. In quest’ultimo caso il nostro corpo viene destabilizzato e si comporta in una maniera diversa. Nel 2010, Tom Stoffregen, professore di Chinesiologia all’Università del Minnesota, ha fatto un’interessante scoperta: la presenza di differenze compensative, seppur lievissime e invisibili a occhio nudo, da uomo a donna. La discrepanza sta nell’oscillazione: il corpo di una donna oscilla in maniera differente rispetto a quello di un uomo; in particolar modo le oscillazioni posturali cambiano con le diverse fasi del ciclo mestruale. Questo è un dato rilevante, poiché a seconda di come siamo seduti il nostro corpo oscilla diversamente: se siamo seduti su uno sgabello l’oscillazione avviene all’altezza del bacino, se invece sediamo su una sedia dotata di schienale allora è la testa ad oscillare sul collo. Questa ricerca del professore Stoffregen ha conseguentemente portato Criado Perez – che testimonia di soffrire parecchio il mal d’auto quando a guidare non è lei, proprio perché abbiamo meno controllo dei movimenti rispetto a quando si è alla guida – a domandarsi se la naturale sensibilità delle donne alla chinetosi possa avere  qualche correlazione con la progettazione delle automobili. Nel suo libro ‘Invisibili’ si domanda:

“E se il poggiatesta non è all’altezza giusta? Se l’angolazione e la forma non corrispondono al corpo di chi lo usa? La predisposizione femminile alla cinetosi potrebbe essere esasperata dalla tendenza a progettare le automobili in funzione del corpo maschile?”

Questi suoi dubbi sono stati presentati a Stoffregen, che ha ipotizzato poter essere vera questa sua teoria. E, difatti, sembrerebbe così, perché poche righe dopo afferma che ‘sembra che nessuno abbia mai fatto ricerche sulla compatibilità dei poggiatesta con il corpo femminile’. Un realtà terrificante che trova veridicità in alcuni dati sempre da lei riportati nel suo testo pubblicato nel 2020: In caso di incidente automobilistico le donne presentano infatti il 47% in più di possibilità di restare gravemente ferite, il 71% in più di riportare lesioni moderate e il 17% in più di morire. Queste statistiche si aggravano pensando al fatto che le donne sono spesso più in macchina di un uomo, perché accompagnano i figli a scuola o i nonni per delle visite mediche perché sobbarcate sempre dai compiti di cura domestica. Bisogna considerare che i corpi femminili sono differenti a quelli maschili: Caroline Criado Perez nei suoi libri e nei suoi articoli scritti per diversi giornali inglesi ci spiega che una donna, infatti, ha ossa e scheletro più piccoli e mediamente risulta più bassa e meno pesante di un uomo. Per cui, quando guidano, tendono ad avvicinare di più il sedile ai pedali, con un’angolazione delle ginocchia differente a quella di un uomo, e a stare in posizione eretta per poter vedere al di là del cruscotto, assumendo una posizione per così dire ‘anomala’ rispetto a quella di guida standard che un uomo riesce a rispettare quando è al volante. In caso di tamponamento quindi le donne rischiano di più, perché la muscolatura della parte superiore del tronco è meno sviluppata e dunque aumenta la vulnerabilità ai colpi di frusta. Per giunta, una ricerca svedese, sempre riportata da Criado Perez, ha dimostrato che i sedili delle macchine sono sempre più compatti, per cui non cedono facilmente sotto il peso di un corpo femminile. Il sedile, quindi, rilancia in avanti il corpo a seguito dell’urto, causando un contraccolpo maggiore sul tratto cervicale della colonna. La situazione peggiora quando si tratta delle cinture di sicurezza, disegnate senza tenere conto del seno e quando sono incinte della pancia, inducendo le donne a indossarle in modo improprio. Secondo una ricerca del 2004 possono utilizzare le normali cinture di sicurezza, ma sembra che il modello standard non sia compatibile con il 62% delle gestanti dopo il terzo mese di gravidanza. Il motivo per cui si immettono sul mercato automobili pericolose per le donne quando un’auto deve superare cinque prove di collaudo – cinture di sicurezza, due di collisione frontale e due di collisione laterale – trova la risposta nel fatto che da sempre i crash test che le aziende automobilistiche eseguono sui loro modelli vengono effettuati con manichini che riprendono misure antropometriche maschili. L’impiego di questi fantocci nelle simulazioni di incidenti è iniziato negli anni ’50 ed è sempre stato usato il riferimento di 1,77 metri e 76 chili di cui hanno parlato Grigliè e Romeo.  Molto più alto e pesante di una donna di proporzioni medie, oltre che discriminatorio per gli obesi e gli anziani, che per via dell’età hanno ossature più fragili.  I tentativi fatti per cambiare la situazione ci sono stati, ma si sono sempre dimostrati vani per un motivo o per un altro. Negli anni ’80, per esempio, i ricercatori del Michigan suggerirono di introdurre un manichino che rispecchiasse le caratteristiche fisiche di una donna dello stesso percentile, ma venne ignorato e si arrivò soltanto 30 anni dopo a un apparente cambiamento. Nel 2011, infatti, gli Stati Uniti hanno iniziato a eseguire i test con manichini femminili, ma con delle falle enormi. Intanto, perché si trattava di una semplice versione maschile in taglia ridotta che non teneva conto delle differenze sostanziali tra uomo e donna, come la diversa massa muscolare. Inoltre, il manichino veniva testato soltanto sul sedile del passeggero, nonostante oggi siano le donne a trovarsi maggiormente al volante per i compiti di cura verso figli e anziani, senza stabilire realmente che cosa accada a una donna che guida e perpetuando lo stereotipo dell’immaginario collettivo, sostenuto anche dagli spot televisivi, che vede l’uomo alla guida dell’automobile. Il Washington Post in un articolo del 2012 ha riportato l’esperienza della famiglia di Beth Milito, che nel 2011 aveva deciso di acquistare una Toyota Sienna che si era aggiudicata quattro stelle in sicurezza. Una valutazione vera a metà, poiché il sedile passeggero, proprio quello su cui Beth sedeva durante le uscite di famiglia, l’anno prima, con l’utilizzo di un manichino uomo, aveva totalizzato un punteggio di cinque stelle in sicurezza, mentre l’anno successivo, lo stesso test ma eseguito con un manichino femminile, aveva totalizzato solo due stelle sicurezza. Durante una simulazione di uno scontro frontale alla velocità di 55 km/h si era verificato che una donna seduta al posto passeggero avrebbe avuto un rischio di infortunio grave compreso tra il 20% e il 40%. Questo costituisce un enorme gender data gap: il motivo per cui l’auto era stata classificata come un veicolo con quattro stelle sicurezza è perché le statistiche sulla mortalità da incidente d’auto è relativa ai conducenti, e mai passeggeri. Per cui, se in caso di incidente un uomo e una donna si trovano insieme sulla stessa auto e a guidare è il primo, non raccogliere dati sui passeggeri significa non raccogliere dati sulle donne. La spiegazione viene da sé se ripensiamo ai dati riportati qualche riga sopra: l’industria delle automobili è un mondo che è sempre stato caratterizzato da una forte impronta maschile nella sua strutturazione per cui solo due aziende su otto tra le più importanti hanno una leadership femminile. Ovviamente non di meno ha inciso anche lo stereotipo del nostro ideale collettivo per cui alla guida di un auto troviamo un uomo – basti a pensare a quante volte capita di sentire battute sessiste quando al volante vi è una donna – che ha proliferato perché sin da piccoli i bambini vengono educati attraverso stereotipi che insegnano che le macchine sono ‘roba da maschi’ e quindi, quando si progetta, la mente risente di questa influenza e rimanda a un uomo che maneggia con destrezza e virilità il volante. Il caso delle automobili, tuttavia, rappresenta soltanto una goccia di un mare più grande. Come dichiarato attraverso le parole di Victor Papanek, il design è sempre stato un ambito storicamente maschile, che ha inevitabilmente condotto a una progettazione riferita largamente solo a metà della popolazione, tralasciando ‘l’esistenza di bisogni femminili a cui gli uomini non penseranno mai di rispondere, per la semplice ragione che si collegano a esperienze femminili a loro del tutto sconosciute’ (Caroline Criado Perez, Invisibili: come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, 2020).

2023-06-07

Aggiornamento

Siamo ufficialmente arrivati a 100 copie dall’obiettivo! Mancano 44 giorni al termine della campagna. Avanti tutta!
2023-04-15

Aggiornamento

Abbiamo raggiunto un traguardo importante dopo soli tre giorni di crowdfunding: 60 COPIE PRE-ORDINATE 🫶🏻🤍 GRAZIE!

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Fabio Di Bella
Mi chiamo Fabio Di Bella, sono nato il 9 maggio 1996 e sono siciliano d'origine, anche se da sempre vivo a Chiavari, nella provincia di Genova. Sono laureato in Design del Prodotto e dell'Evento presso l'Università degli Studi di Genova e di professione sono Web & Graphic Designer. Mi sono avvicinato alla lettura all'età di 14 anni con la saga di Harry Potter, che mi ha fatto amare i libri, diventare un lettore seriale e scrivere ogni tanto, per puro diletto, qualche racconto che speravo un giorno potesse diventare un libro. Sono sempre stato interessato a tematiche di carattere sociale, come la disparità di genere e la crisi climatica, e mi piace sempre discuterne, anche sui miei social, per poter anche solo cambiare di poco il pensiero delle persone che mi circondano.
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