Estratto dal Capitolo 10
Per lo più leggeva lì, inerte, con una farfalla notturna venuta fuori da chissà dove, che girava tutt’attorno alla luce e non dava altro segno della sua presenza: l’unico rimedio era provare a mandarla via, e Joseph non chiedeva di meglio che accorgersi d’impressioni comuni. Si sarebbe contentato del volo di quella farfalla.
Attendeva, indispettito, e con animo fidente, ma non riusciva a credere neppure a se stesso. Si domandava cosa gli fosse successo. Lasciava dunque cadere il libro, e neghittoso, cominciava a pensare a quello che avrebbe potuto ispirarlo.
Lungo le pareti che si perdevano in lontananza, Mads camminava piano, molto piano. Era immerso nella penombra, e mormorava, tra sé e sé, versi ripresi dalle canzoni, impegnato, di tanto in tanto, nell’atto di toglier di bocca la sigaretta e rimettervela. Si fermava di botto e gli andava incontro: sapeva che l’avrebbe trovato lì.
Quindi sorrideva e sferruzzava la maglia in un angolo, tra gli altri pensieri che si sfilavano nella sua mente. Lo faceva quando erano da soli, lui e Joseph. Si rassomigliavano almeno in questo: non dispregiavano la solitudine.
La vita di Joseph era oramai semplice. S’avvertiva del tutto irrilevante ai suoi occhi, ma il passato non cessava per un solo attimo d’esistere e batteva con pertinacia nella memoria, ove la pena non s’esauriva, immutata; non s’ingannava, inamovibile, e il futuro era un tempo che non vedeva l’ora di raggiungere.
«E noi, dove stiamo andando?» Cantava Mads, a mezza voce.