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39 Il caso e la necessità L’altra sera, non so come, a casa di amici, si è venuti a parlare del ruolo che gioca il caso nella nostra vita. Quanto, di ciò che ci accade, dipende dalla nostra volontà, dai nostri programmi, dalle nostre decisioni, dalle nostre azioni? E quanto invece dipende da quello che […]

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Il caso e la necessità
L’altra sera, non so come, a casa di amici, si è venuti a parlare del ruolo che gioca il caso nella nostra vita.
Quanto, di ciò che ci accade, dipende dalla nostra volontà, dai nostri programmi, dalle nostre decisioni, dalle nostre azioni? E quanto invece dipende da quello che normalmente si è soliti chiamare “caso” (buona o cattiva sorte che sia), da quegli eventi cioè che accadono senza che li si possa in qualche modo prevedere e prevenire, e che tuttavia si rivelano poi a volte addirittura determinanti nella nostra vita?
Domanda da un milione di dollari, ovviamente. Il “quanto” è pressoché impossibile da stabilire, ma che nella vita di ciascuno giochino entrambi i fattori (ciò che dipende da noi e ciò che è imprevedibile) è tanto
ovvio quanto noto a chiunque.
Il discorso però si è fatto più intrigante quando qualcuno ha introdotto un altro tema collaterale. Siamo poi sicuri che esista davvero il cosiddetto “caso” o che non si tratti piuttosto di un vocabolo passe-partout con il quale usiamo classificare qualunque accidente ci capiti inopinatamente tra capo e collo? A questo punto, infatti, qualcuno dei commensali è andato a ripescare il vecchio, suggestivo e popolare concetto di “destino”: tutto ciò che accade è già scritto, altro che caso. È emersa però a tale proposito un’interpretazione, come dire, laica del concetto di destino, spogliata da quanto di mistico e misterico la parola porta generalmente con sé.
Ed ecco il ragionamento che è stato fatto. E autunno, una foglia si stacca da un ramo. La si vede volteggiare, compiere piroette e giravolte e poi cadere al suolo e fermarsi in un determinato punto. Perché proprio quella foglia e non un’altra, perché proprio in quel momento, perché planando in quel modo e cadendo in quel punto preciso del suolo e non in un altro? Sicuramente ci sono delle ragioni: la “maturità” della foglia caduca, il punto dell’albero in cui è cresciuta, l’esposizione al vento, le correnti dell’aria, la conformazione delle fronde eccetera. Ci sono sicuramente delle cause. Una molteplicità di cause e concause che in linea di principio si potrebbero anche conoscere tutte e addirittura calcolare nel loro peso reciproco, nella loro interazione.
E lecito supporre in effetti che tutto ciò che accade dipende da un insieme più o meno complesso di cause e concause, ciascuna delle quali, a sua volta, altro non è che l’effetto di una serie variamente ricca e articolata d’altre cause. E cosi via a ritroso (e all’infinito). Tutto ciò, in teoria (ma solo in teoria), sarebbe calcolabile, e ogni evento è dunque in qualche modo “già scritto”. Ogni cosa che accade non poteva non essere così come è stata.
Forse addirittura ciò che pensiamo, che ci passa per la testa, perfino ciò che sentiamo e proviamo, non può non essere così com’è. (E ci sono argomenti a bizzeffe anche per sostenere questa tesi). Dove va a finire, dunque, in tale visione radicalmente deterministica, il libero arbitrio, se le nostre stesse decisioni, le scelte e le azioni altro non sono che un effetto ultimo di cause remote che ci trascendono? Non siamo dunque liberi affatto, come invece ci illudiamo di essere? Tutto è già scritto? Tutto è predestinato?
Può darsi che le cose stiano così – è stata la conclusione provvisoria dei commensali – ma poiché il
“destino” che sta dietro all’anzidetta caduta della foglia è, in pratica, inconoscibile come il futuro, non resta altro, a noi poveri umani, che una possibilità: vivere “come se” questo tirannico destino non esistesse affatto, come se tutto ciò che ci accade dipendesse da noi, dalle nostre scelte e decisioni e azioni. (E allo stesso tempo rassegnarci all’idea che le cose non stiano esattamente cosi).

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