Domande che non rivolse a me in prima persona ma a mia madre. Fino a quel momento, da persona non informata sui fatti non sarei stato in grado di rispondere. Dopo aver esaminato attentamente le risposte, il responso fu: «Occorre intraprendere un percorso familiare.»
“Ah!” Pensai tra me e me. “Nammo bene!”
Io già facevo fatica a parlare, esternare, più che parlare, e chiesi inconsciamente aiuto, proprio per questo. Avevo bisogno di aiuto, lo sentivo, ma pensare di dover affrontare un percorso familiare in quel momento era per me una cosa davvero inconcepibile.
Capitava, ogni tre per due di avere mal di pancia a scuola: “dissenteria”. Turbini di aria, provocavano scariche veloci e indolore, generati da pensieri catastrofici che fluttuavano nella mia mente, paura alla massima potenza, “ANSIA!”
Conclusione – morale della favola, uscii da quella stanza insieme a mia mamma e a mio papà, perché sì, c’era anche mio papà, e non ci tornai più. “Col cavolo che ci torno, da quello!” Fu il primo pensiero lampo che mi attraverso la testa alla velocità della luce.
Dopo un paio d’anni, questa volta da solo, mi ripresentai da una psicologa, un amica di famiglia che io non conoscevo. Il tempo non aveva di certo lenito le ferite, anzi.
Sentivo ancora il bisogno di esternare, di buttare fuori del dolore: sputare quei rospi che fai fatica a raccontare, a spiegare, che per paura di decifrare, con il rischio di ritrovarti davanti a verità che non sei disposto ad accettare, li ributti giù. Contemporaneamente non ero sicuro di ritrovarmi davanti a una persona che poteva comprendere realmente ciò che non riuscivo ancora a decifrare. Di mio, già ero in confusione, aggiungi poi la paura del giudizio, da parte di una persona che non conoscevo, figuriamoci poi se la conoscevo.
In sostanza, non volevo nessuno che mi rompesse il cazzo, ma il mio corpo e la mia mente cercavano aiuto. Risultato: feci due sedute di numero con Elisabetta e bye bye.
Solo dopo dieci anni, quando ho trovato davvero il coraggio di cominciarmi a volere bene per davvero, quando ho capito che era arrivato il momento di rompere definitivamente gli schemi del “Truman Show”, mi sono rivolto a uno psicologo – psicoterapeuta. Sarà stato il momento giusto, il coraggio finalmente scovato, il professionista, con cui sono riuscito ad entrare finalmente in connessione, una serie di cose che mi hanno portato ad estendere senza filtri e giudizi una parte di me, step by step, riportandomi finalmente a riconnettermi, a rituffarmi nel flusso della vita. Sono riuscito a fare mio un mantra. Ho cominciato a seguirlo, ed è da un po’ che mi accompagna: “ 1+1 e più Stronzo di te! ”.
NICO, NICODEMO
“ Fai finta di avere davanti a te, una telecamera,
di essere lì, per un provino.
Fai finta di avere davanti a te, il recruiter di un azienda e di essere lì, per un colloquio di lavoro.
Fai finta di essere lì e convincimi che sei tu,
quello che merita questo posto”.
C’era una volta, se non sbaglio è così che si comincia.
Quindi mettiti comodo!
Per essere davvero più stronzo di te, che stai leggendo, comincio col dirti che non sto qui a spiegarti il senso del mantra, citato nella chiusura del capitolo precedente. Non posso, mi è letteralmente impossibile, non avrebbe senso, sarei poco stronzo. Nel frattempo però mi presento.
Mi chiamo Nico, Nicodemo. Ho 30 anni. Amo mangiare, dormire bene, fare l’amore, del sano sesso, tenermi in forma e comunicare. Non sono un cazzo di nessuno in questo mondo: sono solo un puntino tra la gente, che con cognizione di causa, non alla cazzo di cane, tanto per parlare, esprime la propria opinione.
Che sono un eterno romantico non me lo toglie dalla testa nessuno, neanche il più catastrofico degli eventi che si fionda sulla terra per testare la resilienza dell’essere umano. Potrebbe essere uno di questi, il fatto che anche quest’anno, per l’ennesima volta, mi ritrovo di nuovo da solo a passeggiare per le vie del quartiere, il giorno di San Valentino.
Te li ritrovi lì nell’angolo, per strada, gli adolescenti, mano nella mano. Il manager, giacca e cravatta, che compra una rosa dal fioraio sotto casa. Due signori di una certa età (pesiamo bene le parole), che camminano mano nella mano, e quasi mi viene da piangere, non tanto per l’emozione di vedere la bellezza di un piccolo gesto d’amore in una festa consumista, ma per la mancanza che da tempo nutro nei confronti dell’amore vero.
La mancanza di amore vero in primis per me stesso, per essermi accontentato, troppe volte di rapporti poveri, poveri d’amore. Un amore autentico, dimostrato, non osannato ma almeno masticato, respirato, consumato, e se non riesco a lanciarmi sempre, quando mi capita di sentirne il profumo e perché mi fa male, ci fa male, lanciarci e rilanciarci dopo quei lividi che hanno lasciato il segno, dentro.
Ma la vita è questa: è una combinazione, un 3×2 al quadrato diviso sei che ti riporta sempre al numero, SEI. Sei un essere umano nato sulla terra che si nutre di acqua, aria, alimenti ma sopratutto amore.
AMORE: che parolona StRaToSfErIcA
Romantico e Passionale. Empatico, Romantico e Passionale.
Che se penso ai momenti no, al “voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non c’è l’ha” di Vasco, quei momenti spariscono. Se penso al bene, all’amore puro, vero, sincero, viscerale, ad un buongiorno sincero, ad un abbraccio fraterno, per dire grazie col cuore, i momenti no, non esistono più.
Negli ultimi anni ho scoperto che mi piace scrivere. È un bisogno. In realtà, credo sia dalla seconda, dalla terza elementare, se ci penso bene. È intorno a quel periodo lì che ho cominciato ad appassionarmi, non alla scrittura ma al disegno, al bisogno di comunicare.
Certo, che il disegno è uno strumento fondamentale attraverso il quale ogni bambino riesce a comunicare le proprie emozioni, è conclamato! Non è mia intenzione mettere in dubbio la veridicità scientifica, psicologica di questa tesi, fondamentale nell’età evolutiva. Sta di fatto che ricordo bene quei piacevoli momenti che sicuramente manifestavano i miei stati d’animo ma che andavano ben oltre. Goku, Vegeta, Paperino, Topolino, le principesse della Disney, tutti personaggi da me, disegnati con estrema facilità, a mano libera, senza carta velina, senza squadrature, senza quelle linee tecniche che ti portano a fare il naso o la bocca al punto giusto perché potresti rischiare di trasformare i personaggi nei nuovi mostri, tipo quelli di Striscia la Notizia.
Poi, sono arrivate le recite scolastiche, quelle dove sono stato io, in prima persona, a voler mostrare il mio ego, a cavalcare la scena. Non rientra tra queste certamente la recita dell’ultimo anno della scuola materna della quale non ho un ricordo preciso, se non una vaga costruzione, attraverso foto e qualche spezzone video. Giacca, pantalone, capello e guance rosse; batuffoli di cotone a partire dalle guance fino ad arrivare al mento o poco più giù.
Da lì in poi mi si è aperto in automatico un vortice: cantare, parlare, stare su un palco. La comunicazione c’era, c’è, c’è sempre stata.
Questo scoprirsi, capirsi, piacersi, accettarsi è stato però un po’ un amore-odio, alti e bassi come credo succeda a tutti. C’è chi si trova la strada già un po’ spianata, chi meno. Chi ha un supporto costante lungo il percorso e chi invece ad ogni caduta si annienta in automatico con la sua sindrome d’impostore. Non vede quella caduta, quell’opportunità, non impara.
Parto dal presupposto che per me, l’essere umano nasce per comunicare, per vivere le emozioni. Anche per quelli che non credono in Dio, in qualcosa al di là della morte, che la vita sia soltanto una parentesi, nata dopo una scopata, tra un uomo e una donna, fine a se stessa e che tutto ciò che è vita e scientificamente provato a partire dalla teoria del big bang, la VITA è Amore, è Essere, è Dare. Non te lo sto dicendo da un punto di vista cristiano cattolico praticante, tutte le sante domeniche in chiesa ma come uno che crede in Dio, in qualcosa, dopo la morte, e che la vita è un dono, un regalo, a cui sono grato. Sono nato per comunicare, sì come tutti gli esseri umani ma sento impellente questo bisogno come una costante. Comunicare, avere a che fare con l’emozioni, questo è il mio “daimon”.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.