Spesso si era chiesta se fosse vera la conclusione a cui era giunta. Che l’amore, quello vero, è quello che ti corrisponde. Ma non è forse vero che l’amore che ricordiamo con più trasporto e struggimento è quello che non ci ha volute? Quello che ci rimarrà sempre dentro, con le sembianze di una cicatrice?
Rachele guidava tenendo entrambe le mani sul volante, sporta in avanti e con gli occhi socchiusi, come a voler vedere meglio attraverso i suoi occhiali. Indossava un berretto di lana colorato coordinato con dei guanti che sua zia le aveva regalato proprio quel Natale. I capelli ramati le ricadevano sulle spalle e la fronte pizzicava e prudeva a causa della lana ma non aveva tempo di pensarci in quel momento. Era concentrata a guidare tra la nebbia e a tornare a casa sana e salva. Fino ad ora aveva preso una serie di decisioni sbagliate che l’avevano portata a vivere il più orribile primo dell’anno della sua vita. “Come ho fatto a cadere così in basso?” Sbuffò.
In preda ad una crisi esistenziale aveva deciso, sei mesi prima, di lasciare la sua ragazza storica con cui conviveva da quattro anni ma con la quale era estremamente infelice. Si era poi detta che meritava del tempo per sé, per divertirsi in modo spensierato, per conoscere persone e per fare tanto sesso senza impegno, con il pieno sostegno delle sue amiche. “Rachè io te lo dico da mo’, c’hai da scopà!” Diceva Eleonora, romana, de Roma, della Roma, trapiantata al nord. E ancora “Ma sì, Rachi. Divertiti! Non è che se fai sesso con una poi te la devi sposare!” Incalzava Stella, con un tipico accento del settentrione. Come dare torto loro, dopotutto.
“Ma chi cazzo me l’ha fatto fare” continuava invece a ripetersi in testa Rachele, mentre ingranava la terza della sua Clio modello vecchio.
Aveva appena passato l’ultimo dell’anno a casa di una ragazza conosciuta qualche giorno prima su una app di incontri e ora stava guidando di corsa verso casa. L’alternativa era passare quella sera a casa, da sola. Divano, pizza e Netflix. La perfezione per Rachele. Ma “dai, è troppo da sfigata!” già si immaginava le prese in giro delle sue colleghe e per mettere a tacere quei commenti e quelle risatine che sarebbero senz’altro arrivati -no, non sapeva mentire- aveva accettato la proposta. “Ti va di venire da me? Verrà un amico per cena ma poi dopo il brindisi se ne va ed avremo casa tutta per noi…” le aveva scritto la sconosciuta in chat. Quello che le ragazze sanno fare proprio bene è stuzzicarsi e provocarsi a vicenda, anche senza verità di fatto. Il gioco della seduzione.
E non avevamo prima detto “meriti del tempo per te, per divertirti in modo spensierato, per conoscere persone nuove e per fare tanto sesso senza impegno”? Quale migliore occasione! “Va bene, accetto!” Il cursore verde aveva lampeggiato un po’ ma alla fine…invio.
Ecco, disastro annunciato.
“Ma quante scelte di merda devo fare ancora?” Non si dava pace. Nel frattempo aveva anche azionato i tergicristallo perché quella maledetta nebbia condensava sul parabrezza della sua auto creando miriadi di goccioline che le impedivano ancor di più una visuale chiara. Gnek-gnek-gnek, cadenzato.
Era stata non solo la peggiore serata di sempre ma anche il peggior sesso di sempre. Aveva anche bevuto parecchio e non aveva potuto guidare per tornare a casa quella stessa notte, pensando fosse più saggio ripartire la mattina, da sobria. Aveva accettato anche l’altra proposta, quella di rimanere a dormire là, a casa della sconosciuta. “Chi me l’ha fatto fareeeee” gnek-gnek-gnek continuava il tergicristallo ostinato.
Quella ragazza semi sconosciuta si comportava come fossero una coppia consolidata, come se si conoscessero da secoli e fossero felicemente innamorate. “Io me la merito una come te” le aveva detto lei. “In che senso?” pensava Rachele “Nemmeno mi conosci!”
“Ma chi ti conosce? Ma chi ti vuole!” Avrebbe voluto risponderle Rachele, ma l’eccessiva educazione ricevuta e il rispetto verso la persona che le stava dando alloggio non le permetteva di far altro se non sorridere sommessamente.
Così l’indomani mattina si vestì velocemente senza nemmeno aver preso un caffè, berretto, guanti e via, il più veloce possibile. Verso casa e lontano da quella pazza. “Almeno dammi un bacio, no?” Le urló la sconosciuta che aveva un’invidiabile autostima, bisogna riconoscerglielo. “No, no!” Pensò Rachele. Era già troppo distante, per fortuna, e finse di non aver sentito. Montò sulla sua auto, senza girarsi, e vi si chiuse dentro. Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che la tipa era già rientrata in casa e che non la stava osservando sulla porta. Lasciò cadere la testa sul volante in segno di disperazione, prima di decidere di mettere in moto. “Chi cazzo me l’ha fatto fare!”
Guidava con entrambe le mani sul volante, alle dieci e dieci, come le avevano insegnato a scuola guida. La prudenza prima di tutto. E guardava attenta la strada, tra la nebbia della pianura padana. “Pure in culo al mondo doveva abitare!” Socchiudeva gli occhi per cercare di vederci meglio ma quella nebbia era davvero fitta e a malapena seguiva la striscia divisoria della carreggiata. Gnek-gnek-gnek. “Ora come faccio a smollarla? Non sei tu, sono io? Ho capito che sono ancora innamorata della mia ex? Del vecchio e sano ghosting?” In fondo era capitato anche a Rachele di subirlo ed era forse meno doloroso che sentirsi dire che “sei una pazza scatenata, ci conosciamo appena, non mi stai nemmeno simpatica e a letto sei una pippa.” Sempre a preoccuparsi dell’effetto che le sue parole potrebbero avere sull’altra persona. Cosa potrebbe pensare, come potrebbe stare. Doveva ancora capirlo che una schietta verità, detta obliqua, avrebbe fatto meno male di tante bugie. Saggia la Dickinson.
Quando si dice che la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo forse ci si riferisce a casi come questo. Come se non bastasse tra pensieri filosofici, fronti che prudono e mani alle dieci e dieci, all’improvviso Rachele sentì un forte colpo alla macchina mentre usciva da una rotonda. Si fermò e smontò per vedere cosa fosse successo. Pur non essendo una profonda conoscitrice della materia poteva constatare che la ruota della sua Clio era a terra, con uno squarcio di 3 centimetri. “Cazzoooo! Maledetta nebbia! Ci mancava solo questa ora!” Disse fra sé e sé. Poi ricordò “Rachele ascolta tuo padre, mettici il ruotino nel baule che non si sa mai!” E così aveva fatto, ma era proprio in quel momento che rimpianse di non essere la classica lesbica esperta in motori, macchine, chiavi inglesi e crick. Doveva aver fatto un bel chiasso con quell’urto perché nell’arco di qualche minuto si ritrovò circondata da uomini non più giovincelli usciti da un bar lì vicino. “Steto bén buteleta?” “S’eto combinà?” Doveva avere la faccia disperata. Pensava al patriarcato, al mensplaining che avrebbe dovuto subire, giustamente anche, perché invece che guardarsi video su YouTube per imparare a cambiare una ruota si era fatta la maratona dei film e telefilm lesbici di Netflix. “T-tutto bene.” Sorrise come solo lei sapeva fare “Non ho visto il marciapiede, con questa nebbia e, sì insomma…a-andavo anche piano, devo averlo preso proprio male” si giustificava Rachele. “Ora la cambio eh, ho tutto! Ho il ruotino!” Le era uscita così. “É davvero la cosa più intelligente che sai dire, Rachele?” Pensò. Non sapeva nemmeno cos’era il ruotino! Ma ecco che all’improvviso comparve lei, uno spiraglio luminoso in tutta questa nebbia.
“Andate dentro che è pronto il vostro Cabernet, dai che qui non c’è nulla da vedere!” Uscì dal bar una ragazza con un grembiule nero, dalla testa rasata e dagli occhi celesti. “Madre mia!” Pensò Rachele. “Hai bisogno di una mano qui? Se hai un crick ci impieghiamo 5 minuti.” Rachele aprì il baule, vide il ruotino che il padre le aveva tanto raccomandato di avere, delle scarpe infangate che usava per andare in montagna, un ombrellone verde fluo che invece usava al lago e ta-dan! Eccolo lì! Era lui, il santo crick! Le scappò un “sì!” entusiasta, più per averlo riconosciuto che trovato. La barista la guardò con un’espressione divertita “non avevo mai visto nessuno esultare così nel vedere un crick prima d’ora!” Disse sorridendo. “Comunque sono Luz.”
Rachele la guardava ammirata armeggiare con la ruota e sembrava davvero un gioco da ragazzi, fatto dagli altri. “Vedi che la grazia divina esiste allora, e io scettica…” pensava mentre si soffiava dentro le mani e le strofinava nel tentativo di scaldarle, nonostante i guanti. “…e porca miseria se è bella!” L’estasi e l’ammirazione erano probabilmente dovute più all’aspetto di Luz che alla sua abilità da meccanica e da problem solver. Bisogna essere onesti.
“Ecco fatto.” Disse Luz pulendosi le mani in un canovaccio che teneva sulla spalla. “Se hai freddo puoi venire un attimo dentro a bere un caffè e a scaldarti.” Probabilmente doveva avere un aspetto orribile. Oltre alle occhiaie, doveva avere le labbra violacee dal freddo e un colorito pallido che si tingeva di rosso solo attorno alle guance. Il respiro condensava in una nuvoletta ad ogni frase e sentiva anche lo stomaco brontolare. Accettò l’invito, non poteva essere una scelta peggiore di quelle prese in quei giorni. Gli occhiali di Rachele si appannarono non appena mise piede dentro al bar. Era un locale carino, anche se un po’ datato. Oltre al bancone con degli sgabelli, c’erano tanti tavolini e ad uno di essi erano seduti gli uomini incontrati poco prima che giocavano a briscola bevendo vino rosso. “Infondo sono stati carini prima ad interessarsi a me…” pensò. “Cosa ti porto?” Fece Luz. Rachele le disse che per la giornata che aveva avuto le sarebbe servita della tequila ma che si sarebbe accontentata di un cappuccino ed un tramezzino. Si tolse dalla testa il berretto e d’improvviso si ricordò dell’altra idea di merda che aveva avuto. Dal parrucchiere. Qualche settimana prima. “Fai tu” gli aveva detto, ed eccola di nuovo qui a pentirsi di quell’orribile frangetta che si ritrovava in testa. “Addirittura? Inizi bene l’anno mi sembra di capire! Ruota a parte cosa ti è successo?” Evidentemente fanno un corso di counselling ad ogni persona che vuole intraprendere la carriera di barista, o non si spiegherebbe la loro abilità nell’ascolto. Rachele aveva sempre trovato conforto in questa categoria professionale. I baristi, non i counsellor. Probabilmente i baristi invece la odiavano, pensando a ragione “ma questa non può andare da uno psicologo vero invece che stressare l’anima qui?” Fece spallucce “pazienza, ormai mi sono messa l’anima in pace che non posso piacere a tutti” pensava mentre addentava il tramezzino, poi iniziò a raccontare. “Allora, per fartela breve, mi sono lasciata con la mia ormai ex ragazza qualche tempo fa, e da allora quella è stata l’unica decisione sensata che ho preso. Ne vengo da una notte orribile con una tipa con la quale non sarei mai uscita se l’avessi conosciuta prima nella vita vera. Invece mi ostino ad ascoltare le mie amiche, etero, che mi consigliano di divertirmi sulle dating app. Poracce, non è nemmeno colpa loro. Non lo sanno che le donne sono psicopatiche.” Disse tutto d’un fiato, poi vuotò la tazza col cappuccino. “Ah, ora sto meglio!” Sorrise.
Una pazza. Rachè sembri una pazza. Occhiaie, frangetta ribelle ed affamata. Per di più chiacchierona. Con una figa pazzesca davanti! Aveva scordato come relazionarsi con le ragazze, come flirtare, forse non lo aveva mai saputo fare, non l’aveva mai imparato. Non era una sua dote, non era una lingua che sapesse parlare. Rachi ricomponiti! Chiedile qualcosa anche tu, no?! “E-e tu? Cosa ci fai il primo dell’anno qui?” Disse di nuovo la prima cosa che le venne in mente. Dopo una breve pausa Luz rispose, quasi con ovvietà ma sempre col sorriso. “Lavoro.” “Ma sì, certo. Ovvio.” Sorrise imbarazzata abbassando lo sguardo. Che-figura-di-merda. “E-e di dove sei? Mi sembra di sentire un accento non di queste parti…” Luz si illuminò, “Davvero? Pensare che nessuno se ne accorge! Sono spagnola, di Burgos.” E anticipando le domande di Rachele continuò “mio padre è italiano, così ho deciso di venirlo a trovare, faccio alcuni periodi qui in Italia ed altri dove torno in Spagna.” Continuarono a parlare così per molto tempo, Rachele bevve anche una spremuta d’arancia e mangiò un mini panino al salame e un ovetto sodo. Si era posta come obiettivo dell’anno nuovo quello di mangiare meno carne in favore di un’alimentazione più etica e sostenibile, amava gli animali. “Da domani, dai. Era una situazione d’emergenza questa”, si giustificava fra sé e sé. Parlarono tanto, parlarono di arte, sogni, obiettivi e visioni di felicità. “Per me felicità sarebbe condividere un divano con la persona amata. Ed un cane, importantissimo. A piedi scalzi, mentre si legge un libro. Vicine, unite, ognuna con il proprio spazio personale ma con la possibilità e voglia di condividerlo. Chiedo troppo? Non mi pare, dai.” Rise. A questo punto Rachele si era sciolta e non pensava più a cosa fosse intelligente dire. Non pensava nemmeno più a quanto fosse bella la sua interlocutrice. Solo sentiva un sobbalzo nel petto ogni volta che incrociava i suoi occhi. Era la prima volta dopo tanto tempo che sentiva la voglia di raccontarsi. Le disse che nel tempo libero le piaceva lavorare l’argilla per farne dei vasetti o tazze di ceramica, cuocerla e decorarla con gli smalti. Una creativa con la testa sempre fra le nuvole. “Ma fammi vedere qualcosa di questi lavori! Avrai qualche foto sul telefono, no? Dai!” incalzava curiosa Luz. “Mi vergogno un po’ ma, ecco…” era la prima volta dopo tanto tempo che sentiva anche la voglia di aprirsi. “Ma sono bellissimi!” Si sentiva in qualche modo al sicuro. Luz la guardò dritta dentro i suoi occhi nocciola che sembrava la stesse spogliando di ogni barriera. Passò qualche secondo in silenzio, come a volerci prima pensare, poi raccontò “Qui in veneto mi sento a casa. I veneti sono accoglienti e sanno come fare festa! C’è qualche somiglianza col popolo spagnolo.” Rise e proseguì “Riscontro però un difetto. Il lavoro qui è visto come vera e propria missione di vita. Invece sono convinta che la vita sia una sola e che vada vissuta al massimo seguendo ciò che ci piace, che ci appassiona. Non ciò che siamo obbligati a fare per guadagnarci uno stipendio.” E ancora “per me conta più la qualità della vita, della salute mentale, che il denaro. Burgos è un piccolo paesino attraversato dal cammino di Santiago. Lì i ritmi sono più lenti, meno frenetici. Si sono conosciuti così i miei, mio padre era un pellegrino e mia madre gestiva un albergue. Lo gestisce ancora a dire il vero. La aiuto nei mesi estivi.” Era proprio bello quel tempo speso senza finalità a chiacchierare con questa ragazza dagli occhi di ghiaccio e dall’anima ardente.
Si salutarono dopo ore con la promessa di sentirsi e vedersi presto. Quello che sembrava essere il primo dell’anno più orribile di sempre si stava rivelando un giorno davvero speciale. Rachele non era più tanto pentita nemmeno per quella frangetta. “Forse non sono un totale disastro, alla fine.” Inserì la chiave nel quadro d’accensione della Clio, mise in moto e si diresse pian piano verso casa, col ruotino e lo gnek-gnek del tergicristallo. A differenza della mattina però aveva un bel sorriso stampato in faccia.
Martina Lodi (proprietario verificato)
Acquistato oggi e divorato! Adoro come cambia il tipo di scrittura, il punto di vista. Ogni personaggio è bellissimo a modo suo, anche se ammetto di avere un debole per Rachele. Sarà che mi sono ritrovata spesso nella sua situazione iniziale 😂
Consiglio davvero la lettura di questo libro!