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ALA o AEREA

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Consegna prevista Dicembre 2025
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ALA o AEREA è un racconto che non vuole concludersi, come una spirale si avvolge su se stesso nascondendo il proprio centro: un Professore assegna a 50 studenti la stesura di un racconto, in compenso riceve 50 racconti identici.
Un finale non è possibile perché la storia è già conclusa e l’attesa è l’unica dimensione nella quale una trama può sciogliersi; come una nave alla ricerca di dispersi che mai troverà, o un uomo condannato a spingere un sasso e che un giorno potrebbe far rotolare via.
La scrittura, come la vita, non ha un fine, se non quello di reiterare se stessa, di non voler finire.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro per riproporre la domanda: perché scriviamo? Perché abbiamo qualcosa da voler comunicare o perché ne abbiamo la possibilità?
Per poter rispondere ho scritto il libro e alla fine non ho trovato alcuna risposta perché era insita nella domanda: la parola è conseguente alla materia ed un libro, per essere scritto, deve poi essere letto.

ANTEPRIMA NON EDITATA

SPUNTO E SOGGETTO 50 RACCONTI

Spunto: Cinquanta studenti frequentano un corso di scrittura creativa. Il Professore assegna loro il compito di scrivere singolarmente un racconto. Arrivato il giorno della consegna al Professore arrivano cinquanta racconti identici.

Soggetto: Il Professore era un entusiasta della letteratura, purtroppo con gli anni la sua fiamma era andata indebolendosi. Il conseguimento del sogno della sua giovinezza e la routine accademica non avevano impigrito l’uomo, ma ne avevano accentuato il lato malinconico. Un tempo pensava che la letteratura fosse il modo migliore per nobilitare le miserie dell’esistenza umana, ora dentro di lui si faceva strada una domanda: e se la causa delle miserie umane fosse proprio la letteratura?

Al fine di arginare questo cambiamento d’animo decide di tenere un corso di scrittura creativa, magari fra quelle giovani menti qualcuno potrà dimostrargli che la letteratura ha ancora un senso, riattizzare la sua fiamma. Si iscrivono cinquanta studenti e ad alla consegna il Professore riceve cinquanta racconti identici. Allo shock iniziale segue una breve indagine sul come sia possibile una cosa del genere. Che sia un miracolo statistico? Improbabile. Un errore tecnico? Si sono messi d’accordo? E se sì a che scopo? Ma non era un errore tecnico e gli studenti non si erano organizzati per fare un’elaborata burla al Professore, ogni studente aveva scritto il racconto autonomamente.

La cosa è bizzarra, ma è un evento singolo. Il Professore decide di assegnare ai cinquanta ragazzi la scrittura di un altro racconto, anche questa volta riceve cinquanta racconti identici, prosecuzione dei primi cinquanta. Come finirà questa storia?

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Racconto: Il cielo è uguale da qualsiasi città lo si guardi, democratico ed indifferente sovrasta ogni forma di individualità. Il Professore passeggia sui bastioni della fortezza, il freddo pungente dell’inverno non interrompe le sue abitudini, siede sulla panchina e contempla l’orizzonte. Una tela azzurra, pochi greggi bianchi la solcavano da destra verso sinistra, al centro il terracotta ed il grigio, statici.

– Ne hai di pazienza a volerti sorbire i vagiti letterari di quella pletora di studenti! – L’impietosa conversazione con il Professor Emme gli rimbombava ancora nella testa – Come sei caustico! Non è la sovrabbondanza di pazienza a farmi tenere il corso, ma la speranza di leggere qualcosa che mi colpisca. Scoprire un giovane talento ed aiutarlo a farsi strada nell’inutilmente crudele mondo letterario. – La risata del Professor Emme, simile a quella dei cattivi dei cartoni animati, trovava libero sfogo – Potevi dirlo prima che eri alla ricerca di nuovi spunti! Certo che sei un soggetto!

Tra qualche ora il Professore terrà il corso di scrittura creativa, la prima parte avrà come tema la prosa, la seconda la poesia. L’idea è di dargli un taglio sperimentale, assegnerà agli studenti la stesura di un racconto breve per la prima parte e una breve raccolta di poesia per la seconda. La mole di testi che avrebbe ricevuto non lo indisponeva, anzi, sperava di essere sommerso dalla pluralità di espressione di tanti giovani Io. Cosa avrebbero scritto? In che modo lo avrebbero fatto? A cosa e a chi si sarebbero ispirati?

Lungo il tragitto verso l’università il Professore guarda il cielo, dal basso sembra quasi delimitato dagli alti e vecchi palazzi, una striscia disomogenea di seta. Sulla soglia dell’ingresso principale incontra il Professor Emme – Oh, ciao! Allora è oggi il grande giorno? – fa l’occhiolino – Sai, in Dipartimento qualcuno iniziava a pensare che fossi depresso. Ed ora eccoti qui, bello e raggiante come la prima volta che ti ho visto oltrepassare questa soglia! Quanto tempo è passato? – Il Professor Emme gli dà forti pacche sulla spalla mentre parla – Per me pochi, per te probabilmente troppi! – ed i due professori ridono contemporaneamente – Ne hai sempre una buona eh? Vai vai, ti vedo che sei di fretta! Ma dopo lezione passa dal Bar! Ciao caro! –  scambiati i posti sulla soglia Emme si allontana verso il centro città.

L’aula è la 404, il Professore non sa quanti studenti seguiranno il suo corso, spera molti, non per vanità, ma per una semplice questione statistica: maggiore il numero maggiori le probabilità che qualcuno possa scrivere qualcosa di valido. La 404, nonostante le modeste dimensioni, è piena zeppa di persone: c’è il grande brusio di tante piccole conversazioni, l’aria calda, viziata. Gli anni erano passati, la sensibilità irrigidita dalla routine, l’odore immutato.

Il Professore si posiziona dietro la cattedra e tiene la sua lezione macinando almeno tre kilometri nello spazio di cinque metri. – Bene, l’indirizzo email ve l’ho dato, aspetto i vostri racconti brevi entro una settimana, per le poesie ve ne do due. Vi assicuro che leggerò tutto, queste lezioni saranno un po’ pallose, ma devo istruire voi giovani operatori della sala macchine affinché altri possano godere della crociera sulla nave Letteratura. Ci vediamo domani, stesso posto stessa ora. – Risata generale, lezione conclusa. Il Professore, uscito dall’università, fuma seduto ai gradini dell’ingresso, una cosa che non faceva da anni. Il cielo era solo il cielo, puntellato dai cipressi.

– Finalmente sei arrivato, pensavo mi avessi tirato un bidone! Allora? Com’è andata la prima lezione?

Emme è al bancone e davanti a lui l’immancabile Old fashioned – Ciao, puoi farne altri due? Grazie. Molto bene, non vedo l’ora che questa settimana passi! – Il barista ha bagnato la zolletta di zucchero e ruota lo spoon per scioglierla, Emme la fissa – Ah! Vedrai come ti divertirai! Ti vedo sereno! – l’ultima sorsata – Beh, quando le cose funzionano! Da come guardi l’Old direi che a te gira male – l’occhio liquido di Emme si rigira verso il Professore – Goditi il tuo tempo, lascia noialtri pensare alle passioni che non possono essere scritte come una frazione a / b, con a e b interi e diversi da 0 – ridono contemporaneamente, il Professore quasi si strozza per controbattere – Cazzo! Ancora quella storia!? Ci credo che vortichi su stesso, stasera offro io, sbronzati col mio buonumore! – Il barista prende il bicchiere vuoto e poggia sul bancone le nuove bicchierate di whisky, il Professore ed Emme brindano – Dai, alla tua caro Professor A! Brindiamo al rapido e felice dispiegarsi di questa settimana! – Il vetro tintinna sopra al bancone.

Il tempo è un concetto relativo, l’attesa del Professor A è serena e leggera, lo stupore alla lettura dei racconti sproporzionato. Cinquanta racconti identici. Che cosa sta succedendo? La sorpresa destabilizza il Professor A e l’unica idea che gli balena in mente è quella di chiamare Emme per raccontargli il tutto.

– Cinquanta racconti identici ti dico, parola per parola, non inviati contemporaneamente. Ti prego, basta con ste domande da scettico pedante! Secondo te com’è possibile e soprattutto: come devo comportarmi a lezione?

– Mi piace farti saltare i nervi! Dai, ragioniamo: hai detto che non è sicuramente un errore tecnico. Io escluderei anche una singolarità statistica. Sì, le tue lezioni possono essere ultra interessanti, ma da questo a condizionarli in così breve tempo ne passa. Poi avrei potuto capire due o tre, ma cinquanta direi che sono troppi. Nessuno è Borges se non Borges e per la dimostrazione del teorema della scimmia instancabile occorre tempo, lo stesso che occorre per conoscere una persona. A questo punto rimane solo la premeditazione, mio caro.

– Ti sembra plausibile che cinquanta ragazzi, perdano tempo ad organizzarsi per scrivere 50 racconti identici ed inviarmeli? Non ho un ego così grande.

– Beh, il racconto può averlo scritto uno solo e poi inoltrato agli altri, che a loro volta l’hanno inviato a te.

– E ti ringrazio per l’ovvietà, il tuo realismo è fondamentale per venire a capo di questa faccenda!

– Di nulla! Va bene, la smetto. Però il rasoio di Occam mi spinge a suggerirti che sia uno scherzo sapientemente articolato.

– Che è? Ti stai lodando da solo per caso? Se scopro che l’ha…

– Ti giuro che non sono stato io.

– Okay, potrei anche crederti, ma non interrompermi.

– E se non gli interessassi tu ma il corso in sé?

– Il corso di scrittura creativa? Te la faccio passare, ma a che pro? Ci sono ancora altre lezioni da fare, che devo farci con sti cinquanta racconti identici? Come mi comporto a lezione domani?

– Per favore smettila di ripetere “50 racconti identici”, al massimo è uno. Io fossi in te tirerei dritto. Dopotutto che c’è di così eccezionale? Qualsiasi scenario abbia generato sto racconto sarà banale, rimane il fatto che il testo in sé è valido. Vai e fai lezione tranquillamente. Lo analizzi, senza paranoie o interrogatori, e aspetti che ti inviino le poesie.

– Cioè, mi stai dicendo di fare finta di nulla? Che sia una situazione normale e andare avanti tranquillamente? E se poi anche le poesie sono tutte uguali?

– Preoccupartene da ora che senso ha? Vai e fai il tuo lavoro. Ne riparliamo tra una settimana, devo andare, mica puoi rubarmi tutta la giornata!

Il Professor A è rinfrancato dalla telefonata con Emme, condividere una situazione paradossale la rende quasi reale e con la materia bisogna avere rapporti pragmatici. Emme aveva definito il racconto valido, l’idea del Professor A era differente: mancava di trama e personaggi, funzionava solo perché si prendeva in giro prendendo in giro il lettore.

Il Professor A era fiero delle sue capacità deduttive, durante le lezioni avrebbe guardato attentamente le facce degli studenti e qualcuno si sarebbe tradito, in una settimana ne sarebbe venuto a capo. La telefonata era stata lunga e le mura lo opprimevano, decide di andare a passeggiare sui bastioni della fortezza. Sulla solita panchina inizia a fumare ed il Duomo che si staglia sull’orizzonte buca il cielo. Da quel buco rischiava di esserne risucchiato e al posto del cielo ci sarebbe stato solo un altro cielo. La relatività del tempo lo rassicurava, una settimana sarebbe volata e contemporaneamente avrebbe dato molte occasioni per scoprire l’artefice di tutto.

Il tempo è anche galantuomo e la fiducia del Professor A nelle sue capacità, almeno in questo caso, malriposta.

– Aspetto ancora le vostre poesie, il termine è domani e non ho ricevuto nulla, ci vuole del tempo per la poesia, è vero, ma ce ne vuole altrettanto per analizzarla! – Mezzanotte e ancora nulla, il Professor A si rigira nel letto, spera che al mattino nella sua casella di posta si materializzi della rugiada. Questa volta all’apertura delle email non è sorpreso.

Cinquanta email. Cinquanta allegati. Cinquanta file word vuoti. Al Professor A sfuggiva palesemente qualcosa. Prende il telefono e chiama Emme.

– Quale studente non ti invia le sue poesie? Dai, è palese che qualcuno stia tramando qualcosa a mie spese. Ma chi? E cosa? E perché?

– Non mi sento di darti torto mio caro egocentrico, ma non sei lucido sulla faccenda.

– Come scusa?

– Ho detto che non sei lucido. Hai ragione nel dire che ti sta sfuggendo qualcosa, il problema è che tu non riesca a vederlo. Posso farti una proposta?

– Sentiamo, ma se dici di far finta di nulla giuro che vengo a strozzarti.

– Sì, e poi ti svegli tutto sudato, Caro! E se domani la lezione la tenessi io?

– Tu? Ma non hai mai espresso alcun interesse sul corso di scrittura creativa!

– Direi che il precipitare degli eventi ha dimostrato come a poco a poco me ne sia interessato, no? Senti a me: domani la lezione la faccio io, poi la sera ci troviamo al bar e ti racconto tutto.

– Perché? Dammi una buona ragione.

– Perché a mio avviso domani rischi di dire cose che potrebbero rovinarti la carriera, sei troppo preso. Ti sto regalando una giornata libera eh, dovresti ringraziarmi.

– Sei serio?

– Serissimo mio Caro A, domani la lezione la terrà il Professor Emme e a cose fatte ne ascolterai la storia, sorseggiando un ottimo Old. Va bene?

– Beh, se sei serissimo. Non fare cazzate però.

– Mai.

Andrea frequenta il secondo anno della triennale in studi umanistici all’università. Non era particolarmente entusiasta della città, speranze disattese e insoddisfatte. Il corso di scrittura creativa sembrava la possibilità di liberarsi dall’ambra nella quale si sentiva imprigionata, ma alla prima lezione si rese conto che lì avrebbe trovato gli strumenti per liberarsi, non le motivazioni per farlo.

Liberarsi è doloroso e costa fatica. A volte è più semplice distruggere.

L’idea di una protesta articolata in tre atti le piace ed era stato facile convincere gli altri ragazzi

– Scusate, abbiamo l’occasione per dare un segnale, per smettere di essere stupide individualità e provare ad essere qualcosa di differente e voi volete tirarvi indietro solo per far leggere le vostre cazzate al Professor A? Siete solo scemi o anche vanitosi? Che pensate di poter fare nella vita? – durante l’assemblea del movimento che andava formandosi Andrea aveva da subito assunto il ruolo di leader.

Il giorno del terzo atto era arrivato, Andrea e gli altri 49 sarebbero entrati in aula e a metà lezione lei avrebbe preso la parola e fatto il suo discorso. Passi sicuri producono un sordo eco per le strade della città, il vento le gonfia i ricci neri, alla testa del gruppo entra nell’università e sale le scale che la separano dall’aula 404. I ragazzi entrano e siedono, inizialmente nessuno nota qualcosa di strano, sono in anticipo ed a breve arriverà il Professor A.

I cinquanta ragazzi sono in aula e dopo trenta minuti non è arrivato nessuno, che il Professor A abbia capito e non si sia presentato? Il pensiero è comune a molti, ma nessuno lo esprime – Che ci fa quello specchio sulla cattedra? – è la voce di un ragazzo seduto in seconda fila, con la mano indica uno specchio rivolto verso le fila dei banchi. Qualcun altro palesa l’oggetto che la tormenta da mezzora, Andrea si sente in parte sollevata, non era pazza e c’era davvero uno specchio lì: perché c’è uno specchio lì?

Quarantacinque minuti. Nel volume costante dell’aula 404 la temperatura aumentava e proporzionalmente anche la pressione. – Perché non abbiamo spaccato quel maledetto specchio ancora? – Qualcuno prova ad avventarsi sullo specchio, ma Andrea è più rapida – Ora finitela e seguitemi, scendiamo nel cortile. – Il tono terreo degli ordini si impone sul marasma di voci e volontà incontrollate, la ragazza dai capelli ricci guida nuovamente i 49 ragazzi per la tromba delle scale.

Arrivati nel cortile li fa fermare e lei continua a passo spedito verso i cipressi più in basso. Lì si arresta, poggia lo specchio a terra e preso il rossetto dalla borsa scrive sulla superficie riflettente, poi si rivolge verso i 49 – Sono delusa dalle bestialità dette e pensate lì dentro, per quanto mi riguarda potete fare quello che volete, ma non lo farete con me nel vostro movimento. Prima di andarmene, però, vi consiglio di venire qui e guardare, forse potrà chiarirvi le idee. – Detto questo Andrea lancia il rossetto a terra e si incammina verso il centro della città.

Il ragazzo che aveva notato lo specchio è anche il primo ad avvicinarsi alla sua nuova collocazione. Nello specchio c’era il riflesso del suo viso, del cielo, dei cipressi ed una scritta rossa: “non c’è cielo senza me”

– Ma che storia è? Sapevo di fare un errore lasciandoti andare a lezione al mio posto! E poi che è successo? – il volto di A è cinereo, la barba sembra essergli cresciuta improvvisamente. Emme allora lo guarda fissamente – Che è successo? Niente. – e vuota il bicchiere – Come niente? – A non riesce a trovar pace sullo sgabello – Già. Sorpreso, eh? – Emme fa cenno al barista di farne un altro – No, deluso. Per cosa volevano protestare? Qual era il messaggio?

– Ah boh! A chi importa? – il barista poggia i bicchieri pieni, – Questa storia interessa solo te, ma è già finita.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Angelo Mustica
Chiamatemi pure Angelo Mustica; ha così importanza un nome che non hai scelto e che ti porterai dietro fino alla fine dei tuoi giorni?
La cifra distintiva è la medietà: nato ad Acri, né borgo né città della Calabria; nel 1995, né millennial né generazione z; laureato a Siena in Lettere Moderne, ma non così tanto; viaggiato per l’Europa, ma non così tanto; fatto diversi lavori, ma non così tanti.
Scrivo per resistere.
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