Aprì gli occhi.
Aveva il cuore che le batteva all’impazzata.
Lo aveva sognato, di nuovo.
Si erano incrociati all’uscita di scuola ormai due settimane prima, e ne era rimasta folgorata.
Così diverso da lei.
La pelle olivastra, talmente liscia da sembrarle seta.
Gli occhi leggermente a mandorla, di un cioccolato di ottima fattura.
Le labbra carnose, che sembravano invitarla ad un gustosissimo banchetto al quale non aveva alcuna intenzione di mancare.
Anzi, si era convinta che dovesse essere proprio lui il suo primo bacio.
“Edo, mi devi aiutare a conoscere Davi.” Scrisse all’amico.
“Ginny, lascia stare. Non fa per te.”
“Beh, per cominciare, è più grande di te. E poi avrà spasimanti sicuramente più carine…”
“Sei proprio uno stronzo. Ti ho visto come mi guardavi mentre ballavo l’anno scorso.”
“Vabbè, a tuo rischio e pericolo.” e le inviò il numero dell’amico.
Cacciò un gridolino di gioia, saltò giù dal letto e si diresse canticchiando in cucina.
Gli avrebbe scritto verso sera.
Col sopraggiungere del buio si sentiva sempre più coraggiosa.
Più tardava nello scrivere, meno possibilità c’erano che lui leggesse il suo messaggio.
‘Altroché coraggiosa, sono proprio una cagasotto.’
Finita la colazione, si andò a preparare per uscire.
Le era venuta voglia di prendere una bella boccata d’aria fresca.
Si diresse verso i campi dietro casa, e si distese ad angelo pensando a cosa avrebbe potuto scrivergli.
Non si era mai sentita così.
Nulla a che vedere con la cotta per l’animatore del grest di quando aveva sei anni.
‘Ma perché crescendo ci si fanno così tanti problemi?’
Viste le premesse di quella che le pareva una florida adolescenza, sarebbe passata volentieri all’età adulta dove, sicuramente, non avrebbe avuto nessuna difficoltà. Sarebbe stata una donna in carriera con tutte le carte in regola.
“Non lo sapevi che qualcuno è morto aspettando?”
Era un messaggio di Davi.
Com’era possibile?
Perché lui aveva il suo numero?
“Scusa? Chi sei?” Finse lei.
“Sai benissimo chi sono. Edo mi ha detto tutto.”
Bene, poteva scavarsi una fossa da sola. E portare Edo con sé.
“Tutto cosa?”
“Ginny, non importa. Ci vediamo stasera?”
“Perché?”
“Ti va di vederci o no? Alle sette, ai giardinetti vicino casa tua.”
Saltò in piedi come se fosse stata punta da un tafano e si diresse di corsa verso casa.
Entrò in camera sbattendo la porta, aprì l’anta dell’armadio con lo specchio, si sedette per terra, e cominciò ad osservare il suo riflesso.
‘Sono nella cacca.’
“Ok…” Rispose, diventando paonazza.
Si alzò, e si precipitò in camera della sorella a frugare tra i suoi vestiti in cerca di qualcosa di diverso dal solito.
Sapeva che si sarebbe presa un mare di parole, ma era questione di vita o di morte.
Optò per un toppino di cotone bianco con scollo a barchetta e dei pantaloni cargo color cammello.
‘Wow! Mi sa che questi diventeranno miei veramente! Ora, pensiamo ai capelli!’
Ultimamente li portava raccolti in una coda bassa.
Sciolti le davano fastidio, ma di tagliarli neanche a parlarne.
Cioè, se si fosse pentita, non li avrebbe mica potuti riattaccare con la colla vinilica.
‘Ci sono! Un po’ di frisé e passa la paura!’
Andò in bagno, prese dal mobiletto sotto il lavandino la piastra frisé che le aveva regalato sua mamma per Natale e si mise all’opera.
Non sapeva bene come maneggiarla, ma si sarebbe arrangiata in qualche modo.
Non voleva pensarci troppo perché mancava sempre meno tempo e voleva esercitarsi nel bacio.
Questione di priorità, insomma!
Una volta completata l’opera si guardò allo specchio.
‘Ottimo, sembro la reincarnazione di Einstein!’
Si mise a sghignazzare di gusto immaginando l’espressione di Davi vedendosela arrivare in quello stato, e si fece due space buns per rimediare a tale oscenità.
Decise di non truccarsi, ma si lavò i denti per dieci minuti e si svuotò una boccetta di profumo addosso.
‘Cioè, le basi!’
Sgattaiolò in cucina a prendere una mela, e se ne tornò di corsa in camera per piazzarsi di nuovo davanti allo specchio.
Dopo averla osservata per due interminabili minuti, entrò in azione.
Si avvicinò lentamente verso l’obbiettivo, inclinando leggermente la testa verso destra.
Chiuse le labbra, protendendole lievemente in avanti, e la baciò.
‘Oh cavolo, spero vivamente che le labbra di Davi siano più morbide e calde!’
Dischiuse leggermente le labbra e si lasciò andare a dei movimenti lenti.
Cominciò a roteare il frutto da sinistra verso destra, da destra verso sinistra, e involontariamente sfiorò la mela con la lingua.
Si bloccò.
Ebbe improvvisamente caldo.
Si guardò allo specchio.
Le sue guance erano rosso fuoco.
Le sue pupille, dilatate.
“Cosa mi sta succedendo?!”
Lasciò perdere tutto, e si distese sul letto sperando di calmarsi un pochino.
***
Si risvegliò di soprassalto, con il letto tutto tremolante.
Il nome ‘Davi’ lampeggiava sullo schermo del suo telefonino.
“Hm, ciao, che c’è?”
“Come che c’è? Sono arrivato. Scendi?”
“Oh, merda! Ma che ore sono?!”
“Ginny, ma stai bene?”
“Per nulla! Mi sono addormentata, sono un completo disastro…non è che ci possiamo vedere un’altra volta?”
“Dai Ginny, esci. Mi trovi ai giardinetti. Alla seconda panchina.”
‘Dannazione. Come se ci fosse bisogno di dirmelo. Ti troverei anche in mezzo a centomila…’ pensò.
“Va bene, due minuti e sono lì…”
“A tra poco, testolina.”
‘Testolina? Oddio! Ginny, stai calma!’
Si fiondò in bagno per darsi una sistemata veloce.
Fortunatamente i capelli erano ancora a posto.
Si risciacquò il viso giusto per sembrare meno intontita.
Si diede dei piccoli buffetti sulle guance, fece un bel respiro profondo, e si precipitò al piano di sotto a mettersi le scarpe e uscire di casa.
Si diresse con un passo un po’ impaurito, ma deciso, verso la salitina dei giardinetti che l’avrebbe condotta alla panchina che le avrebbe cambiato la vita.
Curvò leggermente a destra, e lo vide.
Era appoggiato contro la magnolia in fiore che si ergeva poco più dietro.
Il rosa chiaro dei petali e la carnagione scura di Davi creavano un contrasto paradisiaco.
I suoi occhi la stavano guidando verso di lui senza perderla di vista neanche per un secondo.
Si toccò le orecchie. Erano bollenti.
Ci saranno stati una quindicina di gradi in quella serata di inizio marzo ma lei, in quel momento, si sentiva ai Caraibi.
“Ciao testolina. Fatto bei sogni?”
“Dai! Non mi prendere in giro, non l’ho fatto apposta!”
“Ginny, sono solo curioso.”
“Perché scusa?”
“Perché non dovrei esserlo?”
“Scusa a che gioco stai giocando?”
“Io a nessuno, e tu?”
“Mi prendi in giro?”
“Ma perché dovrei farlo?”
“La smetti di rispondermi con un’altra domanda?”
“Perché? Non posso?”
“Ok, forse è il caso che me ne torni a casa. Aveva ragione Edo.”
“Perché, che ha detto?”
“Che mi avresti presa in giro.”
Fece per girarsi e correre via, ma qualcosa la trattenne.
Davi l’aveva afferrata per la cintura dei pantaloni tirandola a sé.
D’istinto, si portò le mani al viso come a proteggersi da un attacco imminente. Invece, cominciò ad accarezzarle i dorsi.
‘Oddio, ma che sta facendo??’
Le si avvicinò all’orecchio.
“Ginny, tranquilla, non ti faccio niente”.
‘Questo lo dici tu…’
“Ginny, guardami. Volevo solo rompere il ghiaccio. Non vedevo l’ora di vederti, ma appena ti ho visto mi sono frizzato.”
“Davvero?”
“Certo.”
“Non avrei mai pensato che uno come te potesse trovarsi in difficoltà con una come me.”
“In che senso una come te?”
“Beh, tu sei tu. Io sono io, invece.”
“E fin qui tutto regolare.”
“Dai, sai cosa intendo. Tu sei bello…”
“…e tu non sei da meno.”
“…e cieco. Però nessuno può essere perfetto.”
“Non fare la scema, dai.”
“Non sto facendo la scema.”
“Ok. Allora comincia a toglierti le mani dalla faccia.”
“Non so se ci riesco.”
“Ginny, per piacere.”
“Ok, un attimo.”
Allargò le dita per vederci attraverso, e se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo viso mentre la guardava sorridendo.
Rimase incantata, un’altra volta.
Le sistemò dolcemente dietro l’orecchio una ciocca sfuggita alla pettinatura.
Le prese le mani, e le adagiò lungo i fianchi.
Ogni barriera era stata eliminata.
Ora c’erano solo lui, lei e quella voglia matta di baciarlo che non l’aveva abbandonata dalla prima volta che l’aveva visto.
*Roxy*
Osservava le montagne seduta al tavolino sul suo terrazzino.
Poco le importava che fuori ci fossero zero gradi.
Era il suo rituale giornaliero e niente le avrebbe impedito di portarlo a termine.
Soprattutto ora che le cime erano innevate.
Le trasmettevano una sensazione di pace e serenità.
Come se il tempo si fermasse e i problemi si dileguassero.
‘C’è mica un bottone per fare un bel rewind per tornare bambina? Chiedo per un’amica.’
Era un periodo bello intenso.
Il lavoro diventava ogni giorno più frenetico, e non riusciva a dormire molto bene.
Era già tanto che avesse le forze per arrivare a fine giornata con un minimo di dignità.
La sua vita privata non andava meglio.
Aveva letteralmente il cuore spezzato.
Non aveva mai provato un dolore tanto grande.
Insopportabile. Ingestibile.
Era passato ormai un anno, ma ancora non riusciva a toglierselo dalla testa.
‘Dall’anima.’
Si barcamenava tra un appuntamento e l’altro per tenersi impegnata, per poi liquidarli bruscamente dopo neanche cinque minuti perché non erano lui.
Per non parlare dei flirt che risorgevano dall’oltretomba a cui riservava un trattamento ben peggiore.
Non sopportava chi tornava alla carica facendo finta di niente.
Come se nulla fosse successo.
Come se fosse tutto a posto.
‘A posto un cavolo, porca miseria.’
Quanto la imbestialiva non essere presa sul serio.
Una volta presa una decisione, non era solita tornare sui suoi passi.
Anche perché non era una persona che prendeva i sentimenti alla leggera, figuriamoci l’amore.
C’era sempre un valido motivo se decideva di chiudere con qualcuno.
Il ché ovviamente non le rendeva il compito facile.
Significava dover mettere la parola fine ben sapendo che avrebbe potuto soffrire come una dannata.
Come stava succedendo per Simone.
Si erano detti che avrebbero provato a gestire la relazione a distanza, alternandosi.
Erano sorti però i primi problemi.
Lui non avrebbe potuto prendersi ferie come sperato. Quindi si era ritrovata a svegliarsi alle 5 del mattino per farsi due ore di pullman per andare a Bergamo a prendere l’aereo e ritornare a casa dopo neanche quarantotto ore.
All’inizio era stato anche divertente.
Aveva visitato posti nuovi e conosciuto persone che parlavano una lingua diversa dalla sua.
Quasi un sogno.
Poi, però, era cominciata la stanchezza.
La sensazione di malessere ogni volta che avrebbe dovuto prendere un aereo.
La mancanza di entusiasmo quando era là.
I sensi di colpa perché era certa che anche lui stesse male.
Insomma, si era innescato un circolo vizioso, e le chiacchierate non erano più bastate.
C’era stato bisogno di vicinanza, che nessuno dei due, però, era stato in grado di dare.
Il dolore aveva chiuso loro le porte.
Non era rimasto altro che vedersi per un’ultima volta e salutarsi, per sempre.
‘Basta. Non ne voglio sapere più niente. Andiamo di gelato, serie tv e cantanti coreani. Quelli sì che rilasciano serotonina.’
Se ne andò in cucina a prepararsi il suo amato pollo teriyaki con un po’ di riso basmati al vapore.
Si versò un calicino del suo sakè preferito, un junmai daiginjo della regione dello Hyogo, e si andò a sedere sul divano, pronta ad immergersi nel suo confort per eccellenza.
Non fece nemmeno in tempo ad accendere la tv che qualcuno suonò il campanello.
Chi diamine era? Si era premurata che tutti capissero che non avrebbe voluto essere disturbata.
“Chi è?”
“Sono Massi.”
Cosa ci fa qui a quest’ora?
“Massi, sono le dieci di sera. Cosa vuoi?”
“Sì sì, lo so. Dovevo dirti una cosa. Ero fuori con amici e non potevo aspettare.”
‘Oddio, e ora che succede?’
“Prontoo? Mi apri o no? Qua fuori si gela!”
“Uffa che palle…sali va’!”
Lei e Massi si conoscevano dalle elementari.
Erano compagni di classe, e per un periodo lui era stato il suo fidanzatino.
Almeno finché lei non l’aveva maledetto perché si era preso una cotta per un’altra.
Scoppiò a ridere a ripensare a quel periodo.
Si ricordava che lo guardava in un modo così torvo che lui a momenti aveva avuto fin paura di passarle accanto.
E c’erano stati anche giorni in cui lei si era costruita sul banco delle muraglie cinesi con gli astucci dei compagni per evitare di incrociare il suo sguardo.
Finché lui non aveva preso coraggio e non le aveva chiesto scusa, invitandola a casa sua a giocare a nascondino ed era tornato il sereno.
Si erano poi persi di vista, per ritrovarsi ad una rimpatriata quando ormai frequentavano le superiori.
Era incredibile come fosse cambiato.
Doveva ammettere che ne era rimasta ammaliata.
Altissimo, moro, occhi verdi.
E la solita lingua tagliente.
Aveva sempre avuto un debole per le persone che riuscivano a tenerle testa.
Figuriamoci per quelle che si divertivano a punzecchiarla.
All’epoca, però, erano entrambi impegnati quindi avevano deciso di non barcamenarsi in acque inesplorate.
Avevano, invece, cominciato a confidarsi i loro crucci diventando una spalla sulla quale poter contare nei momenti di difficoltà.
“No, ma tranquilla, continua a fantasticare…”
“Oddio Massi, mi sono incantata un attimo, dai…”
“Nulla di diverso dal solito, direi.”
“Senti vecchio, vuoi che ti sbatta fuori di casa? Già tanto che ti abbia fatto entrare!”
“Oh, vecchio a chi? Stai calma, cocca!”
“Cocca lo dici a tua madre.”
“Siamo tesi oggi? È successo qualcosa?”
“Sono stanca. Volevo riposarmi, ma sei arrivato tu…”
“Scusa il disturbo allora…”
“Dai Massi, che mi devi dire di così importante?”
“Hm, sinceramente? Non penso sia il momento giusto. Te lo dirò un’altra volta…”
“Dai su, non farti pregare. Sono tutta orecchi…”
“Prometti di non arrabbiarti e di ascoltarmi fino alla fine?”
“Oddio, ci provo…”
“Ok. Allora, ero a fare ape con gli amici quando ho sentito il bisogno impellente di vederti. Di sentirti vicina. Insomma, Roxy, usciamo insieme?”
“Puoi ripetere?”
“Tu mi piaci Roxy. Usciamo insieme?”
“In che senso ti piaccio?”
“Nell’unico senso in cui tu mi possa piacere.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“Come no. Sono venuto qui di corsa alle dieci di sera perché volevo farti uno scherzetto. Ma ti pare?”
“Ti pare normale che tu di punto in bianco mi venga a dire una cosa del genere? Permettimi di essere un po’ scettica, per non dire sconvolta!”
“Non puoi negare che tra noi ci sia sempre stato un certo feeling…”
“Quello è indubbio. Però avevamo anche deciso di non curarcene. Non capisco perché ora te ne vieni fuori con questo discorso…”
“Sono stufo di vederti stare male. Voglio farti star bene.”
“Massi, io ti ringrazio. Ma non penso sia un valido motivo. Tu mi fai stare già bene così come siamo. E non oso nemmeno immaginare come sarebbe perderti come amico. Non saprei proprio che fare…”
“Lo imparerai.”
“Scusami?”
“Lo imparerai. Io non posso più esserti amico.”
“Vuoi davvero buttare via vent’anni di amicizia?”
“Roxy, non me la sento proprio di starti vicino aspettando il prossimo coglione che ti farà soffrire.”
“Ah tranquillo, non ho nessuna intenzione di trovarmi qualcuno in questo momento.”
“Dici sempre così. E poi, taaac.”
“Senti, non esagerare…”
“Non esagero. Succede sempre così.”
Lo fulminò con lo sguardo.
“Che c’è? Vuoi che ti faccia un riassunto?”
“Massi, smettila.”
“No che non la smetto. Devi scegliere meglio le persone con cui stare. Ti fai sempre prendere dal romanticismo e ti ritrovi con casi umani cronici. Svegliati!”
Si alzò dal divano per andare ad aprirgli la porta.
“Vattene. Non ti voglio più qui.”
“Come vuoi.” E se ne andò senza battere ciglio.
‘Che stronzo!!’
Se ne tornò a sedersi sul divano, si abbracciò le ginocchia, abbassò la testa, e scoppiò a piangere.
Sapeva di non essere perfetta, ma non si meritava affatto un simile trattamento.
Soprattutto, non da lui.
Mai avrebbe immaginato che i suoi sfoghi le si sarebbero ritorti contro.
Ma soprattutto, non si capacitava di come lui avesse preferito esplodere di frustrazione invece di salvaguardare il loro rapporto.
E questo, la faceva stare veramente male.
Perché non gliene aveva parlato prima?
Non voleva credere che tutti quegli anni fossero stati una grandissima bugia.
Tirò un pugno sul divano.
“Maledizione, non lo sopporto!!!”
Si prese il calice di sakè, se lo scolò tutto e si alzò per versarsene un altro.
Aveva tutta l’intenzione di ubriacarsi fino a non capire più niente.
Era stufa di tutte quelle pressioni.
‘Ma che andassero tutti a quel paese e che non tornassero più!’
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