(…) In ogni capitolo trovate quindi una parte di autobiografia, Dalle pagine di diario, e una parte ‘condita’ di fantasia, Dallo scrigno magico. Qui ci sono alcuni personaggi delle fiabe o delle storie che mi parlano, ma anche sentimenti e parti del mio corpo. Sullo sfondo infatti ci sono i limiti e la disabilità, ed è stato un mezzo per dar loro voce e, insieme, per sdrammatizzare. Un altro strumento usato sono state le lettere, per parlare ai familiari o a me e all’odiato-amato corpo da una prospettiva diversa e insolita. In questo filone si collocano anche I messaggi di Capovolto, un simpatico amico alieno nato dal ricordo del raccontino di fantascienza Sentinella. (…)
In una piccola città, in una bella casetta, vivevo con la mia famiglia, mamma e papà, spesso la nonna, e anche degli animali domestici a farmi compagnia. Avevo tanti giochi e tanti libri e vivevo tranquilla, serena e contenta. (…)
A volte avevo paura, a volte mi toccavano dolori fisici ma con l’amore di chi mi stava vicino tutto passava in fretta. (…)
Dallo scrigno magico
Il buco della sete
In una piccola casa, in un villaggio di media grandezza, sopra una grande collina vivevo con la mia famiglia, i genitori e la nonna, tanti libri, giochi e anche degli animali domestici a farmi compagnia.
Ero una bambina normale, come ogni altra, o almeno così mi sentiva e gli altri mi facevano sentire… in realtà qualcosa di diverso c’era, potevo muovermi poco e vedevo solo da molto vicino, ma la mia vita era felice e serena. O meglio, lo era per un po’, poi iniziarono a farsi strada le difficoltà, le differenze e le fatiche. Ma mi ero abituata a sorridere sempre, a non esprimere mai il mio punto di vista soprattutto se era negativo: gli altri mi vedevano sempre contenta, mi apprezzavano per questo, perciò mi sentivo in dovere di essere sempre così anche quando non lo ero, per non deludere nessuno, e poi mi sembrava più facile che provare a cambiare…
Un giorno mi scoprii un buchino nella pancia, cercai di non guardarlo e di non pensarci per star tranquilla, tanto solo io riuscivo a percepirlo: nessun altro per fortuna se ne accorgeva… ma pian pianino il buco si ingrossava, finché divenne enorme e non potei più evitare di vederlo né di sentire un gran fastidio.
Il freddo passava attraverso quel maledetto buco e facevo fatica a scaldarmi, anche se mi coprivo con vestiti morbidi e pesanti che i miei cari mi davano. Avevo bisogno di affetto per riempirlo, ma non era facile chiederne e ottenerne. Sentivo il bene della famiglia, ma avrei avuto bisogno di sentirmelo dire, di dare e ricevere baci e abbracci…
Dal buco uscivano mostri, che mi impaurivano e divoravano ogni cosa, soprattutto la mia positività. Il più cattivo era il mostro della paura, mi bloccava e non c’era verso di fare qualcosa di nuovo e diverso, di andare verso i miei compagni con atteggiamento aperto, anche se lo desideravo… mi toccava aspettare sempre che qualcuno facesse il primo passo, ma nel frattempo ero prevenuta verso tutti, così mi ritrovavo sempre più sola e delusa.
Provai allora a riempire fino in fondo il buco di cose buone, soprattutto dolci, spesso ingollati velocemente, in gran quantità e di nascosto; provai accumulando carta, libri e parole scritte… provai a chiudere l’odiato buco, cancellarlo, far finta di non vedere ogni emozione negativa, tutto quello che non volevo sentire di me, che mi sembrava brutto… ma il buco dentro diventava sempre più grande, nero e profondo.
Poi un giorno pensai che dovevo trovare il tappo adatto e mi furono offerti tappi di vari tipi. Ne provai alcuni dolci e altri pieni di parole e storie. Apparentemente erano buoni ma… continuavo a star male; cercavo e cercavo, ma non riusciva a trovare il tappo giusto; provai a riempire il buco di gesti buoni verso gli altri… finalmente stavo meglio ma niente, il buco era sempre lì… infine smisi di cercare. Stavo male, mi sentivo stanca, triste e arrabbiata e cominciai a piangere. Quando smisi, nel silenzio udii una voce che mi diceva: “Smetti di cercare fuori, cerca dentro di te”.
Allora intuii che quella voce aveva ragione… mi accorsi di mondi magici, colorati e ricchissimi che iniziai a esplorare in un viaggio, sentii che a volte era una riscoperta di qualcosa che già un po’ conoscevo. Spesso trovavo angoli bui o piccoli mostriciattoli, ma riuscivo a guardarli senza troppa paura, a volte provavo perfino a dargli un nome, magari buffo; ma soprattutto, facevo queste esplorazioni sola, senza aspettare che qualcuno mi convincesse a camminare o mi prendesse per mano… dopo tutto, anche la solitudine poteva essere una condizione piacevole!
Felice della scoperta, cominciai ad avvicinarmi agli altri in modo più aperto, a osservarli più attentamente… sorridevo, facevo loro domande e proposte accettando che potessero andare bene oppure no… Scoprii che tutti, come me, avevano il loro buco ricco di luci, colori e qualche ombra e che le persone più belle per me erano quelle consapevoli di avere un buco e che vi si immergevano ogni tanto.
Pian piano, il buco diventò più piccolo, ma fortunatamente la porta di quel mondo magico non scomparve mai.
Chiacchiere con la Pimpa
– Ciao Marta, sono la Pimpa! Ti ricordi che giocavamo sempre insieme. Ma davvero stavi sempre bene?
– Sì, quasi sempre…
– Non eri mai triste? Non avevi mai paura?
– Forse… a volte… ma stavo coi miei cari e mi rifugiavo nella fantasia, nelle storie…
– E non ti sentivi mai male? Diversa dagli altri?
– Non mi pare, non ricordo… cercavo di non sentire nessuna emozione, credo, in particolare quelle brutte, e di evitare le situazioni che mi mettevano in gioco e mi creavano disagio e difficoltà…
– Ma non ti arrabbiavi proprio mai per quello che non riuscivi o non potevi fare?
– No, al massimo ero triste… oppure mi consolavo abbondando col cibo mangiato veloce… o lo rubacchiavo per trasgressione… ma la rabbia non la conoscevo proprio…
I messaggi di capovolto
Il mio amico alieno, Capovolto, mi scuote per bene, anzi mi mette a testa in giù e mi stuzzica: “Guardati da un’altra prospettiva, da come sei ora: non pensi che la Pimpa abbia colto nel segno, con l’ingenuità dei bimbi?”
“Certo che sì, ma insieme anche no” e parlo cercando, contemporaneamente, di fare una goffa capriola. “Per la maggior parte del tempo, ero serena e contenta perché ero una bimba fortunata, avevo l’amore e la protezione dei genitori e dei nonni tutti per me, che mi sostenevano nelle difficoltà. D’altra parte, però, insieme, mi ero abituata a guardare il meno possibile il male, l’ombra, soprattutto quella dentro di me, tanto che mi ero quasi illusa che non esistesse…”
“Già” fece il mostriciattolo camminando sulle sue mani-protuberanze “le parole magiche di questo tuo tempo… protezione e illusione…” (…)
Dal corpo: Lettera agli occhi
(…) “Miei cari occhi, siete una parte di me e quindi, a modo mio, vi voglio sempre bene, ma spesso mi fate preoccupare, intristire e anche proprio incazzare.
Mi avete tirato parecchi colpi bassi, quando meno me lo aspettavo. Invece del viaggio a Parigi, mi sono vinta l’intervento per il distacco di retina. E qualche anno fa, le iniezioni nell’occhio per provare a fermare la maculopatia, replicate recentemente. Di solito si comincia da anziani, ma ovviamente volevo portarmi avanti…
Per carità, la mia vista molto corta (nonostante gli occhiali) mi ha sempre permesso di cavarmela più che discretamente nelle attività quotidiane, in casa, con la stretta collaborazione di tante altre parti di me.
Certo, riuscire a fissare lo sguardo verso un punto appena lontano era una missione impossibile per voi occhi imprevedibilmente ballerini, ma dopo l’intervento a 14 anni ci si riesce un po’ di più… peccato che nel tempo, e nonostante altre operazioni ben fatte e gli occhiali migliori, la vostra vista si è accorciata ancor più…
È vero, l’essenziale è invisibile agli occhi e, in effetti, constato che si sono affinati gli altri sensi e tante abilità per compensare… ne ho fatto esperienza, inaspettatamente positiva, a Dialogo nel buio all’istituto dei ciechi…
Però, purtroppo o per fortuna, del vostro problema non ci si rende conto a prima vista, e scusate il gioco di parole… infatti di solito con gli occhiali ci si vede bene!
E soprattutto, non offendetevi per quello che dico, provo anch’io che la verità a volte fa male ma so anche di essere oggettiva: la vostra condizione, tra tutte le parti del corpo, è quella che ha l’impatto negativo più forte nella mia quotidianità. Eh certo, cari miei, non mi è possibile spostarmi da sola con nessun mezzo, giusto a piedi nelle immediate vicinanze una volta che memorizzo bene la strada. Se fosse stato per le gambe, la patente l’avrei presa… guarda caso, i 18 anni sono stati il momento di massima rabbia e depressione a causa vostra…
E poi, riconoscere il viso delle persone già incontrate e che trovo per strada è un’impresa quasi titanica, tanto che spesso e volentieri ci rinuncio in partenza: difficilmente saluto per prima, di solito rispondo in automatico, senza avere tempo e modo di fare mente locale… e comunque non esiste una soluzione definitiva: spesso risalgo alla persona dalla voce, ci arrivo per deduzione, a volte chiedo a chi mi accompagna, (e in questo caso meno male che giro sempre in compagnia!) ma altre resto col dubbio, comunque non funziona mai a prima vista!
Ma quante espressioni legate a voi abbiamo nella lingua italiana? La vista è proprio predominante, meno male che c’è qualcuno, come me, che valorizza i sensi che di solito hanno meno importanza…
Ora vi e mi guardo con occhi diversi, più maturi e buoni.” Marta
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