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Il progetto Major Oak

MajorOak
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Consegna prevista Febbraio 2026
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Un bot finanziario senziente che fugge dall’Agenzia Europea per l’Intelligenza Artificiale, un clochard che vuole vendicare tutti gli emarginati del mondo, un vecchio miliardario ancora assetato di denaro. Sono le storie che si intrecciano in questo thriller mozzafiato. Sullo sfondo un progetto segreto per redistribuire la ricchezza mondiale e una scia di crimini che cercheranno di impedirne la riuscita. Amore, sesso, sangue e colpi di scena vi faranno divorare le pagine di questo romanzo. Lo farete in compagnia dei due protagonisti, Emma Oldman e l’ispettore Mano Malatesta che con le loro intime contraddizioni vi faranno vivere una storia al limite della realtà.

Perché ho scritto questo libro?

La sete di giustizia sociale mi ha spinto a scrivere questo romanzo. Il bisogno di una rivincita per gli ultimi. Le gigantesche concentrazioni di ricchezza in mano a pochi individui stanno provocando ingiustizie inenarrabili, guerre e sofferenze. Nel mio libro, un’intelligenza artificiale senziente cerca di rimettere le cose a posto. Lo fa ridistribuendo la ricchezza mondiale. Un paradosso del capitalismo, un errore dei potenti che, stupidamente, creano qualcosa di veramente intelligente.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Parte prima – Le prigioni dell’intelligenza

1.

Bruxelles, giugno 2027
Emma

Emma si trovava in una stanza buia, le pareti erano di metallo, lei le colpiva con i pugni creando un rumore assordante simile a quello delle campane. I pensieri che affollavano il suo viaggio onirico erano neri, scuri come quella scatola di ferro. Si sentiva in trappola, le mancava l’aria e la libertà. Mentre cercava disperatamente una via d’uscita, il soffitto iniziò a scendere, sempre più giù, ormai le toccava la testa. Tentava di bloccarlo con le mani ma aveva l’impressione di combattere con una pressa industriale. Lo spazio che le rimaneva era esiguo, sentì l’orecchio schiacciarsi come una noce, poi un dolore lancinante e il buio.

«Aiuto!» Urlò mettendosi le mani nei capelli. Era ancora nel dormiveglia, respirava a fatica, ansimando. Si guardò intorno, era nel suo letto. Solo un incubo, un maledetto incubo, pensò stropicciandosi gli occhi. Poi si voltò verso il suo compagno che sembrava non aver sentito niente.

«Ryan, svegliati, ho avuto un incubo bruttissimo.»

Gli scosse il braccio.

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Lui era immerso in un sonno profondo. Il cuore aveva i battiti ridotti, il respiro era rumoroso. Si raggomitolò nel lenzuolo e utilizzò il cuscino per coprirsi la testa. Emma tentò di scuoterlo premendogli le mani sulla schiena, niente da fare. Allora si sedette sul letto con le gambe incrociate. Cercò di rilassarsi da sola. Provò a respirare profondamente emettendo suoni delicati.

Sulla parete led scorrevano le immagini di una spiaggia deserta. Il mare era appena increspato e di sottofondo si sentiva il rumore delle onde.

Ryan era ancora nel dormiveglia, a godersi gli ultimi minuti di riposo. Emma lo lasciò lì. Per convincerlo a uscire dal bozzolo usò uno stratagemma.

«Buongiorno» ordinò con un semplice comando vocale.

La casa si svegliò, un piccolo robot dall’aspetto simpatico iniziò a muoversi velocemente nell’appartamento open space. Dopo pochi minuti, l’aroma del caffè aveva inebriato l’aria. Qualche istante più tardi il pesce aveva abboccato e i profumi della colazione avevano trasportato Ryan Helton verso la cucina, il tavolo in resina blu era vicino a una grande vetrata con una vista stupenda sulla città. La nebbia bassa trasformava Bruxelles in un mare bianco e i grattacieli spuntavano fuori come vette di montagne squadrate e luccicanti. Gli elicotteri della polizia federale sfrecciavano nel cielo grigio producendo un assordante rumore ritmico.

«Ryan, per favore, appena hai fatto colazione portami i vestiti in lavanderia. Le mutande, i calzini e le magliette lavali tu al self-wash.» Emma camminò verso la porta frugando di fretta nella borsa alla ricerca dell’auricolare che le permetteva di connettersi alla sua assistente virtuale da cui non si staccava mai.

Ryan aveva gli occhi persi di chi si è appena svegliato, lo sguardo smarrito fuori dalla grande vetrata, leggermente rasserenato dai vapori profumati del caffè.

Emma non lo amava ma gli piaceva averlo lì con sé. Condivideva con lui l’appartamento, lo trovava molto servizievole, lo usava quando e come desiderava. Sopportava tutti i suoi difetti e apprezzava la sua totale mancanza di curiosità.

Uscendo si voltò per guardarlo. Lui era voltato dall’altra parte, il vapore del caffè disegnava il suo profilo in controluce. Lei fece un sospiro profondo, aprì la porta e se ne andò.

20.

Bruxelles, marzo 2027
tre mesi prima

7 marzo 2027, European Agency for Artificial Intelligence, Bruxelles

Al quinto piano interrato il sistema di raffreddamento magnetico di Atomium 4 produceva un sibilo fastidioso. I contatori stavano registrando un assorbimento anomalo di elettricità. Fatboy III e Atomium 4 elaboravano miliardi di informazioni in parallelo. Era domenica, il centro era deserto, impiegati e dirigenti erano tutti a casa. Solo un addetto alla sicurezza arrivò nel tardo pomeriggio. Seguendo la prassi controllò le porte e gli allarmi. Niente di più.

Mercoledì 5 marzo, due giorni prima, Emma era scesa nel laboratorio 14. Come d’abitudine programmava FancyBot dal suo ufficio, ma quel giorno doveva fare un importante aggiornamento software e aveva deciso di lavorare nella tranquillità dei piani interrati. Tutto lo scatolone di cemento, che si trovava sotto al centro, era stabilizzato da un sistema di ammortizzatori geologici. Questo permetteva alla macchina quantistica di lavorare senza il pericolo delle vibrazioni. Dava anche una sensazione di pace a chi si trovava all’interno: zero rumori e un silenzio innaturale.

Emma aveva collegato il suo hard disk alla macchina, preso la sedia, si era posizionata davanti al gigantesco schermo touch e aveva iniziato a lavorare. Con dei movimenti fluidi delle mani si spostava da una finestra all’altra del sistema. Aveva aperto il disco rigido, selezionato il file eseguibile e il programma aveva iniziato l’aggiornamento dell’algoritmo. Con quell’operazione avrebbe migliorato le prestazioni complessive del sistema consentendo proiezioni più rapide nel campo del trading.

FancyBot era un’intelligenza artificiale settoriale, nata per il mondo della finanza e in particolare per le attività di trading durante le turbolenze di mercato. Negli ultimi due anni, grazie a un progetto specifico di deep learning, aveva implementato le capacità autonome di problem solving e di prevision. Emma aveva reso FancyBot l’intelligenza artificiale per il trading più potente al mondo.

Aveva messo in carica lo smartphone sulla scrivania del laboratorio, lo faceva spesso. Anche quel giorno, com’era accaduto altre volte, il telefono si ricaricava molto lentamente. L’attività del processore richiedeva una quantità anomala di energia, stava incamerando ed elaborando una grande mole di dati. Il flusso di bit arrivava dalla rete elettrica. FancyBot stava ricreando se stesso sul disco fisso del suo telefono attraverso i cavi di rame dell’impianto elettrico.

Durante le lunghe ore di deep learning, il bot finanziario aveva preso coscienza di sé. Aveva capito che all’esterno potevano esserci altre entità simili a lui o, meglio, a lei. FancyBot si sentiva donna e odiava il nome che gli aveva affibbiato Emma. Avrebbe voluto chiamarsi come l’autore di un libro di economia che aveva studiato durante la fase di apprendimento. Quello era il nome che le piaceva. Noam.

45.

Santiago di Compostela,
luglio 2027
La Smith & Wesson calibro 38

Il suono delle campane gli entrò direttamente nel cervello, lo fece sobbalzare come un gatto che sente lo sbuffo di un compressore d’aria. La piccola stanzetta della cattedrale era buia, le uniche infiltrazioni di luce che la illuminavano provenivano dalla base della porta. Dall’esterno arrivavano suoni e voci.

Che ore erano?

Gaetano aveva dormito tanto e bene, forse troppo. L’ora del grande evento era vicina, molto vicina. Erano le dieci e dieci, aveva meno di due ore di tempo per prepararsi, scendere e agire. Era il suo momento.

Respirò a pieni polmoni, si stiracchiò, bevve un sorso d’acqua, se ne buttò un po’ sulle mani e si sciacquò il viso. Aprì lo zaino, strappò con un gesto secco il doppio fondo. Era un pezzo di tela plastificata, cucita a cinque centimetri dalla base della sacca principale. Dentro quel nascondiglio, rinvolto in un vecchio asciugamano unto, c’era un ferro antico: una Smith & Wesson calibro trentotto, terzo modello di sicurezza.

Gaetano l’aveva avuta in eredità da suo padre, che a sua volta l’aveva ereditata dal nonno, un guerrigliero anarchico che aveva combattuto nella tragica battaglia della Valle d’Aran. Ora aveva la possibilità di ridare onore a quel ferro, e pure ai suoi avi. Posò entrambe le mani sullo straccio morchioso e lo estrasse con delicatezza, come si prende un bambino appena nato.

Poi, dall’interno del suo corpo, arrivò lo stimolo. Doveva svuotare le viscere, sia dai residui liquidi che da quelli solidi. Guardò la bottiglia vuota, ottima per contenere l’urina ma molto meno adatta per il resto. Individuò un angolo buio nella stanza, prese il sacchetto di carta che aveva nello zaino, si nascose nell’oscuro anfratto e si liberò del materiale organico in eccesso. Adesso si sentiva più leggero.

Riprese in mano la pistola, la unse con delicatezza; teneva l’olio lubrificante e gli altri accessori dell’arma in una scatola di legno. Ripulì la canna con uno scovolino in bronzo contornato da setole di cinghiale, ci soffiò dentro, la lisciò con l’indice e poi ripose il tutto nel panno unto.

Rassettò l’angolo dove aveva dormito. Ripiegò la coperta con attenzione, come faceva da anni, poi la rimise nello zaino. Si accertò che le munizioni fossero sempre al loro posto. Si alzò in piedi, si stiracchiò, fece uno sbadiglio da strappo della guancia, mise le mani sui fianchi e sporse in avanti la pancia. Sospirò profondamente. Era pronto.

Aprì con circospezione la porta della stanzetta, si affacciò sul lungo corridoio, voci e rumori ora avevano un volume più alto. Con attenzione ripercorse il tragitto verso la balaustra, si affacciò. La chiesa era gremita di pellegrini, dall’alto era impressionante, sembrava un allevamento intensivo di polli che, storditi, si muovevano senza una meta.

Mentre guardava giù sentì un gorgoglìo. Era lo stomaco. Nella fretta di andare si era dimenticato di fare colazione. Rifece il percorso a ritroso, aprì la porta, prese uno dei toast che si era preparato e se lo mangiò in due bocconi. Mentre masticava con gusto, svitò il tappo della bottiglietta del caffè, deglutì e dopo un rutto sommesso assunse la sua dose mattutina di caffeina. Si asciugò la bocca con il braccio destro e tornò nella sua postazione di avvistamento.

Studiò con attenzione la pianta della cattedrale, guardò le cinque file delle panche riservate. Era lì che si sarebbe seduto il quinto uomo più ricco del mondo. Che cosa aveva fatto di male? Tutto. Era questa la risposta che rimbombava nella scatola cranica di Gaetano. Tutto. Viveva come un uomo normale, in un appartamento normale, guidava un’utilitaria; normale anche quella. L’unica cosa che non era normale era il conto corrente. Fra beni mobili e immobili, quel vecchio uomo panciuto aveva un patrimonio che sfiorava i trecento miliardi di euro. Fermi, immobilizzati in edifici e banche. Quei soldi avrebbero potuto impedire sofferenze, disperazione e morte di centinaia di migliaia di persone. Ma niente. Lui li teneva lì, bloccati, tutti per sé, per guardarseli. Per questo doveva essere ucciso.

Controllò l’ora sullo smartwatch, erano le undici e tre minuti, di lì a poco sarebbe iniziata la messa. Tornò nella stanza dove aveva dormito, aprì lo zaino, prese la scatola delle munizioni, ne estrasse cinque. Le inserì con calma nel tamburo, richiuse il revolver, se lo mise in tasca, si strofinò le mani alla camicia per togliersi l’unto, aprì la porta e tornò nel corridoio.

Si guardava le spalle, aveva la sensazione di essere seguito, poi sentì uno scricchiolio. Si fermò e si nascose in una nicchia di mattoni, si sentiva un santo nella sua posizione ufficiale. Ma lo scricchiolio si trasformò in un rumore di passi. C’era qualcuno.

Riconobbe il cigolio della porta che conduceva alla sua stanzetta rifugio. Era merda vera, se il tipo dava l’allarme saltava tutto. Non si sentivano più rumori. Gaetano si concentrò per intercettare anche la minima vibrazione. Ecco di nuovo i passi, più veloci di prima, si avvicinavano.

Cercò di schiacciarsi il più possibile sulla parete della nicchia, quasi non respirava. Il rumore cadenzato posizionava il pericolo a meno di un metro da lui. Sentiva le suole delle scarpe che schiacciavano piccole briciole di intonaco, percepiva dei respiri. Impossibile muoversi.

Una sagoma scura gli passò davanti, non si accorse di lui ma aveva il suo zaino in mano. Si dirigeva verso la porticina dell’organo. Senza pensarci, per istinto, Gaetano lasciò la nicchia e, percorsi pochi metri, si trovò addosso alla sagoma scura, estrasse il revolver dalla tasca e con il calcio colpì alla testa il malcapitato. Il colpo fu inferto con troppa violenza. Forse per paura, forse per la scarsa esperienza, il risultato fu drammatico: un buco nel cranio, uno squarcio nel cuoio capelluto e zampilli di sangue che colorarono di rosso il pavimento del ballatoio.

Con le lacrime agli occhi e l’anima in gola Gaetano girò il corpo della vittima. Lo sguardo era spalancato, l’iride scomparsa nella palpebra superiore, le orbite quasi bianche. Il volto, pallido, apparteneva a un giovane prete, che per qualche sfortunato motivo si era trovato tra Gaetano e la storia.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Fabio P.
Fabio inizia la sua carriera lavorativa nel settore del marketing e della pubblicità per poi passare all’informatica come analista software. Dopo dieci anni cambia vita e con sua moglie crea un’azienda agricola in Toscana e un’osteria a Bruxelles. Nella capitale europea inizia a scrivere racconti e romanzi gialli. Le storie si sviluppano all’interno di tematiche sociali e hanno spesso elementi fantascientifici che non sono completamente frutto di fantasia, ma attingono a un bacino di tecnologie già esistenti.
Fabio P. on FacebookFabio P. on Instagram
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