La vita in paese non è come ci si aspetta. Credi che conoscendo tutti potrai farti amici, compagni di vita, amanti e qualche volta nemici… in realtà nulla è come ci si aspetta.
La bellezza della vita è la sua imprevedibilità. In qualsiasi momento potrebbe succedere qualcosa di inaspettato. Qualcosa che ti potrebbe segnare per sempre. Anche in un momento di tranquillità come questo, la vita potrebbe prenderti di mira e iniziare a giocare con te. Ti mette alla prova, alle strette. Vuole assaporare l’ansia che ti cresce nel petto quando scopri che c’è qualcosa fuori posto, qualcosa che non sei riuscito a controllare. La vita in paese può sembrare pacifica o banale ai tuoi occhi, tuttavia, può fare più male di un proiettile nel torace. A volte, può anche avvelenarti dall’interno.
Proprio come ha fatto con me.
Quando il dottor Lacroix mi ha raccontato la sua storia lo conoscevo solo da qualche mese. No, non era il duemilaquattordici, lo conobbi molti anni dopo. Eppure, tutto cominciò quell’anno, in un piccolo paesino di montagna. Fu in quel momento che la sua vita cambiò radicalmente.
Cosa faresti se il tuo migliore amico, che conosci da anni, si rivelasse uno sconosciuto da un momento all’altro? Cosa faresti se scoprissi che il tuo migliore amico in realtà fosse un’altra persona? Viscida, lurida, che non si vergogna ad avere foto poco ortodosse rinchiuse all’interno di un seminterrato. Non lo avresti mai detto, eppure vi conoscete da quanto? Dieci anni?… ma è in quel momento, quando senti le sirene di una macchina della polizia echeggiare nel vialetto sotto casa, dalla tua poltrona, e vedendo che Jacques Perrìn, lo stesso uomo con cui facevi pranzi domenicali e lasciavi i tuoi figli a giocare durante il pomeriggio, viene scortato fuori da casa con una non poca dose di violenza da due poliziotti, che ti chiedi se avessi mai conosciuto davvero quell’uomo. Cosa pensasse, cosa sentisse. In tutto quel tempo non ti sei mai accorto di nulla.
In quei pochi minuti nella tua testa riecheggiano un migliaio di domande, di cui non realizzi neanche la maggior parte perché sei troppo preso a guardare la scena, in piedi, incollato alla finestra con un’espressione sbigottita sulla faccia e la bocca leggermente spalancata. Hai in mano un bicchiere con ancora due dita di rum. Sei lì, paralizzato da ciò che i tuoi occhi stanno guardando. Il tuo migliore amico che viene ammanettato mentre è appoggiato con forza sullo sportello di un’autovettura della polizia, sbraitante con il terrore negli occhi. Uno dei due poliziotti – entrato in precedenza nell’abitazione – esce dalla porta di ingresso con in mano uno scatolone pieno di scartoffie, che all’inizio pensi siano scartoffie, ma a mano a mano che ti avvicini di più alla finestra, a pochi centimetri di distanza dal vetro, riesci a scrutare cosa ci sia all’interno. Sono fotografie. Fotografie della tua piccola Lily, scomparsa ormai da una settimana. Quello è il momento in cui senti il sangue ribollire nelle vene che sale e sale fino ad arrivare al cervello. I ricordi dell’uomo della porta accanto, i ricordi di una vita sovrastano le grida dei tifosi a una partita di calcio che stavi guardando pochi minuti prima in televisione. Infine, senti il bicchiere che tenevi in mano andare in frantumi, ma non te ne importa molto perché allo stesso momento senti il campanello di casa che suona. Ma non riesci a muoverti. Sei ancora pietrificato, ma tua moglie è in casa; quindi ci pensa lei ad aprire la porta, non accortasi della situazione all’esterno. Davanti a lei compare un uomo, magro sulla trentina, con lo sguardo basso e il distintivo luccicante. Si leva il cappello.
Passano pochi minuti e senti tua moglie cadere a terra nella disperazione, grida, si tira i capelli.
Il viso del poliziotto si riempie di terrore, cerca di dire qualcosa ma non ha parole. Puoi leggergli negli occhi il senso di dispiacere e di inadeguatezza; si vede che non era pronto a dare una notizia del genere a una madre in crisi.
Immagino stesse pensando quale titolo avrebbe avuto il giornale della mattina seguente: «La piccola Lilia Lacroix, figlia del famoso dottor Lacroix, è stata ritrovata morta nel seminterrato del vicino»
Come siamo finiti a questo punto? la sola domanda che ti poni, forse non la più adatta alla situazione, ma in fondo era una giornata normale per tutti all’inizio, come tutte le altre prima di quella.
Probabilmente Jacques se ne stava tranquillo nel ripostiglio a gustarsi le sue foto prima di mettersi al lavoro. Probabilmente quel poliziotto prima di uscire di casa stava preparando dei pancakes al figlio per colazione dicendogli che sarebbe stata una giornata fantastica, e che non avrebbe dovuto preoccuparsi se Antoine a scuola lo avesse di nuovo preso in giro per lo zaino dei pokémon.
Mentre tu e tua moglie ve ne stavate accoccolati a letto con le finestre ancora chiuse nonostante fossero le dieci del mattino, perché il pensiero di passare un’altra giornata senza Lily vi devastava.
Come siamo finiti a questo punto? non sai che altro pensare. Poi un’illuminazione, un pensiero fugace ti attraversa. Quella domanda non necessita di una risposta, ma di un’azione. Riprendi il controllo dei tuoi arti.
Ti giri verso tua moglie, che ora giace su un fianco e il poliziotto, in piedi difronte a lei, non ha ancora aperto bocca. Ti avvicini, con molta calma. Superi tua moglie, afflitta, non curante del fatto che le sei appena passato a fianco.
Molto cordialmente chiedi al poliziotto di spostarsi dalla soglia, il quale fa un passo verso la tua sinistra entrando in casa. Esci. Fuori fa freddo, non ci saranno più di sei gradi, la nebbia sale sempre più fitta, eppure tu sei in maniche corte e pantofole. Ma a te non importa se ti prenderai un malanno perché potrai prenderti un’aspirina più tardi, quando tutto sarà finito. Prima però devi fare una cosa, anche se non ne sei pienamente convinto, ma il solo pensiero ti dà all’estasi. Giri l’angolo e ti ritrovi nel giardino sul retro, continui a camminare. Senti l’aria fredda pizzicarti le guance.
Ora sei davanti al cancellino che separa te dalla strada. Alzi lo sguardo e vedi l’altro poliziotto girato di spalle che bofonchia qualcosa alla radio ricetrasmittente che ha attaccata alla spalla destra.
Il batticuore inizia a farsi sentire. Ti avvicini alla macchina rimasta aperta. Il poliziotto non si gira. La maniglia dello sportello posteriore dell’auto è gelida.
Entri. Senza emettere alcun fiato.
Sei seduto di fianco a quell’individuo e ciò ti provoca ribrezzo e disgusto. L’uomo a cui hai fatto da testimone al suo matrimonio. L’uomo che ora ti ha tolto la tua unica ragione di vita. L’uomo che ti ha fatto sentire spezzato. L’uomo che ti ha fatto smettere di credere. Colui che ti ha dimostrato che i demoni esistono. Lo stesso uomo che ora è ammanettato, indifeso e intrappolato è accanto a te.
Parole ti entrano in un orecchio ed escono dall’altro, parole che non meritano di essere ascoltate, che vengono pronunciate da una bocca ingannatrice.
Fai un respiro profondo.
L’aria secca ti riempie i polmoni. Non senti più il cuore battere nel petto.
Un momento improvviso. É come se qualcuno si fosse impossessato delle tue mani, che ora sono avvinghiate al collo di Jacques. E stringono. Stringono sempre più forte. Il poveretto cerca di dimenarsi.
Cosa stai facendo? Come sei arrivato a questo punto?
Eppure, era una giornata come un’altra. Prima di questo giorno non avevi mai corso un rischio, e ora non pensi neanche alle conseguenze. Ma confermi ciò che hai sempre pensato, ovvero che stai vivendo una vita che ti vuole morto, quindi perché non correrlo qualche rischio? Giusto?
Questo però è un bel rischio. In questo momento puoi vedere come i capillari degli occhi di Jacques siano sul punto di scoppiare, e il colorito del suo volto da rosso sia passato a violaceo.
Sei estremamente calmo.
Non hai più il batticuore e i tuoi respiri sono regolari.
Ti rendi conto che in questo caso è utile essere laureato in medicina, sai perfettamente quando lasciare la presa.
YANN, 2034
La Grande Guerra, divoratrice di terre, assassina di innocenti, annunciatrice di morte e distruzione. Erano più di nove anni che la guerra consumava ogni cosa su cui si posava. Vagava indisturbata nutrendosi del caos provocato dagli esseri umani, desiderosi di potere e supremazia. Ogni anno avanzava da sud, da est e da ovest, sottomettendo i più deboli.
Il mondo ormai ne era assuefatto, e chi non era coinvolto si contorceva nella sua quotidianità per paura. La Grande Guerra infondeva questo, una paralisi per chi non l’aveva ancora guardata negli occhi.
La Terra si era fermata e le persone concedevano fantasia e interesse solo alla tecnologia, che si evolveva di anno in anno. Molti Paesi limitarono le comunicazioni internazionali e anche le loro risorse. Le automobili divennero ben presto elettriche, non potendo più usufruire delle fonti di petrolio. Internet divenne una fonte per le intelligenze artificiali, che si infiltrarono nella vita di tutti i giorni, nei computer, nei telefoni, nelle auto, perfino tra gli elettrodomestici casalinghi. Le persone, affamate di queste innovazioni, diventarono subordinate a quegli oggetti. In molti dopo la rapida diffusione delle intelligenze artificiali decisero di sfruttarle in guerra. Provarono ad assemblare droni e androidi d’assalto per risparmiare vite umane, ma erano lenti, troppo per vincere una battaglia. Troppo fragili e privi di forza di volontà per affrontare uno scontro. Dopo aver accantonato i droidi d’assalto, decisero di servirsi delle loro qualità in altro modo. Ricerca, attacco a lunga distanza e strategia.
L’economia mondiale era appesa a un filo, la Grande Guerra riscuoteva ogni anno il suo tributo, lasciando le popolazioni mondiali agli sgoccioli. Le imposte e le tasse aumentavano a intervalli sregolati, togliendo alle persone, più di tutti ai poveri e a chi apparteneva ai ceti medi, la possibilità di godere delle gentilezze che poteva offrire la vita. I ricchi rimasero ricchi, spostandosi da una città all’altra, evitando la guerra che si spargeva a macchia d’olio.
Il mondo era cambiato, la gioia divenne un lusso, i continenti si distruggevano a vicenda, le proteste per la pace vennero messe a tacere. La speranza era ormai sepolta sotto chili di cemento, cadaveri e sangue. Come molte città, anche Yann, un paesello di montagna a circa duemila metri di altezza, ai piedi del Monte Bianco, distoglieva lo sguardo da ciò che lo circondava, fingendo che la Grande Guerra non esistesse.
Yann, situato sul confine tra Francia e Italia, era formato da quattro case in croce, una scuola per i più piccoli, un mercato e l’ostello di Giorgio, il luogo più frequentato dagli abitanti. La Francia a causa delle varie discordie politiche interne fu uno dei pochi Paesi d’Europa a non aver ancora preso uno schieramento. In Italia, invece, la guerra si stava facendo strada da sud, mangiando giorno dopo giorno tutte le sue regioni. Nonostante la sua posizione geografica, Yann era rimasto indifferente alla guerra, troppo isolato perché potesse essere assediato.
Proprio per questo in quel paesino la vita è rimasta uguale sin dagli anni venti. Gli unici cambiamenti nel corso degli anni furono le generazioni, i vestiti e il permesso di vendere e assumere alcolici. Da molto i suoi abitanti si erano rinchiusi nella loro quotidianità, lasciando al fato tutto il resto.
Gli abitanti sono chiusi e introversi con i turisti, forse perché non ne passano molti. Yann è un luogo per turisti “speciali”, per così dire; infatti, non è un caso che ai mondani sia consigliato di andare via.
Questo paesino sperduto tra le Alpi Graie viene utilizzato come luogo di transito e soggiorno, poiché vi è costruito un ospedale. Il Venenata Mens. Un ospedale di cura famoso in tutto il mondo della medicina. Viene proposto soprattutto a persone benestanti, con particolari malattie, o per meglio dire: sindromi.
I pazienti al suo interno sono cinque, ogni anno diversi, affetti da malattie molto rare. Durante tutto il soggiorno vengono chiamati “soggetti”. Alcuni tornano a casa in ottima salute, passati i dodici mesi, altri no. Arrivano da ogni parte del mondo, ma in pochi ottengono il privilegio di avere una conversazione con il primario, e ancora meno vengono selezionati. Coloro che vengono scelti spesso si devono fermare a Yann per la notte, per riposare da un lungo viaggio fatto in macchina. Pur non essendo i benvenuti, i pazienti sono i pochi a pagare vitto e alloggio da Giorgio, un vecchio uomo proprietario dell’unico ostello presente in paese.
Tutti a Yann conoscono tutti. Questo implica che tutti conoscono la routine di tutti, e qui è piuttosto monotona da molto tempo.
Quando la campana della chiesa, posta su una delle creste del monte, suona, vuol dire che la giornata per Yann ha inizio.
Il primo ad aprire le finestre di casa è Fred, dipendente e autista del Mens. È lui a portare i pazienti all’ospedale. Per essere un dipendente a tempo indeterminato non lavora molto; è uno dei pochi del paese a conoscere le identità dei soggetti. Non per questo se ne vanta, anzi non presta neanche molto tempo a prepararsi per incontrarli.
Il Mens gli spedisce la lista dei pazienti la sera prima del loro arrivo. Di solito, arrivano tutti ogni giorno a partire dal soggetto Uno. Non gli vengono fornite molte informazioni, conosce solo i loro nomi e l’orario di atterraggio dell’aereo. Lui si limita ad andarli a prendere e portarli a destinazione.
Fred è un uomo semplice quanto una margherita in una serra, così pensa la gente di Yann. Fu scelto dal primario solo perché era l’unico in paese a conoscere molte lingue, nulla più, così dicono le voci.
Fred è il più anziano dopo Giorgio a Yann, ma non abbastanza da andare in pensione. In quegli ultimi anni il suo scopo è stato guidare avanti e indietro da un aeroporto all’altro aspettando la pensione, così credono tutti.
Ciò che è certo, è che non è la vita che si aspettava di vivere.
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