E’ venerdì, ultime ore di lavoro prima del weekend natalizio. Giacomo sta finendo di sistemare gli ultimi dischi e fare i conti dell’incasso giornaliero. –
“Non male! Con questa settimana abbiamo fatto quello che non siamo riusciti a fare a novembre. Menomale che i vinili stanno tornando di moda!” dice tra sé e sé.
Chiude la cassa, spegne le luci e con un saltello scende lo scalino per uscire dal negozio. Nelle orecchie ha già le cuffiette col pezzo dei Talking Heads “This must be the place” che gli fa muovere il piede a ritmo mentre abbassa la serranda. Deve passare a casa prima di farsi un’ora di viaggio per rientrare al paese, dove ha vissuto fino ai ventitré anni, in campagna dove vivono i genitori per passare il weekend di natale. Dal negozio di dischi a casa sono giusto una decina di fermate di metropolitana. Una linea, senza cambio. – E’ una fortuna aver trovato casa e locale per il negozio così vicini in una città come questa. Per trovare una casa decente ad un prezzo onesto è più difficile che attraversare il deserto del Gobi, in Mongolia, a piedi, senz’acqua e con i pantaloni abbassati alle caviglie! – Nel giro di pochi minuti arriva alla fermata della metro. L’app sul telefono dice otto minuti di attesa per il prossimo.
Si mette leggermente defilato sulla banchina della fermata per accendersi una sigaretta e sceglie la musica adatta ad aspettare. Per il viaggio punta tutto sull’accompagnamento musicale da parte dei Moderat e, ovviamente, non può che non cominciare da “New Error”. In un attimo realizza che per tre santissimi giorni potrà rimanere nel dolce far nulla, escludendo i vari appuntamenti tradizionali natalizi, nella silenziosa campagna o fare passeggiate nel bosco. Contatto con la natura, ecco cosa ci serve per resettare un po’ l’anima. Un pò di sana calma. Arriva la metro, puntuale stranamente. Sale e timbra l’abbonamento, semestrale ovviamente perchè quando c’è una bella giornata, o magari non fa un freddo boia o piove, a lavoro ci va a piedi. Una passeggiata mattutina di mezz’ora non fa male. Sempre che non sia all’ora di punta.
“Deve essere tardi parecchio tardi!” pensa per poi guardare l’orologio e scoprendo che sono le sette e quaranta “Sono in ritardo”. Inizia a pensare alle cose da prendere a casa e che, come al solito, non ha preparato nulla. “Bravo coglione!”.
Si accorge quasi all’ultimo che le fermate sono passate velocemente, sovrappensiero, e riesce a scendere poco prima che le porte si chiudessero. Si vede che è venerdì sera dalla quantità di ragazzi che vanno in centro, che è a metà della linea della metropolitana, per fare l’aperitivo. Qualche minuto di camminata, accompagnato dal freddo di dicembre, e arriva a casa. Questo quartiere ha un fascino un pò strano. Ci sono edifici di ogni tipo: grossi e alti palazzi grigi palesemente costruiti negli anni ottanta, si riconoscono dall’architettura grigia e triste di quegli anni, palazzi divisi in quanti più appartamenti possibili; palazzine un pò più decenti, sui cinque piani, con un piccolo cortile interno che, a piacimento del costruttore, è fatto in cemento oppure è composto da un piccolo giardino. Infine ci sono queste costruzioni molto più basse, potremmo dire anche più umili, con negozi al piano terra e, al secondo o terzo piano, uno o due appartamenti. La fortuna è che, adiacente al quartiere, c’è un piccolo parco, un’area verde, dove le persone fanno sport, portano i cani ed i bambini a giocare. E’ molto frequentato e, fortunatamente, la cittadinanza e le associazioni si sono organizzati in piccole squadre di pulizia una volta al mese. Un buon esempio di come la collaborazione ed il senso di comunità può aiutarci a vivere più serenamente. Certo, lo stronzo c’è sempre ma, se unita, la maggioranza ha più potere di cambiare qualcosa in senso positivo. Giacomo vive in uno di questi edifici a due piani. La facciata non è niente di che ma almeno divide la palazzina soltanto con i due negozi che sono al piano terra. Tra l’altro sono due negozi di utilità assoluta dato che ci sta la signora Maria, siciliana, con il suo bar “Come a Casa” che è di una gentilezza assoluta ed il signor Paolo che ha una copisteria, sempre necessaria per chi non ha molti attrezzi tecnologici in casa, ma è più un tuttofare che risolve qualunqua situazione e problema in casa quando non ha la più pallida idea su cosa fare. La casa non è grande, assomiglia più ad una mansarda, in compenso però ha una terrazzina, anche questa non gigante, che gira tutto intorno. In terrazza coltiva molte piante, molte aromatiche e spezie, in modo da dare un tocco di natura al posto in cui vive. D’estate coltiva piantine di frutta e verdura, di piccole dimensioni, che possono essere coltivate nei vasi: alcune piantine di pomodori, delle zucchine, fragole, peperoncini e le piante aromatiche come basilico, rosmarino e salvia. Apre il cancello, al centro delle vetrine dei due negozi, e sale le scale che portano al portone dell’ingresso di casa. Gira i due chiavistelli della porta ed entra nel piccolo corridoio che separa le tre stanze. Fortunatamente casa è calda, servirà per riportare la temperatura delle mani, delle orecchie e del naso ad un livello accettabile. Quantomeno per riuscire a fare la borsa coi vestiti ed il resto della roba per i cinque giorni di vacanza a casa. Lascia il computer sulla scrivania e va in cucina. Manda un messaggio alla mamma scusandosi del ritardo e prende un pò di tempo per prepararsi una tisana da bere durante la scelta dei vestiti da mettere in valigia “Tanto, alla fine, mi porto sempre le quattro cazzate che il resto è da lavare o stirare” si ripete aprendo l’armadio e guardando i vestiti puliti rimanenti.
Mentre il calore della bevanda calda fa effetto sul corpo butta i vestiti nel borsone. “Perché non portarsi anche una busta con della roba da lavare? Approfittiamo un pò di questi cinque giorni di eccessivo affetto materno per liberarsi di un pò di roba da fare al rientro a casa dalle vacanze!”.
Chiude il borsone e lo posiziona sull’uscio di casa insieme alla busta dei panni sporchi, la bottiglia di vino per la cena di stasera e si fa un giro di perlustrazione per la casa per non dimenticare nulla. Gas chiuso, luce spenta e spine varie staccate dalla presa. Con quello che fanno pagare le forniture energetiche è meglio non lasciare niente al caso. Arriva alla macchina e si rende conto che l’unica cosa che non ha portato con sé sono le chiavi dell’auto che sono rimaste appese al portachiavi all’ingresso “Ogni volta la stessa storia!” si rimprovera sbuffando.
Rientra di corsa per evitare che gli venga rubato il borsone ed in un baleno è seduto dentro l’auto pronto a partire. Ha la stessa macchina che il papà gli ha regalato a diciannove anni per il diploma, una Toyota Yaris del duemiladieci, con un po’ di ammaccature in più rispetto a quei tempi ma è ancora in grado di portarti ovunque. La strada per la casa dei genitori ormai la sa a memoria e quindi l’unica cosa da impostare è la musica per il viaggio di rientro. Visto l’orario e la giornata lavorativa alle spalle opta per il rock, bello potente, che gli da la carica giusta per affrontare un viaggio in macchina: Franz Ferdinand, Black Keys, Queen of the Stone Age; così che un’ora di viaggio possa passare velocemente tra riff di chitarra e a solo di batteria. Appena imboccata la superstrada che lo porta a casa dei suoi genitori si notano le stelle che cominciano a sbucare fuori sempre di più. Man mano che si allontana dalla grande città, l’inquinamento luminoso e le condizioni miglioreranno sempre di più, il cielo notturno si mostrerà in tutta la sua magnificenza. Lo stesso vale però per la temperatura che più sarà fuori dal grosso centro abitato e più si abbasserà notevolmente. Tra la casa in città e quella dei suoi genitori passano circa quattro o cinque gradi ma, questo, vale anche per l’estate in cui l’aria di campagna è leggermente più mite e vivibile. Arriva alla casa di campagna, dove ha passato la sua vita da quando è nato fino ai ventitré anni, che si trova a circa dieci chilometri dal centro abitato più vicino che ha circa cinquemila abitanti. Praticamente un paese in cui, alla fine, tutti si conoscono con tutti e, non si sa come, gira che ti rigira sono tutti zii o cugini di primo, secondo, terzo, quarto o millesimo grado. La casa è un villino su due piani con un ampio giardino con all’interno, dall’altro lato rispetto alla casa, una piccola dependance per gli ospiti. Questa casa è stata costruita con i sacrifici ed il duro lavoro di suo padre e di sua nonna come regalo per la nascita di Giacomo. Tutto intorno ci sono soltanto campi predisposti alla coltivazione di proprietà di alcune aziende agricole, un’altra villa a circa un chilometro di distanza e poi per il resto è un bosco con una vegetazione molto fitta con un piccolo ruscelletto che ci passa in mezzo. Si ricorda di quando da ragazzini, con il fratello minore, si passavano giornate intere a giocare nel bosco nei pressi dell’abitazione. Si giocava a costruire capanne ed a fingersi ricercatori di oro e quando si rientrava a casa, sporchi di fango dalla testa ai piedi, e la mamma li faceva spogliare completamente prima di entrare in casa altrimenti avrebbero cenato fuori in giardino. Arriva davanti all’ingresso di casa, parcheggia la macchina nel vialetto e fa per suonare il campanello. Ha le mani occupate e troppa voglia di entrare al caldo di casa che non ne tempo ne intenzione di cercare le chiavi nel borsone. In ogni caso la mamma ha già aperto sia il cancello che la porta, quasi come se stesse aspettando alla finestra.
“Ciao Mamma!” esclama Giacomo.
“Ciaaaaooooo tesoooooroooo!” quasi grida la mamma avvolgendolo in un abbraccio mentre comincia, ovviamente con le cinquecentomila domande sputate a raffica. “Allora, come va? Come mai hai fatto tardi? Hai lavorato tanto?” e molte altre esclamazioni in sequenza “Ma come ti sei vestito? Non ti sembra un po’ leggero per le temperature? Dai sbrigati, entra! Entra, corri che senno ti geli!”.
” Si, direi che è meglio che parlare qui fuori con il freddo che fa!” concorda Giacomo.
Entrano insieme in casa e, prima di lasciare le cose nella dependance, vanno in salotto per salutare il padre che sta seduto sul divano a guardare uno dei soliti film natalizi che passano alla tv. Ovviamente la mamma non ha ancora smesso di far domande creando uno stato mentale in Giacomo di assoluto rimbecillimento ma ci pensa il papà a interrompere tutto.
“Ciao figlio! Come stai? Lo sai com’è fatta la mamma soprattutto quando non ti fai sentire per più di 4 giorni!” ammicca con un occhiolino.
“Hai ragione papà!” risponde e girandosi verso la mamma continua “Fortunatamente sono stato impegnato molto con il negozio!”.
“Aaah… menomale allora! Scusa se ogni tanto tua madre gradirebbe una telefonata o anche un messaggino! Anche solo un “ciao, sono vivo” basterebbe!” ribatte la mamma.
“Ora vai a sistemarti nella dependance e torna, praticamente subito, che la cena è quasi pronta! Stasera si sta leggeri che ci aspettano due giorni pieni: zuppa di verdure!” con il classico tono di voce al quale chiunque obbedirebbe senza fare alcuna domanda perché chiude il discorso con un bel “Parliamo dopo!” e gli lancia le chiavi per la depandance.
Attraversa il giardino ancora ricoperto dagli strati di vestiti, che secondo mamma sono pochi, ed entra nell’abitazione. Giacomo ci ha vissuto, lasciando la propria cameretta, dai diciotto anni fino a quando non se n’è andato e non è cambiato nulla. Ci sta ancora quella stampa, incorniciata, di quel cartellone autografato da Paul Kalkbrenner durante un concerto a Berlino. La scrivania nera con l’impianto audio della Pioneer, che gli è costato l’intero guadagno di una stagione da barman al mare, collegato al giradischi. E poi eccola lì, sul parete in fondo al salone, la libreria con la sua collezione personale di vinili. Quasi mille. Una volta che li ha ascoltati per bene, nella sua casa di città, un centinaio di volte, li impacchetta e li spedisce a casa che poi sistemerà la prossima volta che tornerà. Infatti c’è una bella pila di vinili da sistemare appoggiata sopra al tavolo. Sono catalogati in maniera quasi maniacale: per genere, anno e artista o band. Possiamo dire che questa collezione è la causa del lavoro che si è scelto. Lascia il borsone in camera, programma l’accensione dei riscaldamenti in modo da trovare la casa calda al rientro ed esce per andare a cena con i suoi genitori. Rientra nel salone e trova la tavola già imbandita con papà già accomodato e la mamma intenta a servire la zuppa.
“Ci stava proprio una bella zuppa di verdure!” esclama Giacomo spostando la sedia per accomodarsi al tavolo.
La mamma si chiama Franca, sulla sessantina con un corpo esile, è nata e cresciuta in questo paesino. Ha avuto una vita semplice, in linea con quel periodo storico: fidanzamento a sedici anni, sposata a diciannove, primo figlio a ventuno e secondo a ventiquattro anni. Ha sempre dedicato mente, corpo e anima alla gestione della casa e della famiglia, soprattutto di Giacomo ed il fratello Giulio, che ne combinavano una dietro l’altra. Ha avuto qualche lavoretto sporadico, anche un po’ per spezzare la quotidianità, perché il marito, il papà di Giacomo, era spesso in viaggio per lavoro. Negli occhi però ha sempre quel luccichio vispo e acceso che gli dona una vitalità ed un’energia singolare. Papà Dario invece è un omone di statura non indifferente, compie sessantacinque anni quest’anno ed è in pensione. E’ nato in città ed è cresciuto lì fino ai quindici anni, con la famiglia poi si è trasferito nel paese d’origine della mamma e qui si sono conosciuti. Lui ha portato avanti gli studi in economia che l’hanno portato a diventare un consulente di marketing e lavorare per diverse aziende in tutto il paese. Durante le scuole superiori si è fidanzato e poi durante gli studi universitari si è sposato con Franca e quasi alla fine del ciclo universitario è diventato padre di Giacomo. I due condividono la passione per la musica ed è proprio il papà ad avergli trasmesso la passione del collezionismo di vinili e cd. Dalla mamma ha ereditato una forma di spensieratezza nel modo di affrontare i problemi della vita e trovare una soluzione mentre dal papà ha acquisito la tenacia. La situazione lavorativa del papà, con le frequenti assenze da casa, ha portato Giacomo ad identificarsi come la figura portante della famiglia e, quindi, a scegliere di abbandonare gli studi dopo il diploma per lavorare e dare una mano in casa ed avere un’indipendenza economica. All’inizio era complicato accettare quelle lunghe mancanze del padre da casa ma poi, crescendo, ha capito le motivazioni ed è riuscito a lasciare andare quel peso che si portava dentro in adolescenza.
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