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Le inarrestabili conseguenze dell’alba

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Consegna prevista Gennaio 2026

Marcello è un uomo tranquillo, lavora in una piccola agenzia investigativa, ha una ingombrante immaginazione, e usa l’ironia per affrontare il mondo. Quando inaspettatamente l’agenzia viene coinvolta in uno spaventoso caso di rapimenti seriali in cui l’unico indizio è la parola albanera, la sua vita diventa una storia più incredibile di quella che da anni scrive nel suo libro. Intorno a lui, i personaggi della sua vita si confondono con quelli della sua storia, e in questa nuova trama ognuno ha una parte importante: Alessio, il fratello latin lover che vive in Islanda e non ne può più; Renato, lo strambo vicino astrofisico alla ricerca del viaggio nel tempo; Simona, la dolce collega di cui è storditamente innamorato; la madre, che gli scrive una cartolina ogni anno per gli auguri. Quando tra questi arriva Eulalie, una misteriosa, ricca e seducente ragazza, l’esplosione di sentimento e passione che travolge Marcello lo porterà a sorprendenti scoperte. Una nuova alba, ma di che colore?

Perché ho scritto questo libro?

Perché i personaggi volevano vivere fuori dalla mia mente, con una storia misteriosa, cupa ma anche ironica. Volevo scoprire come si sviluppava in azioni ed emozioni, così insieme la abbiamo raccontata e vissuta. Mi sono divertito e stupito scegliendo parole, citazioni, rimandi, e una struttura a salti temporali in cui l’ironia aiuta a sorreggere il peso di dolori e paure, per rendere la complessità di un’indagine dentro e fuori ogni carattere. Ma un viaggio così è un peccato farlo da solo!

ANTEPRIMA NON EDITATA

Rilesse per un’ora buona, cercando di capire che strada dare alla storia, decidendo e proseguendo, per poi cancellare. Non riuscì a scrivere altro che l’inizio del nuovo capitolo: “La piccola Lilli era come ipnotizzata di fronte alla tv, e non sentì la sua giovane mamma che la chiamava per la cena. Era ciò che Simona invidiava di più in sua figlia e nei bambini in generale: la capacità di estraniarsi così tanto dalla realtà che li circonda da vivere in altri luoghi, altri mondi, e senza avere bisogno di altro se non una tv, una storia disegnata, una favola raccontata, finanche nulla; i bambini possono staccarsi dal quel mondo che li annoia ricercandone un altro più divertente semplicemente volendolo, incantandosi come anziani stregoni in trance. In questo momento vorrei essere altrove: puff… si va altrove!”.

Stanco, decise di lasciare riposare la sua storia, per riposare così anche lui. Si lasciò andare sulla sedia, chiudendo gli occhi e abbandonando la testa indietro, mentre pensava ad un brano ascoltato a lavoro, dal computer di Simona, quella vera, che non riusciva proprio a dimenticare. Ricordando qualche parola del ritornello, decise che doveva trovare il nome dell’artista, per avere più chiari i gusti musicali di Simona e magari, quando avesse accettato il suo invito, farle trovare un sottofondo che la sorprendesse, e la facesse sorridere di complicità.
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Lo trovò, lo segnò, e intanto sorrise lui. Poi subito immaginò che avrebbe anche potuto non usarlo mai, se Simona non avesse più deciso di volerlo conoscere. Non capiva davvero che dubbi avesse, gli sarebbe tanto piaciuto poterne parlare liberamente, per cercare di tranquillizzarla, di sminuire le paure, di provocare un po’. Ma anche il corteggiamento ha le sue regole, di cui forse la più importante pare essere: mai esplicitare, sempre sottintendere, suggerire, comunicare senza parlare, per capire quanto due persone possano scoprire l’una dell’altra senza troppi indizi, e meritarsi dunque il successivo passaggio, l’avvicinamento, il probabile contatto, o semplicemente la conferma che ciò che si era immaginato fosse reale. Ecco perché il secondo incontro era quello decisivo, ed ecco perché Simona, forse, lo temeva. Che fosse proprio perché lui le piaceva, e dunque aveva paura di rimanere delusa? Che tenesse già un po’ a lui tanto da preferire rimanere nel dubbio piuttosto che chiudersi in un no deludente? C’era una possibilità, e Marcello pensò avidamente come fare a rassicurarla che lui poteva valere il tentativo di rimanere dispiaciuta, perché non la avrebbe fatta sentire altro che bene. Domani la avrebbe fatta ridere, ci riusciva spesso, bastava essere di buonumore lui stesso, e memorizzò di svegliarsi l’indomani con una voglia di stare bene, per contagiare tutti, e lei soprattutto. Un suono simile a degli animaletti tubanti richiamò la sua attenzione: era la videochiamata di suo fratello Alessio, dall’Islanda. Almeno una volta alla settimana si tenevano in contatto, la lontananza non li aveva divisi poi più di tanto. Al quarto suono tremolante che simulava lo squillo di un inesistente videotelefono in un romanzo di Philip K. Dick, Marcello rispose.

“Ciao fratello, come va tra i ghiacci?”

Era una battuta che usava spesso, non faceva più ridere ma era diventata una specie di formalità.

“Eh, fa freddo.”

Anche questo faceva parte del rituale.

“Che mi racconti?”

“Bah, più o meno le solite cose, a parte il fatto che Aaron è stato preso nella squadra giovanile di hockey sul ghiaccio, ed inizierà ad allenarsi quasi tutti i giorni.”

“Bravo bello di zio! E’ contento?”

“Contento? Sembra drogato, salta e corre per tutta casa e non fa che simulare partite di hockey costringendomi a sfidarlo.”

“Immagino la delicatezza! Sono contento”

“Si, certo, anche noi, solo che un altro impegno ora non ci voleva, già riusciamo a malapena a vederci tutti e tre la sera.”
“Ása continua a lavorare fino a tardi?”

“Si, è sempre peggio, in ospedale non c’è verso di uscire in tempo, o di avere orari normali”

“Figurati, fare il medico è una missione di vita, altroché”

“Certo, se accettasse di fare il medico generale, come tutti quelli che tengono anche alla famiglia, anche Aaron se la godrebbe un po’. Invece adesso ha anche smesso di chiedere dove sia la madre, è come se stesse capendo che non è una presenza fissa nella sua vita”

“Ása non cede proprio su questo eh?

“Niente, neanche un millimetro, io non ho capito se tutti gli islandesi siano così ma non c’è verso di farle pensare anche ad altro oltre alla sua realizzazione personale. Per carità, tanto di cappello per tutta sta determinazione, ma esiste anche altro, ecco, soprattutto se questo altro ha bisogno di te e se non ha scelto lui di venire al mondo. Ha solo sei anni porco cazzo!”

Il tono di Alessio era venato ora da una rabbia stanca, sempre più frequente nelle ultime conversazioni con lui.

“Alessio, so che lo hai fatto già, ma… le hai parlato di nuovo per capire se c’è una speranza di farla riflettere, se capisce che così fa un torto ad Aaron prima di tutto?

“Si, abbiamo parlato proprio ieri, ma non è cambiato molto. Lei riconosce il suo egoismo, ma non riesce a mettere da parte la carriera, almeno per ora; ha troppa paura di fallire e di incolpare per questo Aaron, non vuole sentirne di mollare solo per lui perché finirebbe per odiarlo per non averla fatta realizzare. Dice che le serve tempo.”

“Beh, mi sembra un discorso idiota.”

“E’ un discorso del cazzo! La verità è che ho insistito io per tenerlo, fosse stato per lei… Non so, ho sempre più dubbi che non sia proprio la donna che vorrei accanto per sempre”

Ecco. Marcello sentì che un sospiro poteva raccontare bene la sua partecipazione, e lo emise abbastanza rumoroso da farlo arrivare in Islanda.

“Spero solo che riesca a capire che in realtà siete importanti per lei.”

“Anche io, spero solo che lo faccia presto”

“E il resto come va?”

“Mah, diciamo bene. Non ho particolari aspirazioni ora, oltre che stare con mio figlio, per il resto spero sempre un po’ di più di tornare a casa, ma la vedo proprio dura!”

“Niente Italia per Ása eh?”

“Né ora né mai, credo. Non riesce ad abituarsi al casino che c’è lì, e non posso darle torto, ma qui tra ghiacci e bufere di neve c’è da impazzire”

“Al cibo italiano ci si è abituata però!”

“E infatti è l’unica leva che ho per convincerla. Ho anche comprato un quadro con pomodori e mozzarella!”

“Secondo me devi darti un limite di tempo, poi vi sedete e risolvete la cosa, o prendi Aaron e te ne vieni un po’ qui con lui, lasciandola sola a riflettere”

“Parli facile tu! Mica puoi prendere un bambino e fargli cambiare mondo così. Comunque in realtà già ci ho pensato: ho deciso che entro la prossima estate dobbiamo trovare una soluzione oppure qualcosa devo fare.”

“Bravo fratello, e comunque non essere nella tua situazione mi aiuta a darti consigli dall’esterno, oltre che dall’estero.”

“Sempre un fenomeno del gioco di parole, eh! Beh, vedremo che succede. Con Simona come va?

“Niente di nuovo, siamo sempre fermi al primo appuntamento, e non mi concede ancora il secondo, rimanda sempre. Eppure ho una sensazione positiva.”

“Marce’, datti pure tu un tempo limite e poi un giorno la prendi e le dici: fra due giorni ti porto a cena fuori, su un terreno neutro, ed un no non ti starebbe proprio bene in bocca”

“Ma che razza di frase eh?”

“Vabbè cambia qualche parola se vuoi ma fai in modo che sia questo il senso”

“Parli bene tu stavolta, figo come sei puoi dire quello che ti pare, nessuna ti dice di no”

“Il segreto per te sarà sentirti me”

“Ma va a quel paese”

“Mai un vaffanculo senza censura! D’accordo, vado. Anche perché devo andare a prendere Aaron”

“Ecco vai da tuo figlio e non dargli mai consigli sulle donne”

“Non ne ha bisogno, ha preso il talento del padre e già è circondato da ragazzine, soprattuto ora che ha iniziato la carriera di sportivo”

“Andiamo bene!”

“Vabbè ciao fratello, ci sentiamo presto!”

“Ciao Alessio, salutami tutti, e abbasso i ghiacci”

“Sempre!”

Di nuovo gli animaletti che tubavano, e la chiamata si chiuse. Marcello ebbe un’improvvisa idea per il suo libro, e scrisse un appunto sul file con le annotazioni per il romanzo: l’assassino è stato di recente in Islanda, dove ha ucciso anche lì. In un lampo seguì le implicazioni di quell’idea sulla trama, e coprendo un arco temporale immaginario giunse alla fine del libro, con la rivelazione del colpevole, ma soprattutto con la seconda, improvvisa rivelazione, sulla connessione tra la bambina sensitiva e lui stesso. Capì che la storia doveva finire con…

Un urto fortissimo fece tremare il soffitto, ed un urlo dal piano di sopra gli strappò un pezzo di fantasia per lasciarlo andare via come una foglia in un pozzo molto profondo. Marcello si fermò con il cuore che batteva sordo, e rimase qualche secondo in ascolto. Non si sentiva più niente, e nonostante gli sforzi delle sue orecchie attente, solo il rumore soffice del traffico stradale attraverso i doppi vetri gli riprese a solleticare l’attenzione, con quella capacità dei rumori bianchi di portarti verso la trance. Eppure qualcosa era successo, e non poteva lasciar correre. Aprì la porta di casa e trovò Renato affacciato con un aria preoccupata che però risultava comico, su quel viso magro e quegli occhi strabuzzati, come il professor Brown di Ritorno al futuro.

“Che è successo Marce’”

“Non lo so, ma secondo me c’entra la nuova inquilina”

“Ossantocielo, va’ a vede’, te prego. Se è successo qualcosa a Maria io me ammazzo”

“Si, Rena, vado a vedere.”

Marcello uscì piano e cominciò a salire le scale. Si domandava se non fosse troppo indiscreto, forse era solo caduta una lampada e fosse stato lui non avrebbe voluto qualcuno che si affacciasse curioso alla sua porta; magari poteva essere in mutande, o in pigiama, e nulla lo disturbava di più di essere colto nel suo mondo privato mentre era sicuro di essere il solo ad occupare quel mondo. Sereno finché un intruso esterno non ne avesse disturbato la quiete, come un assedio di una cittadella medievale da parte di un piccolo esercito avido delle sue ricchezze. Eppure quel rumore non era solo una lampada e si convinse, mentre era giunto davanti alla porta della nuova inquilina, che se ci fosse stato un incidente avrebbe voluto che qualcuno violasse la sua privacy, per salvarlo da una minaccia interna a quella cittadella che era la sua casa. Suonò timidamente il campanello, immaginando un suono soffice che invece in realtà fu uno squallido starnazzare di oche. Gli anziani ex-inquilini avevano mantenuto il trillo originale che non aveva altro scopo che quello di avvisare della presenza di un visitatore, senza badare ad alcuna legge estetica che ne imbellisse l’avviso rendendolo, oltre che funzionale, piacevole da sentire. L’attenzione al bello decisamente non interessava la generazione che ha vissuto la Seconda Grande Guerra, lo capiva bene. Si pensava al pratico, alla funzione primaria. Il suono non poteva essere stato ignorato, eppure nessuno veniva ad aprire. La cittadella-mondo-casa della nuova inquilina non voleva essere salvata. Mentre già si avviava di nuovo per le scale tornando nel suo appartamento, la porta si aprì. La donna che aveva di fronte era di una asimmetria affascinante, il naso leggermente grande, le labbra piccole, non troppo alta. I capelli scuri le arrivavano alla spalla, in un taglio leggermente fuori moda, e gli occhi piccoli erano di un marrone che diventava nero, e ti chiamavano con una seduzione che ti rendeva felicemente in trappola, in un gioco di richiami decisi. Guardava come se volesse capire subito di che fibra eri fatto. Marcello si sentì in soggezione, ma si impose di rispondere a quel fascino, in un modo che non sapeva bene quale fosse. Abbassò la voce di un’ottava, senza accorgersene, e stirò un po’ il busto, guadagnando un centimetro. Inspirò un po’ più del solito, e parlò:

“Ciao, vivo al piano di sotto e, scusa ma ho sentito un botto micidiale, tutto bene?”

La donna attese tre secondi per rispondere, un tempo che sembrò troppo lungo. Poi sorrise con gli occhi, la piccola bocca si aprì leggermente.

“Si, grazie per chiedermelo. Cercavo di spostare il divano, come avrai capito mi sono appena trasferita, e mi è scappato di mano mentre era a mezz’aria, meno male che non si è rotto il pavimento, o il mio piede. Mi sa che ho lanciato un urlo drammatico.”

Il sorriso appena accennato fuggì via.

“Si, in effetti mi sono spaventato. Comunque, perfetto, se è tutto a posto, allora ti lascio in pace”

“Aspetta, visto che sei qui posso chiederti la cortesia di aiutarmi con quel divano?

“Beh, si… certo”

“Grazie!”

Di nuovo il discreto sorriso. Comunque attraente, non poteva negarlo. Ma poi, perché lo avrebbe dovuto negare? Marcello entrò piano in casa. La carta da parati che rabbuiava tutto il grande ambiente principale era in gran parte strappata, tutto il mobilio era accatastato senza una logica apparente, oggetti incartati e non avevano preso possesso di ogni piano di appoggio, e le scatole giacevano mansuete ma saccenti in una zona del salone, che sembrava uno scogliera che riparasse la cittadella dall’impeto del mare furente di Ottobre. A sinistra, la piccola stanza della cucina, arredata in una dominanza di legno e dall’aspetto molto datato, era in penombra. A destra due porte chiuse lasciavano solo immaginare il resto dell’appartamento. La donna alzò le braccia presentando la situazione.

“Beh, inutile dirti scusa il disordine, sono appena arrivata come avrai intuito.”

“Oh si, certo, nessuna scusa. E anzi è un piacere che qualcuno abbia preso il posto della coppia di prima. Non erano proprio inquilini amorevoli, anche se mi dispiace parlare di chi non c’è più”

“Ma, potrei non essere tanto migliore, visto che sono i miei nonni”

Il volto di Marcello cedette come una maschera di argilla, e gli occhi vennero fuori come quelli di un cartone animato ubriaco. Come aveva potuto non pensare alla più logica delle realtà, che la nuova inquilina fosse una loro parente? Odiava lo strano gioco della sua mente di cercare di piegare la realtà alla sua immaginazione. Aveva pensato che la nuova abitante fosse una estranea alla famiglia, e così doveva essere. Nessun dubbio. Ed ora quella sicurezza lo aveva trasportato in un nauseante pantano di imbarazzo e rimorso. Probabilmente aveva incrinato per sempre il rapporto con la nuova vicina. E pensare che in quella sua mente distratta aveva anche iniziato a prendere forma il pensiero che avrebbero potuto conoscersi meglio, in un breve futuro improvviso. La bocca sul viso di argilla di Marcello tentò di emettere qualche suono, ancora non sapendo esattamente con quale parole iniziare le scuse, quando la bocca della donna si allargò nel sorriso maggiore da quando avevano iniziato a parlare, sebbene fosse sempre poco più di un accenno, e lo anticipò dicendo:

“Stavo scherzando”. Quel sorriso non lasciava comprendere del tutto se fosse la verità.

“Davvero?”

“Ma si, non ho idea di chi fossero i due che abitavano prima qui, ho solo firmato il contratto con l’agenzia. Potevano essere anche due supereroi in pensione per quanto mi riguarda.”

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Andrea Orlando
Mi chiamo Andrea, e quando ho notato che diventa “andare” spostando una lettera ogni tanto lo dico; fa scena, immagino. Come una irrequietezza creativa. Sono appassionato fin dall’inizio di cinema, e subito dopo di lettura. Insomma mi piace immaginare. Mi sono diplomato in recitazione, e laureato con una tesi sul Doppio nel Cinema. Ho scritto e diretto cortometraggi, recitato in produzioni teatrali e cinematografiche, e un po’ come doppiatore.
Sono autore e speaker dei podcast “Strade Narranti”, e Strisce - Fumetti & Fotogrammi. Mi piace perdermi nelle storie, fino a quando mi chiedo: “quando diavolo sono?”, perché sono cresciuto con le citazioni anni ‘80 e ‘90. Mi piacciono gli accostamenti inattesi, che é un po’ la definizione di un buon racconto, la musica quando in pochi minuti ti regala un’emozione, il cioccolato con il caffè, il rumore delle foglie secche, camminare. E la pizza!
Andrea Orlando on InstagramAndrea Orlando on Wordpress
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