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Marietta – Storia di vita rurale, ricami, merletti e tradizioni

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Consegna prevista Febbraio 2026

Marietta nasce nel 1906 in una famiglia di contadini siciliani, amata fin dal primo momento. Cresce figlia unica, immersa nei profumi della cucina, nel suono delle campane e nel ritmo delle stagioni, segnato dalla semina e dal raccolto. La sua infanzia è intrisa di tradizioni del paese, tra feste patronali e racconti serali intorno al braciere. Il piccolo centro siciliano che la circonda è vivo grazie a figure come Rosina, amica del cuore, che sogna una vita diversa ma finisce in un matrimonio combinato, senza amore. Tatò, il ragazzino ambizioso, spera nella ricchezza, ma la vita lo condurrà su un sentiero imprevisto. Ci sono poi la signorina Elvira, con la sua stravaganza, Carolina, simbolo del tempo che scorre, e Maricchia, che incarna la forza delle donne del popolo. Dall’altra parte c’è l’aristocrazia: Donna Lia, Modesta e Clelia, incarnano l’altezzosità e le differenze sociali. Con il passare degli anni, Marietta sogna un futuro migliore per i suoi figli, sposando un uomo buono.

Perché ho scritto questo libro?

Durante un’estate insonne, iniziai a scrivere queste memorie, ispirata da racconti dell’infanzia riemersi senza motivo apparente. La prima frase venne spontanea, poi tutto divenne un’armonia interiore, come se una forza invisibile guidasse la mia penna. I miei ricordi, incredibilmente dettagliati, attingevano da un pozzo profondo di immagini e sensazioni. Le storie mescolano realtà e invenzione, tra tradizioni, luoghi, ricette, e episodi storici poco conosciuti, i Fasci siciliani e le guerre.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Nascita

Estate 1906, il caldo torrido e opprimente delle giornate siciliane soffocava l’aria, densa e palpabile. Nel cielo azzurro, il sole dominava implacabile.

Le cicale frinivano incessantemente, riempiendo il silenzio della campagna con il loro canto monotono.

Da lontano, nell’aia, giungeva un gemito. Un suono flebile, ma distintamente umano: il pianto di una bambina appena nata.

La terra, secca e arida, sembrava risvegliarsi a quei dolci strilli che si alzavano lievi.

I contadini, impegnati nel loro lavoro, si fermarono un istante per ascoltare, con le mani sporche e la fronte sudata. Un sorriso apparve sui loro volti stanchi. In mezzo alla fatica e alla calura, quel pianto rappresentava qualcosa di straordinario: un miracolo nel cuore dell’estate siciliana, per una famiglia in attesa da tanto tempo di una nascita.

Intorno alla loro casa, la tenuta era piena di alberi di ulivi e di pistacchi, i “fastuchi”, le cui fronde donavano ombra e frescura.

Più in là, si estendevano degli appezzamenti di terreni con alcuni pagliai, ripari semplici ma ben organizzati, utilizzati solo in estate per raccogliere i frutti e per il riposo degli agricoltori.

Nella piccola dimora di pietra, sotto il grande ulivo, la puerpera, esausta ma felice, stringeva la neonata al petto. Accanto a lei, la signorina Carmelina, un’anziana, con mani esperte e sguardo amorevole, sistemava i panni e controllava che tutto fosse in ordine.  Asciugava sicura e delicatamente la fronte della partoriente e rassicurava la creatura con dolci parole.

«È una bella bimba», diceva Carmelina. «Maria crescerà forte e sana».  «Lo spero», rispondeva Matilde, guardandola con affetto.

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Fuori dalla casa, le donne si muovevano freneticamente. Alcune, chine sul lavatoio, strofinavano i panni con vigore nell’acqua fresca. Altre portavano brocche e le versavano dentro i “vacili” (bacinelle smaltate) per rinfrescare l’ambiente e offrire sollievo alla madre affaticata.

Il padre, con gli occhi lucidi, guardava la scena con un’espressione di orgoglio e amore. La felicità per il lieto evento riempiva il suo cuore. Era nata Maria, anzi Marietta, come amavano chiamarla.

Seppur il caldo fosse soffocante e la vita agreste piena di difficoltà, tutto sembrava perfetto in quel momento.

Un piccolo angioletto entrava nelle loro vite, portando gioia nella dura quotidianità.

I suoi grandi occhi castani e i capelli neri diventavano il dono più prezioso, illuminando le loro esistenze.

La festa della Madonna

La stagione calda proseguiva con il lavoro incessante nei poderi, ma la serenità e la bellezza della natura alleviavano il peso delle giornate.

Con l’arrivo di agosto e la conclusione della raccolta del grano, giungeva il momento di tornare in paese per la grande festa della Madonna, attesa da tutti.

Le fanciulle, dopo aver trascorso la stagione “A di fori” (nei campi), si avvicinavano al paese avvolte in fazzoletti, coprendo capo e volto per proteggersi dal sole e mantenere la pelle chiara.

Al loro ritorno, cercavano di evitare segni di abbronzatura, rossore o colorito scuro, che avrebbero rivelato le giornate di lavoro nei campi. Desideravano apparire simili alle nobildonne del luogo, i cui visi erano candidi e levigati. Questi semplici accorgimenti servivano a mantenere la dignità e rispettare le convenzioni sociali, evitando l’etichetta di “cuppitiddi”, soprannome per chi avesse la pelle scura come un “cuppo” nero (cartoccio a forma di cono e nero, fuligginoso).

La mattina iniziava con la funzione religiosa, dove i contadini e le famiglie si riunivano nella chiesa del paese per pregare e ringraziare per i doni ricevuti. Il pomeriggio era dedicato alla celebrazione della Madonna.

Nel corteo guidato dal parroco, i più devoti trasportavano la statua della Madonna adornata di fiori e candele. Le strade, addobbate con lenzuola ricamate sui balconi, vedevano molte donne percorrere il tragitto a piedi scalzi, come atto di penitenza o per chiedere protezione per i propri cari, avvertendo sotto di loro il calore del selciato. Le giovani, in particolare, pregavano affinché si sposassero, arrotolando sulle dita “u rusariu” (coroncina), con la speranza che ogni giro le avvicinasse a quel sogno. Sembrava che, tra i passi, ci fosse un pensiero mormorato: «U Signuruzzu mi aiuti!».

I loro capi, coperti da velette o foulard ricamati, esprimevano il rispetto profondo per l’evento.

Marietta, troppo piccola per comprendere il significato della festa, tra le braccia della madre, osservava ciò che la circondava.

«Guarda, piccolina», le sussurrava, «quella è la Madonna che ci protegge!».

Il padre, camminando accanto a loro con il capo chino, seguiva la processione con passo misurato.

Il percorso attraversava le principali vie del paese, in particolare “a strata ranni” (la strada grande), accompagnato dai canti sacri dei fedeli, fino a giungere all’ingresso della chiesa, dove il sacerdote impartiva la benedizione conclusiva.

Tra mandorle tostate, ricami e banchi pieni di suppellettili, la giornata festiva proseguiva, rendendo onore alla Madonna e riaffermando i valori tramandati nel tempo.

Così, gli abitanti si spostavano verso il corso principale, un po’ di corsa, come api sui fiori.

Le strade erano piene, i bambini correvano tra i banchi, gli uomini conversavano, e le donne osservavano i ricami e gli altri oggetti esposti.

Verso sera, la festa volgeva al termine con i fuochi d’artificio, i “maschiati”, il momento più atteso. Molti scrutavano il cielo, con il cuore che sembrava fermarsi ad ogni esplosione e gli occhi incollati alla luce che si frantumava nell’oscurità. L’aria vibrava, pregna di un’emozione che faceva tremare la pelle, mentre i colori esplodevano sopra di loro, accendendo una sensazione di stupore e meraviglia: «Taleeè! Taleè!» (Guarda, guarda!) qualcuno esclamava, estasiato dalla bellezza. Altri si “attuppava” le orecchie per il forte rumore, cercando di sfuggire alla potenza del suono che accompagnava ogni scoppio.

La mattina seguente, la festa continuava con la fiera. I banchi erano allestiti lungo le vie, ed era il momento degli acquisti. Le donne, avendo messo da parte i risparmi durante tutta la stagione per questo preciso momento, tornavano sperando di portare a casa qualche “tesoro” desiderato da mesi.

Il battesimo

Marietta cresceva in fretta e con l’avvicinarsi di ottobre, finalmente arrivò il giorno del suo battesimo.

I preparativi avevano trasformato la casa in un via vai di attività.

Quella bambina, tanto attesa e desiderata con immenso amore, tra delusioni e dolori passati, era arrivata! Una lieta letizia!   

Maria indossava un abitino bianco ma semplice.

Prima del sacramento, le fu adagiata “la vesta”, una camicia bianca con un delicato pizzo, tramandata negli anni e ricamata con cura.

La chiesa si riempì di parenti e vicini.

«Che carusedda bedda!» («Che bella bambina!») , esclamava la zia.

«Come risplende con quella vesta!», aggiungeva un altro parente.

Tra gli ospiti si respirava un’atmosfera di solidarietà, quasi di fratellanza, di mutuo sostegno. La famiglia di Marietta sentiva l’affetto di tutti.

Il parroco recitava le parole del rito, mentre Maria, tranquilla tra le braccia della madre, osservava il tutto con occhi vispi. Chissà cosa passava per quella testolina!

Quando l’acqua benedetta le bagnò il capo, un mormorio attraversò la chiesa. La camicia bianca brillava alla luce delle candele.

Dopo la cerimonia, la festa si spostò a casa. I tavoli, imbanditi con specialità, accolsero gli ospiti. Le donne del vicinato avevano preparato piatti tipici, e ogni famiglia contribuiva con qualcosa. Su di essi, pane fresco, dolci decorati e brocche di vino.

«Non vedo l’ora di mangiare ogni cosa!», esclamò un bambino, correndo verso il tavolo.

Tra i presenti figurava anche Carmelina, la levatrice, spesso prendeva in braccio la bimba, sollevandola sopra la sua testa, con fare sicuro, giocando con lei e facendola ridere.

Il padre di Marietta, con un brindisi, ringraziò gli ospiti, in particolare modo per l’aiuto ricevuto.

E così, tra voci e risate, la giornata giunse al termine.

Nel buio, in un angolo, Matilde si sedette sulla sedia, ad occhi chiusi stringeva al petto la sua creatura. Essere finalmente madre le fece scendere una lacrima. «Ti voglio bene, gioia mia!» sussurrò, accarezzandole dolcemente i capelli.

La casa tornò silenziosa, lasciando solo l’eco dei ricordi di una giornata diversa.

Una vicina speciale

Marietta, ormai battezzata, era circondata dall’amore e dalla protezione della sua famiglia. Cresceva immersa nell’affetto e nella fede, apprendendo fin da piccola il valore del rispetto e della solidarietà. Non era una bambina particolarmente vivace,  ma si distingueva per la sua mitezza, intelligenza e arguzia.

Fin dai primi passi, si dimostrò curiosa e determinata. Graziosa e delicata, aveva un visino paffutello, con occhi vivaci. Trascorreva ore a raccogliere fiori e foglie da mettere in una piccola cesta, dedicandosi alla campagna. Imitava la madre nei gesti quotidiani e si mostrava sempre pronta ad aiutare gli altri.

Col passare dei giorni, le sue capacità e responsabilità crebbero. A sei anni, contribuiva ai lavori di casa, occupandosi di compiti come apparecchiare la tavola e spazzare il pavimento. A sette anni, iniziò ad affiancare il padre nelle piccole mansioni agricole, dimostrando crescente abilità.

Amava frequentare una dolce e simpatica vicina di casa, e spesso trascorreva lì,  con lei, parte della sua giornata.

In un pomeriggio come tanti, Marietta bussò alla porta socchiusa della casa di fronte.

«Permesso? Posso entrare?», chiese, e, nella penombra, una figura snella dal collo lungo e dalle movenze aggraziate acconsentì.

La donna, come sempre, con i suoi soliti abiti vecchi, fuori moda e sporchi di fuliggine, accennava un sorriso.

Le mani e i vestiti erano macchiati di cenere, ma la bambina vedeva davanti a sé una bella signora, sfiorita dagli anni, con un abbigliamento elegante e di classe, uno stile ormai scomparso. Ai suoi occhi, era una nobil donna, una dama, forse persino una principessa. La casa, come di consueto, era buia, con qualche candela accesa qua e là. Sebbene fosse pieno giorno, le persiane  della casa erano socchiuse.

La signorina Elvira amava la solitudine. Si diceva che fosse stata sposata con un nobile e ricco benestante, ma il motivo per cui continuava a farsi chiamare con il suo appellativo da nubile rimaneva un’incognita. Marietta adorava entrare in quella dimora, attratta dal suo fascino e mistero.

«Perché non viene mai in chiesa?», osò chiedere un giorno, e la signorina Elvira rispondeva con un sorriso triste, «A volte, il passato è un peso difficile da portare» e guardava fisso il vuoto.

Era decisa a scoprire ciò che sfuggiva a tutti nel quartiere: perché la signorina Elvira si facesse chiamare con quel titolo, perché vivesse in penombra mentre il sole splendeva, in condizioni di povertà e circondata da caligine, mangiando come un uccellino, e perché evitasse assolutamente la chiesa che si trovava proprio davanti alla sua finestra.

Che fosse stata nobile o ricca si intuiva dall’arredo e dal mobilio della casa.

Le stanze erano arredate da tende di velluto con frange legate con cipolline, ormai sbrindellate e grigie, e divani anch’essi in velluto con rilievi damascati, adornati con legno massello intarsiato. Un camino importante dominava la stanza e, più in là, la cucina a legna era sempre accesa.

Cucinava principalmente minestre e zuppe, e con quelle mani lunghe e affusolate spezzava i legnetti con delicatezza, faceva tanto fumo e spesso saturava l’aria. Gli orpelli sui mobili e gli oggetti di lusso e costosi erano ricoperti da una patina di sporco e trascuratezza, mentre le ragnatele ben visibili in tutta l’abitazione facevano sembrare che il tempo si fosse fermato come per un incantesimo.

Marietta rifletteva, seppur i suoi pensieri fossero ancora innocenti, che forse quella donna avesse sofferto così tanto da voler tagliare con il passato, con il presente e con la gente. Infatti, poche persone avevano il privilegio di poterla incontrare. Nemmeno sua madre andava da lei per verificare se stesse bene. Non si sapeva chi le facesse la poca spesa che consumava e in quella casa entravano due o forse tre persone al massimo.

Quando Marietta andava a trovarla, lei le accennava un sorriso; poi, molto seria e composta, la invitava a sedere e iniziavano a parlare del più e del meno per ore.

«Più tardi andiamo a vedere i fiori del mio giardino», diceva la signorina Elvira, unico svago possibile, mentre la bambina, con quegli occhi furbi e curiosi, scrutava l’ambiente, ponendosi tanti interrogativi senza risposte.

In fondo alla stanza, vicino alla cucina, c’era una tavola perennemente apparecchiata con una tovaglia finemente ricamata, ormai di colore antracite, con candelabri pieni di ragnatele, piatti di ceramica e posate di argento ossidato.

Quando la bimba le chiedeva il motivo per cui fosse sempre apparecchiata, la donna rispondeva in modo evasivo.

Nel piccolo giardino o nel minuscolo orto, a volte la signorina Elvira chiacchierava con Marietta,  godendosi il bel sole, i profumi dei fiori e degli aromi, soprattutto del basilico.

Sovente la visita si concludeva con un dono di un confetto. Era un altro mistero.

Come potesse avere in casa tanti confetti bianchi, viste le poche relazioni sociali e l’assenza di eventi?

Così la bambina arrivava a casa felice con il “bottino” in mano, pronta a pregustare il dolce confetto in bocca. Tuttavia, ogni volta, la madre le ordinava di gettarlo per la dubbia provenienza e a causa delle mani “nere” della signorina.

«Ma mamma, è così buono!», protestava Marietta, delusa.

Lei, sempre molto giudiziosa, disobbediva solo in questo caso: infatti, fingeva di buttarlo, ma in realtà lo lavava, lo asciugava attentamente e lo mangiava di nascosto, soddisfatta.

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Liliana Di Bella
Mi chiamo Liliana Di Bella, vivo in Lombardia dove lavoro come insegnante, ho 56 anni e sono siciliana.
Ho vissuto e studiato in Sicilia fino all’età di 36 anni e sono ancora fortemente legata alla mia terra.
Sebbene la Lombardia mi abbia offerto un'opportunità professionale, ho iniziato a riscoprire il mio legame profondo con la Sicilia in età matura, simile a un dolore struggente che si manifesta in un continuo "languore" per la mia terra, i suoi prodotti, la sua cucina e le storie che la caratterizzano.
La riscoperta delle mie radici mi ha spinta ad esprimere i miei sentimenti, prima attraverso la pittura e successivamente intraprendendo il percorso della scrittura.
Entrambe sono per me un modo per fermare l'attimo e per raccontare i cambiamenti che avvengono nella vita di ognuno di noi, ma soprattutto per rivivere e trasmettere la bellezza della mia terra e delle sue tradizioni.
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