Mi chiamo Marta, ho sedici anni, i capelli rossi, gli occhi verdi, sono alta un metro e sessantasei per 47 chili di peso, ho una terza coppa A, va beh, una seconda abbondante e vivo a Venaria Reale, a sei virgola otto km da Torino, come ho letto su Google. Oggi è il 14 febbraio del 1994, e inizio a scrivere questo diario, per rileggerlo magari tra anni, se sarò fortunata o per lasciare qualcosa di me quando non ci sarò più.
L’altro ieri, il dodici febbraio, ho scoperto nel bagno delle femmine del Liceo Classico Cavour, che frequento da tre anni a Torino, Marco, il mio ragazzo da due mesi e una settimana, che si baciava con Miriam.
Ieri, tredici febbraio, i miei genitori, Alberto e Carla, rispettivamente di cinquanta e quarantasei anni, proprietari di una piccola libreria indipendente, mi hanno detto di avermi adottata, cioè che non sono loro figlia naturale e che sono abbastanza grande ormai per conoscere la verità e che mi vogliono un bene del mondo, anche se non sono i miei genitori naturali e che il loro amore per me è sconfinato e altre robe così, da Cioè insomma, che c’è un motivo se non lo compra più nessuno.
Stasera tornato dal lavoro, Alberto è venuto a bussare in camera di sua figlia adottiva con una televisione da
sedici pollici. Evidentemente ero grande abbastanza anche per avere una televisione tutta mia, non solo per sapere dopo sedici anni di non essere loro figlia naturale ma adottata. Lo so che ripeto le stesse cose, ma mi sento in uno di quei film dove il protagonista si sveglia una mattina e davanti a lui il suo mondo è cambiato del tutto, i suoi amici non lo riconoscono nemmeno, non fa più il lavoro che faceva prima, l’amore della sua vita ha sposato il suo acerrimo nemico e i suoi genitori vogliono denunciarlo per essersi introdotto nella loro abitazione e non credono a una parola delle sue giustificazioni.
Bene, walkman e cassetta di In Utero dei Nirvana, l’ideale per dormire, come una volta mi ha detto Giovanni, che l’ha consumato nelle lunghe notti dopo l’incidente, una volta tornato a casa dall’ospedale. Un miracolo che sia ancora vivo, ma non ho voglia adesso di parlare di quello stronzo, ho voglia di chiudere gli occhi e scomparire, almeno fino a domani mattina.
In questi giorni che non ho scritto sono successe tante cose. Oggi per la cronaca è il 17 febbraio, Marco non viene a scuola da tre, pare si sia preso la mononucleosi, che di certo gli avrà trasmesso Miriam. Di Miriam si dice che dia i baci non solo in bocca ma anche in altre parti del corpo, diciamo quelle più intime, voglio sforzarmi di non essere volgare, almeno fino a quando posso.
Miriam è la sorella di Giovanni, che proprio due giorni fa è tornato a scuola dopo quattro mesi.
Giovanni a metà ottobre dello scorso anno aveva sfondato il guardrail di una strada poco illuminata
tornando a casa con la sua moto, una centoventicinque della Enduro, che opportunamente modificata, superava i centoventi km orari.
La strada era bagnata e Giovanni aveva perso il controllo, anche perché andava a velocità sostenuta. Questa era la versione ufficiale, ma Giovanni, quando sono andata a trovarlo dopo l’incidente, mi disse e in lacrime, che voleva farla finita, ma quando quel giorno e nelle altre volte che ci siamo visti gli ho chiesto qual era il motivo, non mi ha mai risposto. Da allora ho sempre pensato che fosse una scusa per far colpo sulle ragazze e in quel caso su di me. Che stronzo.
Carla in questi giorni invece è stata una miniera di sorprese. Di certo vittima dei suoi sensi di colpa, mia madre adottiva, mi ha detto che era ora di rifarmi il guardaroba e proprio ieri, siamo andate in centro a Torino a far compere. Due paia di scarpe, una gonna, un jeans, due felpe, un maglione, tutto di marca, non che ci tenessi particolarmente, alla modica cifra di seicento tredici mila lire. La cosa più strana è stata come Carla, mia madre adottiva, cercasse la mia complicità, come se fosse un’amica più grande, forse, una volta svelato l’inganno, chissà. Finta di merda.
Oggi invece è passato senza particolari scossoni, a parte una telefonata di Marco che ho fatto rispedire al mittente da Carlo. Dopo aver studiato, ho ascoltato per bene l’ultimo album dei Doors con Jim Morrison, L.A. Woman e la mia sensazione è che sia un disco notturno, che se lo ascolti col sole non ne percepisci la bellezza.
Un pò come Bob Marley perde se lo ascolti di notte, non
so se sono stata chiara, ma sono sensazioni appunto, stati d’animo.
A cena poi mentre mangiavamo, Alberto cambiando canale, si è imbattuto su Chi l’ha visto? Trasmissione mai vista, anche se ultimamente se ne sente parlare ovunque e mio padre adottivo non voleva saperne di cambiare canale, nonostante le richieste mie e della stessa Carla. Ne guardo mezz’ora, dove c’è la storia di un certo Enrico, un ingegnere svanito nel nulla sette anni fa e che forse adesso hanno ritrovato a Gorizia che fa il barbone, una bambina di nome Greta, scomparsa, di certo rapita ancora in fasce una quindicina di anni fa, con l’ennesimo appello della madre, la signora Rita, che ancora poverina, crede di ritrovare la figlia perduta e un uomo di settantacinque anni che non si trova da cinque giorni e che è sparito anche lui nel nulla. Beh, dopo questo trittico, credo che i Velvet Underground siano la soluzione migliore per cercare di non avere incubi stanotte. Scelgo Another Wiew, un album live che mi è piaciuto sin dalle prime volte che l’ho ascoltato.
Capitolo 2 – Oggi intanto, è morto Kurt Cobain
Un mese e mezzo dopo eccomi qui, di nuovo, e vorrei continuare questo diario parlando di come nasce il mio amore per la musica, visto che ne ho parlato spesso anche in queste pagine. Oggi intanto, è morto Kurt Cobain, ed è questa la ragione che mi ha fatto tornare a
buttare inchiostro su queste pagine, perché a dire il vero, mi sono resa conto di avere voglia di scrivere solo quando sono triste e io in questo mese e mezzo che è passato, sono stata quanto meno vicina alla felicità più assoluta o almeno credo.
Altra ragione per tornare a scrivere è che domani, 6 aprile è il mio diciassettesimo compleanno, quindi ho davvero le mie ragioni per la mia tristezza immotivata, ma in questo mese e mezzo sono stata felice o almeno credo, ripeto.
Marco è tornato da me come un cagnolino che ho rispedito al canile con fermezza e sono fiera di me e niente contro i cagnolini, ma non mi sono mai piaciuti, specie quando si credono uomini e sono solo ragazzini stronzi.
Non c’è niente di male ad essere ragazzini, anche io lo sono, non mi sento donna vissuta e non sopporto chi si atteggia a tale, come Miriam ad esempio, che dopo neanche tre settimane ha lasciato Marco per Alessio, di diciannove anni, che è riserva nella Juventus, ma solo perché è giovanissimo e non si capisce bene che ruolo abbia realmente ancora. Queste cose me le ha dette Alberto, tignosissimo juventino e grande conoscitore di calcio, almeno sostiene lui, come di musica. Passione che mi ha trasmesso sin da piccolissima.
Mio padre adottivo aveva due grandi amori musicali, i cantautori e la musica rock e io sono cresciuta a questo pane e a questo vino. Ricordo come fosse ieri che mi faceva addormentare sul divano davanti al giradischi
ascoltando Rimini di De André, Le strade di lei di De Gregori, Le tue mani su di me di Venditti o ancora People are strange dei Doors, No quarter dei Led Zeppelin, Come togheter dei Beatles, giusto per citare i primi titoli che mi vengono in mente.
Roba vecchia, piccolina, mi diceva, ma buona, che non puoi neanche immaginare, ma un giorno mi ringrazierai. Così fu in effetti, almeno fino a quando non mi disse, assieme a Carla di avermi adottato. Un padre perfetto.
Oggi che è morto Kurt Cobain ripenso anche alla morte di Freddie Mercury che ho adorato quando ero poco più di una bambina, giusto qualche annetto fa. Quando scoprì che “la regina” era omosessuale e in più dilaniata dall’Aids, devo dire che ne rimasi sconvolta.
Sono stata invece felice per quello stronzo di Giovanni, che finalmente ha risposto alla mia domanda dopo l’ennesima volta che lo punzecchiavo sul suo incidente presunto omicidio per rimorchiare.
Sono sconvolta e contenta nello stesso tempo perché mi ha confidato di essere omosessuale e che era quello il motivo per cui aveva provato a farla finita. Te l’ho sempre detto che eri e rimani uno stronzo, ma sono fiera di te, gli ho detto, mi è scappata una lacrimuccia abbondante mentre lo abbracciavo, ma sono fiera di lui e anche un pò di me.
Piccola postilla, sono stati giorni talmente belli e intensi che ho deciso di scrivere su questo diario solo quando è strettamente necessario, per mettere su carta momenti di questo genere di emozioni, forti, vere, quindi non so
quando ci rivedremo mie pagine adorate ma vi prometto di dare il meglio di me per venirvelo poi a raccontare e farmi vostra. Vostra Marta.
Capitolo 3 – La fine dell’estate
La fine dell’estate
È un treno che scompare Mentre tu non puoi fare neanche Il biglietto
Ho scritto su un tovagliolino di un bar queste parole ad Antonio, il ragazzo che ho conosciuto questa estate e con cui ho fatto l’amore per la prima volta. Pensate che Antonio è per così dire uno scarto di Miriam che dopo che aver concluso la sua breve relazione con Alessio, panchinaro della Juventus, lo aveva conosciuto agli allenamenti, tra i tifosi, che andavano a vederli. Tra loro le cose dopo un pò, erano venute a noia, dovreste aver già imparato a conoscere Miriam e così dopo che lui cercava in ogni modo di rivederla, la brillante idea di Giovanni di presentarmelo e fare un favore alla sorella e alla sottoscritta contemporaneamente.
Antonio è stata la mia estate, fatta di baci roventi, di gite fuori porta, dove Miriam man mano si eclissava, trovando scuse per non venire e Giovanni, era sempre più libero e fiero della sua natura. Era tutto davvero naturale, naturale è la parola più adatta a descrivere questi mesi frenetici e non so se pieni d’amore ma di
sensazioni fortissime, dove sono stata e mi sono sentita donna per la prima volta e qui mi fermo, personalmente parlando.
Un diario in fondo è una cosa talmente intima che i dettagli è meglio lasciarli ai ricordi, almeno credo.
Ma che questa estate Giovanni è stata una vera troia, almeno questo posso scrivervelo. In questi mesi è stato con almeno otto ragazzi, due da attivo, tre da passivo e tre, entrambe le posizioni. I suoi racconti poi sono davvero un cosa imperdibile, ma, niente, abbiate pazienza, le regole del diario, sono queste.
Di me invece posso dirvi che con Antonio è stato bellissimo, ma ben coscienti che tutto avrebbe avuto una data di scadenza, che sarebbe stata quella del suo ritorno in Irpinia, dove abitava. Alla fine aveva solo allungato le vacanze perché era andato al ritiro della Juventus a vedere gli allenamenti e dove aveva conosciuto Miriam, già ai ferri corti con Alessio, panchinaro della Juventtus e per virtù dello spirito santo, come si suol dire in certi casi. Era giunto sino a me, per colpa di quello stronzo di Giovanni, che alla fine non era uno stronzo, ma troia, si.
Io ero la rockettara, adottata, problematica, e mi fa specie mettere adottata per seconda opzione, che aveva solo bisogno delle parole giuste e dei sorrisi complici, oltre che di un bel ragazzo. Quel biglietto infatti ad Antonio l’ho scritto ma non glielo mai dato e non me ne pento. Non avrebbe avuto senso e perché come direbbero i Sex Pistols, No future.
Capitolo 4 – Scusate, ma.
Sono le ventidue e ventidue del 1995 mentre scrivo, ah dimenticavo è il 31 dicembre, sono leggermente ubriaca ma ci tenevo a mettere due righe per la me che un anno fa e meno ha iniziato questo sproloquio…. RIPRENDITI
Un anno tondo tondo, mi piace ritrovarmi qui senza preavviso, a distanza ormai minima di una maggiore età che il mio corpo, la mia mente, reclamano a gran voce. Vi confesso che nei mesi passati ho avuto un paio di storie, niente di particolare, ma dall’alto della mia sparuta esperienza sessuale, in pratica, sopratutto a scuola, passo praticamente per troia.
Miriam oggi è in pratica, la mia migliore amica, e mi fa capire come ci si sente. In pratica, adoro questo termine, funziona così, non è un problema di quanto duri la storia con un ragazzo, se ci fai sesso più o meno completo, se ti baci in pubblico, sei una troia comunque… perché sei diventata una donna, in pratica. Mentre in pratica, gli uomini, sono ultrafighi, al massimo stronzi, puttanieri… se fanno lo stesso.
Nel mezzo Giovanni è stato aggredito più volte negli ultimi mesi, ma tutto è passato sotto silenzio, perché in una televisione regionale avevano mandato in onda le immagini di lui a uno dei tanti Gay Pride in giro per la penisola, dove per altro in mezzo a quegli scalmanati era vestito da uomo, di tutto punto.
Comportati da uomo, Maria, diceva Benigni in Johnny Stecchino, uno dei miei film preferiti e che mi piaceva rivedere. Meglio di certo dei quiz pre serali e di Chi l’ha visto? Che era diventato il programma preferito, senza se e senza me dei miei genitori adottivi. Alberto e Carla mi sembravano assuefatti, tossici, come chiamavamo quelli che in classe a scuola andavano al bagno a farsi di istamina, speed e altre sostanze strane.
A Chi l’ha visto? Per la cronaca, oggi che sono tornata a scrivere e ho mangiato pasta zucchine e speck a cena, c’era un posteggiatore abusivo siciliano mezzo scemo che era scomparso da due settimane, una ragazza di Bari che avevano ritrovato dopo tre mesi, che era semplicemente scappata col fidanzato e ancora la mamma di quella ragazza scomparsa da anni, troppi, che piangeva in diretta, come l’ennesima ultima possibilità, uno strazio.
Mi convinco che il tempo è una dimensione personale, a questo punto, più intima che universale, non so se è la canna che mi ha dato Miriam per riflettere, so solo che mi faccio questi discorsi, ho una gran fame, i pensieri girano e i miei sono famelici di questa trasmissione del cazzo. Mentre mi hanno adottata. Un anno è passato e non l’ho capito, scusate, ma.
Oggi sono già diciotto, è sempre bello, ritrovarsi in queste pagine, anche solo per rileggere parole e storie che oggi non ci sono più.
Alberto e Carla hanno organizzato una roba clamorosa e io ho voglia di fare pazzie. Alla fine credo, almeno per adesso di poter affermare che i figli sono di chi se li cresce e se li cura e io, alla fine, adolescenza a parte, non mi posso lamentare.
Capitolo 5 – Carla è morta ieri e io non c’ero
Oggi, che torno a scrivere, è un giorno nuovo per me, è il 26 dicembre del 1996, e Carla è morta ieri, io non c’ero, Alberto mi ha detto tranquilla, è meglio se rimani a Bologna e prepari gli esami con calma…tranquilla. Che cazzo di parola di merda è tranquilla, non far niente, tranquilla, è tutto a posto, tranquilla, cazzzooooo, la madre che mi ha cresciuta è morta tranquilla, mi dici tranquilla, padre adottivo, come cazzo puoi dirmi tranquilla, è tutto a posto resta li, tranquilla. Non lo so.
E sono qui che piango una madre morta anche se adottiva e mentre ill mio padre adottivo anche lui ci mancherebbe altro mi dice di stare tranquilla e di non muovermi per nessun motivo da Bologna, dove sono iscritta al Dams. Mentre al telegiornale, sono queste le precise parole o almeno quelle che ricordo: – Se ne va anche Carla Delmasso, uno dei pilastri della famosa Banda di Mirafiori che fece tremare l’Italia oltre venti anni fa ormai e che per fortuna oggi è soltanto un ricordo, doloroso, per le vittime e per l’Italia tutta.
La donna, legge il giornalista, è morta per una leucemia fulminante che l’ha letteralmente divorata in poche settimane. Nel mentre io penso che non ne sapevo un cazzo, che nessuno mi ha mai avvertito della cosa, niente di niente, mi hanno tenuto completamente all’oscuro di tutto. Per non farmi preoccupare, penso, ma anche perché in fondo, sono sempre una semplice figlia adottiva, un ripiego e non una figlia vera, di sangue.
Sono sconvolta. Sono comunque sconvolta. A non so quando arrivederci.
PS: di mio padre, adottivo o meno , comunque non c’è traccia, in questi racconti televisivi che ricordano la figura di mia madre, di quello che ha fatto quando aveva poco più dei miei anni e questo mi manda fuori di testa. Dove diavolo si sono conosciuti? Magari lui lavorava in un’oreficeria e lei lo aveva preso come ostaggio e poi col tempo si erano innamorati e sopra ogni maledettissima cosa, come avevano fatto ad adottarmi con un curriculum fatto di rapine a mano armata?
Poi una sera, al telefono, perché mi aveva letteralmente vietato il ritorno a Venaria, una sera, che aveva bevuto più del solito, perché Alberto era uno che comunque piaceva circondarsi di alcolici, mi disse che non era ancora tempo, per me di conoscere la verità, su mia madre, su di noi, sulla nostra storia, di non saperla in fondo nemmeno lui, adesso.
Aggiunse – Quindi che cosa ti racconto? Una verità parziale? La verità è meglio se è vera, reale, al cento per cento, ed io per ora non sono in grado. Anche
perché, dopo tutti questi anni e la morte di Carla, io stesso non so quale sia realmente la verità… Chi eravamo noi per davvero. Devo ricostruirmi, tu intanto non distruggerti e per quanto puoi, non ci pensare.
Capitolo 6 – E anche tanto sola
Capodanno 1999, torno a scrivere su queste pagine dopo più di tre anni perché il nuovo millennio è alle porte e mi sembra un’occasione importante. Non vedo Alberto ormai da due anni e mezzo. Non perché abbiamo litigato ma perché il mio ultimo genitore adottivo rimasto, ha deciso che non avevo più bisogno di lui, che il dolore per la morte di Carla era troppo grande e… così un giorno mi chiama la polizia per dirmi che mio padre adottivo, colui che avrebbe dovuto badare a me, si era impiccato e che era necessaria la mia presenza per riconoscere il cadavere che era stato trovato ormai in decomposizione.
Una persona sola, sotto tutti gli aspetti, ho subito pensato, poi a quanto fosse coglione, malato, e poi ho pianto, come quando si perde una persona cara. Il giorno dopo quando tornai a Venaria, per la prima volta dopo la morte di Carla, decisi sin da subito che non sarei più tornata a Bologna e che avrei cercato di ricostruire la loro storia. Decisi che avrei continuato a studiare a distanza e… poi nel giro di un paio di giorni, capi che non sarebbe andata affatto così, che Alberto di certo si era ucciso per la morte di Carla, ma anche che
le sue finanze erano ridotte all’osso e che erano un paio di mesi che stava provando a vendere la libreria.
In questo lasso di tempo che ci porta all’alba del nuovo millennio, la sottoscritta, ha svenduto la libreria, ha lasciato l’università, e affittato in nero due stanze della casa di Venaria a due operai della Fiat. Dopo qualche lavoretto, da un annetto circa, lavoro come cameriera in un pub della zona. Da qualche mese mi vedo con Giulio, che fa scienze sociali a Torino. Ci vediamo quasi ogni weekend, scopiamo, ci divertiamo e per adesso va bene così. Credo di essere più forte, di certo migliorata, molto più matura e anche tanto sola.
A questo nuovo anno, a questo nuovo millennio, chiedo la serenità che non ho mai avuto mentre invoco il karma, che mi sembra che sia ora che la mia ruota cominci a girare, che vado avanti a forza di inerzia, che non ce la faccio più e che mi mancano un casino quei bastardi dei miei genitori adottivi e che.
Capitolo 7 – Una volta tornata a casa
Gennaio 2000 – In questi primi giorni del nuovo millennio, ho ripreso a vedermi con Miriam e Giovanni. Non sono cambiati affatto, nonostante gli anni. Miriam fa la commessa in un negozio di intimo e Giovanni, in uno di scarpe. Sono andati a vivere assieme e in quella casa, le feste e il divertimento, non mancano mai, così come l’alcol, il fumo, il sesso e altri piacevoli dettagli. Ma
a parte loro due e la loro casa, non frequento praticamente nessuno, di certo non più Giulio, che da un paio di settimane ha una storia seria, così mi ha detto, e di me, non vuole più saperne, perché lei è giustamente gelosa. Io no invece, io sono solo una troia. Non l’ha detto ma certe cose, noi ragazze sveglie, le capiamo al volo.
Le mie giornate quindi, tralasciando i bei momenti da Miriam e Giovanni, scorrono senza colpo ferire, tra il lavoro (massacrante, specie nei weekend), routine con operai fiat che si lamentano di qualunque cosa e fanno timide avance quando tornano brilli dal dopo lavoro e.. l’amore per la musica, grazie alla quale mi estraneo dal mondo, i Radiohead, sono a proposito il mio gruppo preferito e di conseguenza la più grande band del pianeta e ho scoperto, una sera per caso, così quasi per gioco, che mi piace veramente scrivere. Non solo parlare di me, come in queste pagine, ma inventare delle vere e proprie storie. Non so se sono brava, ma sinceramente me ne strafotto, perché mi da tanto sotto vari aspetti e credo aiuti a migliorare me stessa come persona. Questa ovviamente è una previsione decisamente ottimistica.
La televisione la guarda poco e niente ma mi fa rabbia vedere i pre serali sempre uguali. Nessuno che abbia un’idea migliore di un quiz? Da grande voglio fare chi inventa i giochi per la tv o i format dei programmi. Del resto, ho una semi laurea al Dams, potrei provarci di certo. Di certo abolirei Chi l’ha visto? Quanti anni ha sto programma e perché la gente continua a seguirlo? Uno
strazio continuo e che si ripete per giunta. Come in un deja vu, c’è infatti ancora la madre, Rita che cerca Greta, la figlia scomparsa, oggi, ormai, vent’anni fa, mi fa pena, decisamente, ma basta; seguono, la storia di un ragazzo che si è arruolato nella legione straniera, una donna di una certa età col marito sparito da tre giorni e un barbone che si pensa sia un famoso astrofisico ormai col morbo di Aitzhiemar svanito nel nulla anni or sono. Guardo il programma solo perché mi ricorda Carla e Alberto, quei due stronzi che hanno pensato bene di lasciarmi da sola, dopo che mi avevano voluta con tutte le loro forze, almeno credo, da quello che ho letto, tra le loro carte, una volta tornata a casa.
Capitolo 8 – La brigatista e
Carla era una brigatista punto. C’è poco da aggiungere, se non che, fosse anche mia madre, adottiva, direbbero in molti e anche io. Ma non ho voglia, soprattutto adesso, nel letto dove lei e Alberto hanno passato i momenti più teneri, prendere le distanze da lei. Anzi, sento come il bisogno di sentirla più vicina adesso. Più vicina di quanto mi sia concessa di fare in vita, di starle accanto semplicemente, come una figlia, ribelle, una barzelletta per cotanta madre, adottiva.
Dopo la sua morte e quella di Alberto, il senso del mio ritorno a casa è stato quello di metterla sottosopra per scovare tracce, ricordi, prove, frammenti e quanto di più insensato possa esserci, per ricostruire una storia, una verità, per dare un nome alla realtà che mi aspettava.
Ho avuto a che fare, con lettere mai inviate, mezze frasi appuntate su carta casuale assieme a numeri di telefono che non ho mai chiamato, regali mai aperti, giornali ritagliati, armi ricoperte di polvere e libri, tantissimi libri, molti con frasi sottolineate. E ancora, parrucche, baffi finti, carte d’identità false e passaporti, e soldi falsi, e certificati di nascita veri.
Ecco, su questo, mi sono soffermata, dopo aver bruciato tutto.
Ricordo ancora il grande falò, con Miriam, Giovanni, gli operai della Fiat e un altra decina di invitati, per lo più procurati da Miriam e Giovanni. Fu una grande festa. Il giorno dopo, mi misi alla ricerca dei miei veri genitori, ma dopo un paio di giorni, qualche vodka, e tre o quattro brutti pensieri, decisi che non aveva senso, che era meglio così, o meglio, che era capitato così e.
Alberto ad ogni modo, da quelle carte usciva bene, e in un certo qual modo, mi restituiva fiducia nel genere maschile. Lui l’amava alla follia, le sue parole, fermate nell’inchiostro come fotografie istantanee davano il segno tangibile del suo amore per Carla, amante già in gioventù, che aveva deciso di intraprendere una strada più grande di lei per chissà quale ideale e dalla quale, lui, innamorato, cercava di dissuadere. Entrambi nelle lettere si definiscono sognatori. Una puntava la pistola, l’altro apriva una libreria. E poi sono nata io, che non ero loro figlia, che quadretto esilarante.
A farmi più impressione è che dalle carte, io non sono
piemontese, ma di San Fermo della Battaglia, a tre km da Como, i miei sono di li è tutto quello che ho scoperto, alla fine, alla resa dei conti con me stessa, ma oggi non me ne preoccupo più di tanto.
Capitolo 9 – Al mio futuro
Oggi, 21 maggio 2000, è un giorno strano, sono successe cose in questi ultimi giorni impensabili, inverosimili, bislacche e comunque straordinarie. Miriam è incinta, del figlio del tabaccaio, Simone, che lavora col padre già da un paio d’anni. Giovanni ha preso un trip da cui non si riprende, ha deciso di lasciare tutto e viaggiare per il mondo senza destinazione. Ho conosciuto al pub dove lavoro un batterista punk, Dario, che dice di essersi follemente innamorato di me. Mi ha chiamata Chi l’ha visto? Per parlare della storia di Carla, mia madre adottiva. Pare, sembra, ci siano dei soldi per me intestati in un conto straniero.
Andiamo con ordine: – Miriam e il figlio del tabaccaio si sono conosciuti al pub dove lavoro, solite scene di provincia dove ci si conosce tutti e dialoghi surreali per passare una notte insieme. Ma dopo un altro paio di scopate e qualche mese dopo, Miriam dice al tabaccaio direttamente che è incinta di suo figlio e che lei avrebbe tenuto comunque suo figlio. Tutto ciò è molto triste, per varie ragioni, in primis perché della gravidanza, Miriam pensa bene di parlare col padre del padre di suo figlio e
non con il padre vero e proprio. Tutto ciò è molto triste, ma il giovane tabaccaio è scappato all’università dopo l’estate e gli studi, e il futuro e per Miriam, il grande vecchio, tabaccaio d’esperienza, ha pensato a una rendita mensile di bell’aspetto per il futuro nipotino. Tutto ciò è molto triste, anche perché Miriam, era esattamente quello che voleva.
Giovanni invece, all’ennesima festa, ha assunto un trip di quelli buoni, che non ne fanno più e ha pensato bene di ritirare tutti i soldi dal suo conto, licenziarsi dal suo lavoro di commesso di scarpe e andare via non si sa dove, da solo, a cercare la sua strada, così ha lasciato scritto nel biglietto d’addio alla sorella:- “Vado a cercare la mia strada” Giovanni.
Quando mi chiamò la redazione di Chi l’ha Visto? Sinceramente pensavo fosse a causa proprio di Giovanni, invece volevano che parlassi di Carla, della sua storia, di quello che sapevo e dei suoi ultimi giorni. Risposi che avevo conosciuto Dario, un batterista punk che ogni tanto veniva a suonare nel locale dove lavoravo e che non avevo nessuna intenzione di farmi distrarre dai fantasmi di una vita. Dissi proprio così. La ragazza, all’altro capo del telefono, riuscì a malapena a dire: – “Ok, se è questo che vuole”.
Ma la telefonata della redazione di Chi l’ha Visto? Era una spia rossa che avrebbe dovuto farmi riflettere, perché un giorno dopo appena, mi chiamo un notaio che mi annunciava la scoperta di un conto segreto riconducibile a me e soprattutto al mio futuro. Credo,
caro diario, che non ci sentiremo per un pò.
Capitolo 10 – A parte la televisione
Marzo 2003, torno a scrivere su queste pagine dopo tre anni. Tre anni dove tre anni dopo, posso ritenermi un’altra persona. Tutto quello che poteva succedere è accaduto. Ma partiamo dal fatto principale, che Carla, la mia madre adottiva non è morta, ma ha inscenato la sua morte semplicemente perché le stavano alle calcagna, che adesso si trova in Brasile in qualità di rifugiata politica. Vi ricordate il notaio, Chi l’ha visto? E… tutto serviva affinché Carla uscisse fuori a rivendicare i suoi soldi nascosti. Alberto invece si era impiccato davvero.
La cosa più assurda però era stata che durante una delle mie partecipazioni a Chi l’ha visto? La mamma di Greta, Rita, la bimba scomparsa ormai più di vent’anni fa, per via di una piccola cicatrice che avevo sul braccio sinistro, si è convinta che ero proprio io sua figlia, la piccola Greta, scomparsa, ormai più di vent’anni fa.
Oggi è un anno e mezzo che io sono per tutta Italia la presunta figlia della mamma inconsolabile e quella adottiva di quella brigatista. Non è facile. Perdonatemi.
E mentre Miriam faceva la signora coi soldi del tabaccaio adulto, mentre il giovane veniva a trovare il pargolo due volte l’anno, e di Giovanni restavano le sue lettere stracolme di sto bene e la destinazione è vicina, di me, Marta, c’erano due persone: – Quella che aveva
sfruttato la sua popolarità grazie alla trasmissione tv, che si era licenziata dal pub dove lavorava e che per quanto poteva scriveva canzoni e racconti e quella che se ne stava rinchiusa in casa a scrivere canzoni e racconti e usciva a malapena per fare la spesa.
Ho vissuto e vivo in un loop da allora, in questi anni solo tante sigarette, birra delle peggiori marche, scopate sporadiche, tanta tristezza. Mi sono laureata, con 101 su 110 con una tesi su come rinnovare i programmi televisivi, sto imparando a suonare la chitarra, ho preso un cane, che credo prima o poi ucciderò e il mio conto in banca ammonta a 656 euro, che non fanno il diavolo per uno sputo. Mi sento sola e scrivo e domani ho un altro esame da fare per essere Greta, la figlia di Rita, che sono vent’anni e passa che sta a Chi l’ha visto? La trasmissione che piaceva tanto a Carla, ex morta, oggi rifugiata in Brasile e Alberto, lui si, morto, impiccato… e chissà se lo sapeva che Carla era ancora viva, quando si è impiccato. Ecco, questo è un tema di discussione interessante, ma non ho nessuno con cui parlarne, a parte la televisione.
Capitolo 11 – Vado a festeggiare con Paolo, di cui vi racconterò presto
Febbraio 2005 – Hanno pubblicato il mio primo racconto. Dopo tante delusioni, “Come il nome del mio amore” è uscito in un’antologia di giovani autori, intitolata “Nome, Persona” edita niente meno che da Fazi Editore. Sono
felicissima e non sto più nella pelle. Vado a festeggiare con Paolo, di cui vi racconterò presto, promesso.
Intanto, questo è “Come il nome del mio amore”:
E’ il 2014 sono chiusa nell’armadio, lui è andato via ma ho paura, tremo tutta, mi ha tirato uno schiaffo perché lo accusavo di aver fatto il porco con alcune sue studentesse, gli avevo preso il cellulare ieri notte, perché lo so che fa il porco con alcune sue studentesse, alcune, quelle più sviluppate e troie. Ho una prima abbondante, una seconda coppa A in pratica, ma lo vedo come guarda le tette delle altre. Carlo me lo dice sempre: – “Se faccio soldi ti faccio rifare le tette” – “- E quando li farà mai i soldi Carlo”. In ogni caso: – “ Sono una bella ragazza e ho davvero un bel culo” – “Carlo me lo dice sempre – ; “Il leggendario culo di Arianna”. Ma Carlo adesso non c’è, è a Genova, assunto da due mesi a scuola come assistente amministrativo, Carlo è mio amico, almeno credo. Io sono chiusa nell’armadio, Marco è uscito già da un pò, ma ho ancora paura, tremo tutta, quel porco mi ha preso a schiaffi, mi ha spinto via con forza sul letto. Sono bagnata, e quel porco di Marco non mi ha sbattuto come avrei voluto, se ne è andato, ha sbattuto la porta e io mi sono chiusa nell’armadio.
Mi masturbo, penso a Carlo che mi dice: – “ Ora ti faccio il culo, troia” – Prima però succhiamelo come sai fare tu”
– “Succhiamelo come glielo succhi a quel cornuto di Marco” – “Oh Carlo si.. si… si”. Sono bagnata, esco e mi butto sul letto, mi faccio una canna, e un martini. Sono le tre, Torino è una città di merda, Marco è al lavoro, io
dovrei studiare, tra due settimane ho l’ultimo esame e poi cazzo la tesi. La mia si intitola: “Il filo di Arianna ha perso la strada”. Mi sono laureata nel 2015, era di maggio mi pare, oggi 2023 ho il mio studio di psicologia, specializzata in relazioni di coppia. Ma oggi è il 2014, io ho 24 anni, vivo con quel porco di Marco che mi ha picchiata, e non è la prima volta, e io mi sono chiusa nell’armadio, sono venuta, sono uscita, mi sono fatta una canna, un martini. Sto chiamando Carlo, non risponde… è fidanzato con Maria, una mia ex compagna di scuola, sono due mesi che è a Genova e che non scopa con Maria, Maria è in Spagna, quella secchiona di merda si è laureata due anni fa col massimo dei voti e ora lavora per google. Lei si che sta facendo i soldi. Me la tengo buona, magari le tette me le regala lei.
Carlo alla fine è un fallito, si masturba tutto il giorno e chissà se mi pensa, se pensa a me quando guarda i video porno, mi ha detto che ha l’hard disk pieno… “ma mai quanto il cazzo, tengo a ribadire” mi dice sempre.
Un altro martini cara Arianna non si rifiuta mia, mi dico allo specchio, mi accendo una camel light di quel porco di Marco, mi mangio un’oliva di merda plastificata, provo il nuovo vibratore compratomi per lo scorso San Valentino da quel porco di Marco su Pepemio. Marco mi trova riversa verso lo specchio, ho il culo aperto, dilatato dalle vibrazioni vigorose e decise, Me lo toglie, ci mette la lingua, me lo mette nella fica mentre continua a leccarmi il buco del culo. “- Nel culo… nel culo…” – Urlo allo specchio – Marco finalmente mi incula. Sei una troia, mi dice ansimando. Sono la tua troia, gli rispondo
ansimando… cornuto. A Marco piace quando gli do del cornuto, il cazzo gli si gonfia in un istante. “_ Sono cresciuto con Tinto Brass, si giustifica”- Ma io veramente non l’ho mai tradito, tranne che con Carlo. Nel 2015, a dicembre, quando Carlo dopo l’inaugurazione del mio studio, Carlo rimase a parlarmi delle corna che gli metteva Maria in Spagna, che avevano optato per una sorta di amore libero, visto le distanze, in attesa arresa inconsapevolmente di un nuovo amore. A dicembre Carlo era tornato a Torino per le feste, Marco mi tradiva ad ogni minima occasione, io glielo facevo credere, quando lui non c’era mi chiudevo nell’armadio a masturbarmi e al solito orario del rientro mi facevo trovare davanti lo specchio. Per questo Natale, come regali, abbiamo messo 250 euro a testa per comprare su Amazon una macchina del sesso. Non vedevo l’ora di provarla.
Nel 2015 a dicembre feci solo un pompino a Carlo, lui dopo scoppiò quasi a piangere, era innamorato perso di Maria. Carlo è morto nel 2021, Maria era in America quando avvenne il fattaccio. Era settembre, il medico aveva previsto maggio a gennaio… direi che è andata bene. Carlo ascoltava ripetutamente “Torneremo ancora” di Battiato, almeno così mi diceva, insieme, l’avremmo ascoltata 3 volte. Maria è viva, è ancora in America, lavora sempre per Google.. quella troia. Ma oggi è ancora il 2014, Marco mi ha sbattuta per bene, a dimostrazione che è lui l’amore della mia vita. Anche se non sarà per sempre. Perché ieri 23 settembre 2023 io, Arianna, l’ho ucciso. Non lo sa nessuno, nemmeno la polizia, i genitori di Marco sono morti in un incidente
quando lui era ancora piccolo, la zia che l’ha praticamente cresciuto è in galera da due anni perché ha ucciso la sorella in una lite degenerata per futili motivi ereditari, con una bottiglia di Marsala Superiore Doc le aveva spaccato la testa e poi l’aveva ricoperta di calci, ci sputò sopra e la rinchiuse in cantina a marcire. Ovviamente i fatti non mancarono di venire a galla. La sorella della zia che aveva cresciuto quell’orfano di Marco era semplicemente il “Sindaco di Torino”.
E’ il 2009, è ottobre, sto con Giovanni da un mese, sono andata a vivere a casa sua, a Parma, i miei non l’hanno presa bene, ma io sono felice, Giovanni è gentile, quasi ingenuo a volte, l’ho conosciuto su internet, ho fatto Facebook a febbraio, il giorno di San Valentino, era il primo San Valentino che passavo da sola. Mi sono lasciata con Antonio a novembre dello scorso anno, dopo due anni e 7 mesi, prima ancora con Giulio, un anno e un mese scarso Fabrizio tre mesi, Nicola uno, Enrico dieci giorni. Perché al di là di tutto, io non faccio storie, io mi fidanzo… troie.
Giovanni ha un problema: – Si fa una decina di canne al giorno, è sempre rincoglionito”, eppure è un creativo di successo, come dice sempre lui, e sto cazzi guadagna 1350 euro al mese, sti cazzi, io ho finito il liceo e mi sono presa un anno sabbatico perché me l’ha detto lo psicologo. Mio padre è gay, omosessuale, frocio… come preferite… Io sono Arianna, è il 2009 e ho perso il filo, anche perché mia madre fa i filmini porno amatoriali e le chat erotiche. 5 mesi e 22 giorni fa Osvaldo, per goliardia, in una serata alcolica a base di pakistano
serio, facemmo sta stronzata, io, Arianna, che già allora adoravo parlare in terza persona, Carlo, Marco, Flavia, Simona, Emilio, Dario e… Osvaldo e c’era mia madre con la mascherina che simulava una fellatio con un dildo di notevoli dimensioni. Quella sera stessa feci un pompino in macchina a Carlo, sulla 500 che i suoi gli avevano comprato come premio per una borsa di studio alla Luis di Roma. Ho lasciato Giovanni quella sera stesa, e prima del pompino. In macchina con Carlo abbiamo anche parlato. Giovanni è uno stronzo e uno sfigato di merda. Carlo non mi vuole, dice che non siamo compatibili, esagera, dice che sono pazza… morbosa… stronza, mi dice quando gli dico che è un’opportunista, uno che non sa prendersi le sue responsabilità. Lui dice ok, però intanto succhiamelo ancora. Lo amo. Carlo è l’amore della mia vita.
Nel 2010 Nino mi faceva stare bene. Avevo trovato un uomo che parlava e.. aveva un cazzo enorme. Dopo tre mesi però la passione era diventata un ricordo, io ero la pantomima di un romanzo rosa porno, una studentessa disperata insomma, una troia… una che gli piace il cazzo, libertina ma rispettosa, che sa come godere, una donna consapevole e forte, fiera dlella sua sessualità, di viverla pienamente. Pamela, la sua concubina, le ripeteva di non affezionarsi troppo, che un uomo oca’ bravo con le parole , con le azioni poi sarebbe finito a puttane. Pamela era una filosofa, una cameriera filosofa, in pieno boom aperitivo… Se c’eri Andy Wharol ripeteva, io stavo a far la star in certi contesti drogherei e rideva. Pamela era persino severa sul lavoro, ma quando “staccava” era decisamente una fattona, Le ho
visto calarsi di tutto nei suoi weekend selvaggi, come li chiamava lei. Pamela ha due figli, oggi 2023, un cane e un nuovo compagno, più giovane di 4 anni, Salvatore il suo ex marito è un alcolizzato.
Io e Salvatore stiamo insieme da un paio di mesi, è stato lui a aiutarmi a uccidere Marco, da sola non ce l’avrei mai fatta. Quel porco pesa più di 80 chili.
Salvatore ne pesa 75 ma è più alto di Marco di 4 centimetri. Il cazzo di Marco però era decisamente più grosso e poi Marco è l’amore della mia vita. Io e Salvatore abbiamo riscoperto la macchina dell’amore che avevo con Marco. Anche se Salvatore non è perverso come Marco. Salvatore non vuole che vada con gli altri, neanche con la fantasia, anche se la fantasia mi dice, che..
Nino faceva le corna a Pamela con me giù da due settimane quando forzai la mano come mi piace fare per ottenere quello che voglio. Mi presentai a casa loro e dissi a Pamela che ero stufa di fare l’amante, che alla fine non si amavano più ed altre cazzate simili. Ma Nino era mio, anche se era un pò contrariato della mia risolutezza, quel coglione… “Io ottengo sempre quello che voglio” quel coglione ovviamente non l’aveva capito, che mi aspettavano da uno come Nino, un fallito… Mi piacevano le sue parole, il suo modo garbato e gentile, da professorone… Nino faceva l’idraulico, credo lo faccia ancora, non ci siamo più visti, Anche se mi hanno detto che si sta rivedendo con Pamela, nel senso che se la scopa ogni tanto.. niente di serio, lui, uomo di parola.
Marco lo abbiamo bruciato dopo averlo ucciso e poi abbiamo sparso le sue ceneri davanti al mare, una cosa decisamente romantica, poi io e Salvatore abbiamo fatto l’amore sulla spiaggia dopo aver fatto il bagno nudi.
Quel porco di Marco ci guardava, ne sono sicura e si masturbava, tanto che dopo è venuta giù una pioggerella lieve e delicata. Oggi ho scoperto di essere incinta, il figlio è di Marco ma farò credere a Salvatore che sia suo, tanto le date quasi coincidono. Lo chiameremo Marco, come il nome del mio amore.
Capitolo 12 – Ma solo perché sapevo di non essere io
Vi avevo promesso di parlavi di Paolo, ma è passato più di un anno, ho perso il conto. E chi era Paolo, adesso, non me lo ricordo neanche così bene neanche e questa è la dimostrazione che in fondo non era poi così importante, ma uno che mi scopavo, con più o meno trasporto, ma semplicemente uno che mi scopavo. La data di oggi recita 9 novembre 2007, perdonatemi. Vado ad aggiornarvi. Non sono diventata una scrittrice famosa, nonostante le premesse ci fossero tutte, per lo più grazie ai mass media per via delle due vicende che mi vedevano coinvolta. La madre disperata che cercava la figlia scomparsa ormai troppi anni fa e la madre adottiva brigatista, morta e poi rinata, rifugiata politica in Brasile.
Ad oggi, mi è palese che non avrei mai dovuto esordire
in un’antologia di racconti seppur per un noto editore, ma che avrei dovuto scrivere, romanzare la mia autobiografia, come del resto mi consigliavano tutti gli avvoltoi che ho avuto il piacere e il vomito di incontrare in questi anni. Ma io sono Marta e sbatto sempre dove dico io e non importa quanto male fa.
I fatti sono, alla resa dei conti, ormai in rosso e qualcosa di profondo, che non ce l’ho fatta. Che ho fallito, e alla fine non c’è niente di male, mi giustifico… sono la firma falsa di mia madre adottiva, che forse adesso è morta davvero, o fa finta un’altra volta. Sono la figlia finta di Rita, la mamma di Greta, la bambina scomparsa due e più decadi fa ed è per questo che a Chi l’ha visto? Non mi chiamano più. Io so solo che Dna è una parola terribile. Volevo quasi bene a mamma Rita, specie quando rivolta in camera con lo sguardo perso ripeteva:- “Greta.. manchi, torna, Greta… manchi tanto”. Lo so, sono una brutta persona. Greta alla fine la odiavo, ma solo perché sapevo di non essere io.
Ho fatto decine di ospitate in questi anni, ben pagate, è giusto dirlo a premessa del fatto che mi sia prestata con tutta me stessa a questo mercimonio. Ben sapendo che viva o morta, per la brigatista cosa potevo contare ancora, se mai per lei avessi mai contato qualcosa.
Tanto dispiacere invece per mamma Rita, ma che non ero Greta era palese sin dalle prime puntate. Ma cavalcare il racconto, le emozioni, contare, stavolta si, i soldi, beh quello si che mi ha fatto stare bene.
Paolo era un cameraman che non lavorava per Chi l’ha
visto? Ma in una trasmissione più o meno similare della concorrenza ma decisamente con meno sobrietà. Alla terza puntata che ero ospite e avevo si e no detto cinque frasi in fila, più o meno quelle che mi consigliavano i miei avvocati, Paolo si fece coraggio e mi invitò ad uscire dopo aver finito il turno di registrazione della trasmissione. Lui era talmente dispiaciuto per me e le mie vicende che non riusciva a staccarmi dal personaggio che intanto mi avevano appiccicato. Fu una storia breve ma intensa, e ammetto di avergli fatto del male, ma lui sapeva benissimo chi aveva davanti, del resto, lavorava in televisione Essere fragili e mostrarsi tali, per quello che si è, in questo mondo a maggior ragione, è la cosa più sbagliata che si possa fare, mi spiace Paolo, ma era scritto che a soffrire, dopo, saresti stato tu, te l’avevo anche detto un giorno, il giorno, per la precisione, in cui mi comunicarono che sarei entrata nella casa del Grande Fratello.
Capitolo 13 – Io gli dico che il futuro è nostro, ma non ne sono poi così tanto convinta
Questa sera esatta, aprile 2008, giorno sedici, mio cinquantatreesimo giorno nella casa, da quando sono uscita dalla casa, sarà un quarto d’ora, mi sento un’energia indefinita, che non so bene come incanalare, ma è l’entusiasmo dentro a me a farla da padrone.
Anche durante le interviste di rito, mentre passa il film dei miei giorni nella casa. Anche durante il confronto a
distanza con quegli stronzi di Camilla e Fabio, che ho odiato sin dal primo giorno. Cecco, mi guarda dallo schermo, mi legge una lettera, “che cuore”, io gli dico che il futuro è nostro, ma non ne sono poi così tanto convinta.
I fiori di rito, gli applausi telecomandati, un paio di domande improvvise della conduttrice per Marta.
Nei mesi successivi con Cecco siamo stati invitati a decine e decine di party, tra feste private e locali. La tassa era un bacetto da dare in pasto ai fans di chissà che cosa, mi chiedo tutt’ora, che ho messo il pigiamone di flanella, che è quasi ottobre e Cecco mi manda messaggi del tipo: – “Uè bellezza, ci tocca fare un figlio, me l’ha suggerito Mariano, il mio agente, lui è uno in gamba, sa come vanno certe cose”.
Io, ieri ho litigato con una perché lei aveva cinque prodotti e io sette e voleva passare prima al supermercato, non so se mi spiego… non siamo compatibili, anche se i soldi piovuti dal cielo e senza un perché non posso negare che mi abbiano fatto comodo, ma ormai mi sento, sono, una fottuta scrittrice. Lo sono davvero, ma loro, vogliono pubblicare solo la mia storia, non i miei racconti e tra l’altro devo fare presto, che l’effetto Grande Fratello vale fino a fine mese.
Evidentemente non è destino ed evidentemente è che io non voglia di parlare dei miei genitori adottivi, di Chi l’ha visto?, Del Grande Fratello…. Di me, sostanzialmente non ho voglia di parlare di me. Io voglio che a mio nome
siano pubblicate storie come questa:
Teso e nervoso come sette corde di chitarra elettrica in feedback se ne stava avvolto come in un plaid in un tripudio di profumi in attesa.. profumi d’imbarazzo, di vergogna, di sensi di colpa e persino di merda. Cercò di scrollarsi di dosso quei riverberi mettendosi a fare una canna light Purple Haze, con la cartina che pendeva dalle sue mani senza trovare la giusta direzione. Al terzo tentativo Mr Emme riusciì a effettuare il primo tiro ma la partita non era ancora iniziata. Ci vollero altri 4 tiri, due pause traverse e una verifica al Var per fa si che il tempo gli concedesse venia e il gong squillare come un forsennato nella sua mente. Arrivo, vengo giù, urlò dentro al citofono al corriere espresso che lo arrendeva fumando una Marlboro morbida fuori dal portone del palazzo enorme e strapieno di occhi e linguacce nel quale Mr Emme abitava. Con una spallata da rugby scaraventò se stesso dall’ascensore, rosso toro peperoncino. La Signora Acca del terzo piano che attendeva l’ascensore lo vide precipitarselo tra le braccia mandando all’aria la sua spesa del martedì, il giorno in cui nel supermercato vicino c’era l’imperdibile sconto del 10% per tutti gli over 65. Si rialzò di scatto, aiutò la vecchia a recuperare il cibo e scusandosi dell’accaduto si diresse all’appuntamento tanto atteso.
Mr Emme: – Eccomi, mi perdoni ma…
Il Corriere: – Si figuri, stavo andando via… allora, questa è per lei, una firmetta qui e.. sono 244 euro
Mr Emme:- bene, ecco qui.. e ho 250 vanno bene?
Il Corriere: – Vanno benissimo, solo che non ho il resto Mr. Emme: – Va beh, come si dice… il resto… mangia eheh
Il Corriere: – Cero, arrivederci
Come gli era venuta quella battuta non riusciva a spiegarselo, ma si sentiva brillante, mentre volteggiava lento verso casa, come un solo di Eric Clapton.
La scatola era anonima, asettica, astemia, il corriere non aveva sospettato di niente e fanculo a quella vecchia della Acca e alla sua spesa da vecchia. Mr Emme si sentiva finalmente al sicuro, non osservato, non giudicato e con estrema cura cominciò a far fuori lo skotch cercando di non rovinare la confezione che in caso di eventuali danneggiamenti gli sarebbe tornata utile. Buio di cinema.
Il Signorino Joe è il miglior amico di Mr. Emme, di quel Mr. Emme che non vede e sente da più di una settimana, che un paio di giorni fa non gli aveva neanche risposto al telefono. Così il Signorino Joe sale su l’auto in uno dei suoi rari momenti liberi e decide di andare a trovare il suo amico latitante.
L’ingresso al suo arrivo è spalancato e così il Signorino Joe si catapulta in ascensore. 8 secondi dopo l’apertura delle porte dell’ascensore, il campanello viene quasi percosso, tra entusiasmo e preoccupazione. Mr Emme cedette a quell’insistenza decisa, marziale, via via sempre più snervante, che gli ricordava quelli che sulle aste online compravano mille puntate e avviavano la modalità automatica per.. snervare gli avversari. “- Ma che fine hai fatto? Fatti abbracciare!!!” – Me. Emme rimase sopraffatto da quel vigore che non trovava
empatia nei suoi pensieri a caldo. Ad ogni modo lui e il Signorino Joe si accomodarono sul divano, coadiuvati da due vodka Lemon di dubbio spessore morale. Al secondo giro e dopo un gustoso joint che il Signorino Joe portava in dote a km zero, in quanto da lui in persona coltivato e cresciuto. Fumato e alquanto barcollante era Mr Emme quando tra una risata sguaiata e l’altra, barattò un personal joint, per dirla alla maniera dei Depeche Mode nella versione di Johnny Cash.. per “il bacio della buonanotte”, in cambio dei dettagli del suo “ritiro momentaneo dalle scene”… gli era uscita così al Signorino, Emme la trovò alquanto divertente e si lasciò andare a confidenze con nonchalance. Fino a quando… arrivò il momento delle presentazioni. Signorino, lei è Bamby… è lei il motivo per cui…”: Capisco… disse Joe, perplesso ed entusiasta al tempo stesso, come insopportabilmente era sempre, mentre un ghigno teneva come uno zombie al volto, le unghia, i denti, prima di essere sbranato. “- E’ la tua troia in pratica? – E’ la mia Bamby”
“- Me la presti? Dietro pagamento si intende… “: No guarda, non mi sembra il caso
“- A lei piacerebbe, guarda che faccia che fa”
Mr Emme vide negli occhi di Bamby l’anima ansimare fino a sgonfiarsi, mentre i capezzoli si facevano più turgidi e tutto era pronto per degenerare. Il Signorino Joe intanto era intento a succhiarglieli con avidità.
Immobile Mr Emme stava a guardare il Signorino fare i suoi porci comodi con la sua Bamby. Che troia che era. Non si stancava mai. E quanto le piaceva fissarmi negli occhi. Cagna. Mi scoppiava il cazzo. Lo liberai come un
pitbull tenuto in cattività. E lo posi nella bocca di Bamby, con gli occhi da cagna. Mentre Joe, se la inculava signorilmente. Mi sentivo in un episodio di Make him cuckold, Trick your girlfriend e simili…
Precipitarono all’unisono, Emme in bocca, il Signorino in culo. Bamby se la rideva di gusto, quasi esaltata, come di fronte a un reality sul porno su Cielo all’una e mezza del mattino.
Due canne dopo, Emme e Joe dibattevano come in pieno calciomercato sul prezzo di Bamby. Era evidente, che dopo tutto quello che era successo, Bamby doveva sparire da quelle mura. E mentre i due si accordavano per 25 grammi di Maria in cambio di Bamby, Bamby venne fuori dalla doccia, con una tovaglia che le copriva tipo il bollino dei vietato ai 18. Bamby dice che c’è un problema tattico, che lei è viva, che è libera, che non ha alcun prezzo. Fragorose risate scoppiarono come fuochi d’artificio in una festa patronale. Ma la testa era un parcheggio abusivo di sabato sera. Nel frattempo Bamby veniva “punished” come in un noto filone porno.
Ciao sono Bamby, mi piace scopare, non mi piacciono i magnacci, Libera troia, non puttana. “- Huu che spavento, chi è? – Sono Emme amore, come stai?
Quanto hai fatto oggi?”
Capitolo 14 – Un vero e proprio patto col diavolo, l’ennesimo a dirla tutta.
7 Settembre 2008, Mariano, l’agente di Cecco, non l’avrei mai detto, ha avuto un’idea geniale. Dopo l’ennesima discussione animata mentre eravamo ospiti di un noto ristorante romano, sul fatto che io e Cecco avremmo dovuto fare un bambino necessariamente entro l’anno per sfruttare al massimo la popolarità, dopo il mio ennesimo rifiuto e la minaccia di farla finita con questa pagliacciata e che avrei voluto dedicarmi soltanto alla carriera di scrittrice – Il volto di Mariano, che era in compagnia tra l’altro di una nuova star, come la chiamava lui – “Un troione che non vi dico”, si illuminò d’improvviso: – Ma è perfetto, che aspettiamo.. le case editrici faranno a gara per pubblicare il libro sulla tua storia.
Quello che Mariano non sapeva, è che le case editrici erano già state in fila per pubblicare il libro sulla mia storia, con offerte anche generose, ma che avevo rispedito al mittente, perché il mio sogno era ed è, quello di pubblicare un libro con i racconti che avevo scritto in questi ultimi anni. Quando lo avvertì di questo, impallidì di colpo, dai colori sgargianti di prima era passato a un bianco e nero di pellicola invecchiata, decisamente più interessante. Infatti, nel giro di un minuto e mezzo di assoluto sconcerto, il genio si impossessò di lui.
- Ma Cristo Santissimo, tu la tua storia la puoi raccontare in tre milioni di modi – Loro vogliono la tua storia, ma gli interessa più che altro che il titolo sia Io, Marta, non Greta o una cosa del genere, tu dentro puoi
mettergli quello che vuoi, compresi i racconti che ti interessa pubblicare.
- Un genio, ero senza parole, di fronte alle sue braccia spalancate per stringermi a se. Un vero e proprio patto col diavolo, l’ennesimo a dirla tutta. Mi costò fatica ammetterlo ma dopo che aggiunsi: – “Sono anni che tengo un diario, potrei partire da quello” caddi nelle sue braccia letteralmente come in un burrone.
Capitolo 15 – Marta.. da un altro pianeta
Oggi 15 dicembre 2008 è il giorno più bello della mia vita, fino ad oggi si intende, perché l’ambizione e l’autostima non mi mancano, almeno per adesso e no, non è un ossimoro. Oggi è uscito il mio libro: “Marta.. da un altro pianeta”. Mariano che è riuscito a farmi ottenere un ottimo contratto gongola e non smette di inviarmi tutto quello che trova in rete sul mio libro. La cosa bizzarra è che mentre lo fa, e seduto nel cesso della mia stanza d’hotel a Milano, dove tra un paio d’ore sarò ospite di una trasmissione televisiva di Canale 5, per presentare il libro e parlare della fine della mia storia con Cecco.
Con Cecco è finita esattamente la scorsa settimana, come da programma di Mariano, ovviamente, ma tra noi realmente, era finita quando voleva convincermi a fare un figlio con lui dietro suggerimento di Mariano, ovviamente. Tra due ore in tv parlerò delle difficoltà
dopo l’uscita dalla Casa a mantenere alto l’entusiasmo, disquisirò amabilmente della routine che uccide un rapporto di coppia, della vita frenetica del mondo dello spettacolo e della mancanza di privacy. Ma grazie a tutto questo l’Italia unita come al fischio iniziale di una finale dei Mondiali di calcio, saprà che sono una scrittrice.
Oggi 26 marzo 2009 è un giorno di merda, non so se il più triste della mia vita, ma se ne va direttamente nella top five dei momenti peggiori. “Marta.. da un altro pianeta” ha venduto la bellezza di 353 copie e può dunque dirsi un fallimento bello e buono e a tutti gli effetti. La mia carriera di scrittrice è in pratica finita prima di cominciare. Mariano mi aspetta giù da questo monolocale che ho preso in affitto a Monza, “per essere quanto meno vicino al giro che conta” come dice Mariano che mi dirà che è finita, mi proporrà un calendario, una scopata, una canna, un casting come valletta, un altro reality, due tiri di coca, un libro in testa.
Le illusioni sono una roba brutta, farsele è deleterio. Mi sento come una casa che è crollata su se stessa, in ginocchio, come la puttana che sono diventata. Sono pentita di tutte le scelte che ho fatto nella mia vita. Una vita che ho sprecato. Oggi non ho pace, domani chissà, voglio chiudere non chiudendo le porte del tutto alla speranza. In fondo, sono solo un’ingenua.
Capitolo 16 – A Roccarainola faceva caldo
Oggi 5 maggio 2011 torno a scrivere sul mio diario.. su Marta.. da un altro pianeta, a dirla tutta, nella versione uncensored diciamo. Oggi è un giorno importante perché dopo due anni e passa di auto recriminazioni, di auto analisi e di analisi a pagamento, di delusioni, che non racconterò, ma sono stati due anni e passa di merda, oggi, che sono tornata a casa, che sono tornata a lavorare nello stesso pub in cui lavoravo anni fa, oggi, che sono una delle proprietarie, ho ricominciato a scrivere, dopo più di due anni e passa.
Ma stavolta niente racconti, voglio scrivere un romanzo vero e proprio, da cui magari un giorno ci fanno pure un film, questo è solo l’inizio:
Non so come spiegartelo ma.. era un personaggio, un grande personaggio… quella della dieta dell’alcool te l’ho mai raccontata? – No, credo di no! – Senti qua allora.. In pratica alle 11 prima birra, ma solo perché mediamente si alzava per le dieci e mezza, a pranzo seconda birra, sarebbe meglio dire per pranzo seconda birra, alle tre terza birra, un amaro per riposare meglio. Alle sette fuori per l’aperitivo, dove lui beveva soltanto, neanche una patatina doveva entrare nel suo corpo. Alle nove tornava a casa dopo due bianco sarti lisci, e mangiava pollo o tacchino ai ferri, o bresaola o riso in bianco. -Ahahah, un mito! – Poi dopo ovviamente continuava a bere almeno fino alle due di notte. Nei
giorni che dopo l’aperitivo non rientrava a casa si concedeva un’insalata o un piatto di verdure grigliate al ristorante. – E quanto pesava? – Beh, oltre i cento chili, per uno e settanta si e no.. – Ahahah! – Era un grande, avresti dovuto conoscerlo. – Certo che poi morire così – Beh dai ora mi sbrigo che se no perdo l’aereo. Ok ( i due si abbracciano), Vado a lezione, un abbraccio a i tuoi e ci becchiamo dopo – Dopo? Tra una ventina di giorni almeno – Lo so, ma… ci becchiamo dopo, mi piace dire così, è più ben augurante. – Ahhah, ok ci becchiamo dopo allora. Un’ora dopo Nanni Esposito, 19enne di Roccarainola, studente di Belle Arti si trovava all’interno dei reparto partenze del Guglielmo Marconi di Bologna, direzione Napoli. Ad attenderlo, nessuno. Solo allora forse si sarebbe concesso due lacrime, perché forse avrebbe realizzato quella perdita immane che si manifestava nei suoi occhi nell’assenza all’aeroporto di Napoli, di Giancarlo Esposito, suo fratello, nulla tenente, trovato morto ieri notte alle 3 e 36 circa nella spiaggia di Torre Annunziata. Giancarlo Esposito aveva 27 anni.
Ivan Conticelli, 24 anni, di Santa Venerina, scende dal 19 in Piazza Maggiore e si dirige verso via Zamboni, giusto in tempo per la lezione delle 15.00 di Diritto Romano, fondamentale del primo anno che aveva messo da parte e che adesso è l’ultimo ostacolo alla sua laurea in Giurisprudenza. I pensieri di Ivan durante la lezione non riescono neanche lontanamente a prestare la pur minima attenzione alle parole della Professoressa Vaccari, a cui dedicava un paio di seghe settimanali sin dal 1996, quando la vide camminare regale sopra ai tacchi nell’atrio centrale, il suo primo
giorno, quando ancora non conosceva bene le strade e con l’11 era arrivato a Porta Lame. A dire il vero due joynts sul groppone per rilassarsi, forse lo avevano distratto un pò troppo. Eppure quel giorno neanche la Vaccari avrebbe potuto ridestarlo dai suoi interrogativi impellenti che riguardavano la morte di Giancarlo Esposito. Il fratello di Nanni, con il quale, insieme a Emilio Rubini, divideva in via dei Lamponi, 73 metri quadri esatti per trecentocinquanta mila lire a testa.
Emilio Rubini ha 33 anni, pugliese, di Calimera, a Bologna da 7 anni, dove, dopo svariati lavori, era stato assunto da tre anni alla Conad di via Mazzini. Da tre mesi circa abita con il siciliano Ivan Conticelli e il campano Nanni Esposito. Emilio ha una figlia, Alice, di appena 1 anno e mezzo. La madre, Elena, 37 anni di Argelato, dopo la loro love story durata sei mesi, alla resa dei conti è tornata dal marito, Aldo Poli, bolognese doc, 47 anni di origine incontrollata, professore simpatico e disponibile per uomini e donne della Facoltà di Belle Arti. Il Prof era bisex e decisamente libertino, per questo riaccolse a braccia aperte Elena nella sua casa e aveva accettato di buon grado anche Alice, che avrebbe violentato 16 anni dopo, dopo averla scoperta a scopare con Adriano Rossini, suo compagno al Liceo Mamiani, tornando a casa d’improvviso perché aveva dimenticato il portafogli. Al cinema davano The Disaster Artis, l’esordio alla regia di di James Franco, che lui adorava letteralmente. Aveva atteso quel giovedì sera con cura spasmodica e al momento di pagare i biglietti, il fattaccio: Dov’era finito il portafogli? Elena era morta nel 2010 a causa di un incidente stradale e lui aveva
visto crescere Alice da solo visto che Emilio Rubini era al suo fianco in quell’incidente.
A Roccarainola faceva caldo, nonostante fosse il 7 dicembre e Nanni Esposito aveva il cuore raggelato. A casa trovò la porta spalancata e ben presto si ritrovò avvolto da urla strazianti che provenivano dalla camera da letto di adolescente di Giancarlo. Erano sua madre e sua zia, impossibile non riconoscere quelle urla mischiate al pianto. Il padre stava nella poltrona a dondolo che aveva trovato Giancarlo nell’88 giù di li in mezzo all’immondizia, che con un buon rivestimento aveva varcato e resistito all’usura del tempo e della moda in casa Esposito. Gli occhiali da sole, il sigaro, mezzo bicchiere di vodka liscia, le mani sui quello che rimaneva dei capelli con di fronte la squadra formata da Totà, Salvo e Carmine, rispettivamente di 9, 11 e 10 anni, che erano rispettivamente: suo cugino e due figli della dirimpettaia, che nel mentre accarezzava il padre. Nanni andò prima dai bambini, ma si blocco a un metro da loro, quando si accorse che parlavano del nuovo Napoli di De Laurentis che ripartiva dalla serie C1, della possibilità che il Pampa Sosa e l’etrerna promessa Nicola Pozzi avessero potuto giocare insieme. Nel mentre Rosita, cugina 27enne di secondo grado gli faceva le condoglianze soffocandolo tra le sue enormi tette. Non era male Rosy pensò un attimo dopo essersi ripreso, con dieci chili in meno era da sbattere senza dubbio. Un paio di anni prima, a dire il vero, Rosy per il suo compleanno gli regalò una “spagnoletta”. Sua madre del resto era sarta, pensò quasi ad alta voce e gli
scoppiò un sorriso in faccia ebete con su scritto che cazzo ridi. Ed erano quelle le parole che usciranno dalla bocca di un tipo che non aveva mai visto e che adesso era al suo cospetto con fare inquietante più che minaccioso. “- Sei il fratello di Giancarlo? – Nanni, giusto? – Si… – Ah Nanni, Nanni, noi due dobbiamo parlare – Beh adesso, non mi sembra proprio il caso – E invece è proprio il caso, caro il mio Nanni, prima parliamo e meglio è, fidati, di questo fratello, che non sapevi nemmeno di avere.. le mie condoglianze intanto. Ci vediamo tra mezz’ora davanti al portone – Non credo che ci sarò – Ci sarai, ci sarai… lo sai che ti conviene, a dopo, e ancora condoglianze – Ma tu chi sei, si può sapere almeno come ti chiami? – Angelo, ci vediamo tra mezz’ora, non farmi attendere che ho poche sigarette.
Ivan Conticelli si alzò per andare in bagno, nei corridoi scorse Laura: – Ti vai a fare una canna? – Si, mi sta scoppiando la testa – Vengo con te . E’ morto il fratello di Nanni, uno dei tipi che vive con me, non so se te lo ricordi – Nanni, quello napoletano che suona la chitarra?
– Si proprio lui… – Gli è morto il fratello, poverino, mi spiace. – Il fatto è come è morto il fratello – Perché come è morto? – Ammazzato, lo hanno ammazzato… hanno ritrovato il corpo ieri sera in una spiaggia a 50 kn da dove abitava. Cazzo – Io sono ancora shockato, sono venuto a lezione perché pensavo la Vaccari mi distraesse e invece niente… – E’ così eccitante invece – Eccitante? Sei fuori? – Beh la morte ha a che fare col sesso più di quanto immagini, mai sentito parlare di Bataille? – Ivan Conticelli restò in silenzio, guardando
fisso negli occhi Laura che con le mani lo accarezzava in Olanda. – Devo bere un pò d’acqua – Fuoco, decisamente fuoco.
Il lavoro da cassiere stava stretto a Emilio Rubini che per arrotondare faceva delle storie e le rivendeva.
Ovvero, comprava cento grammi di erba, 20 la teneva per lui, il resto la rivendeva quasi al doppio del prezzo. Aldo Poli, cliente abituale della sua Conad, era uno dei suoi migliori clienti. Ben presto i due diventarono amici e una sera, Aldo presentò Elena a Emilio. La confidenza fu istintiva. L’erba era di quella buona, direttamente da Napoli che ultimamente gli amici pugliesi gli avevano rifilato dei mezzi pacchi. Aldo Poli sognava di essere posseduto insieme alla sua giovane donna da Emilio, così rude e soave al tempo stesso, che gli ricordava i film di Pasolini che amava alla follia. Alle sue avance, Emilio stava quasi per prenderlo a pugni ma Aldo Poli gli prese con forza la faccia e la diresse verso quella di Elena. “- Baciatevi così, dai su, così con la lingua”.
Emilio si ritrovò dentro Elena nel giro di pochi minuti, mentre Aldo Poli si masturbava guardandoli. Le cose andarono così per altre due volte, poi Emilio aveva chiesto ad Elena di andar ad abitare insieme, di far le cose serie, come amava ripetere. Nell’entusiasmo la loro storia aveva preso vita rapidamente, ma finì altrettanto presto, in malo modo, Emilio, non riusciva a sopportare i continui tradimenti di Elena, nonostante la sua comprensione, nonostante Alice.
Capitolo 17 – Piccirilli titolo provvisorio
13 agosto 2011 – Sono in casa che aspetto che Giancarlo mi passi a prendere per passare il Ferragosto in Liguria, alle Cinque Terre. Giancarlo è il mio uomo già da qualche mese. Ha 43 anni ed è alto 1,88, fa il commerciale per un’azienda di prodotti per la pulizia, non è divorziato ma ha una figlia di 17 anni, cazzo nella media, ma ancora nessuna pillola blu, ama i film di Woody Allen e ascolta solo musica jazz. Ma mi ha conquistata principalmente perché si è letto il mio libro veramente, naturalmente dopo che ci eravamo conosciuti quando è venuto a propinarmi prodotti per la pulizia del pub.
Per libro intendo Marta.. di un altro pianeta, perchè con “Piccirilli, titolo provvisorio” (il libro si intitola proprio così) sono come bloccata, non sono contenta di niente e ho scritto in questi mesi soltanto pochissime pagine e che non mi convincono più di tanto:
Erano le 6 e un quarto ed Emilio stava per fare ritorno a casa. Quando a duecento metri dal traguardo, venne fermato dal Ciro Boys, i guardapalle di Rocco De Filippo. 41 anni, che gli si era presentato al supermercato: – So che vai cercando roba buona, roba di qualità”. Ma Rocco adesso non c’era, i suoi guardspalle si
, la situazione non prometteva niente di buono. “- Hey
ragazzi, come butta?” – Rocco ti vuole parlare subito – Ma sta a Mascarella, sono appena tornato da via Irnerio, facciamo domani – Subito, vieni con noi in macchina tranquillo. Ok, si può sapere il motivo di tanta urgenza?
Con i pagamenti sono indietro mi pare di 230 euro o poco più… che problema c’è, la prossima settimana aggiungo il mancante. “- Senti Emilio, vieni con noni senza lagne, Rocco è incazzatissimo, anche con noi del resto, sali in macchina che ne parliamo e non lo facciamo aspettare, che lo sai come è fatto, se gli girano i coglioni poi… esagera, fa cazzate, telefona, spara, Meglio non contraddirlo.
Anche Ivan si appresta a tornare a casa, lì 11 è gremito, ma c’è un 13 dietro che fa in parallelo, più o meno la stessa strada. Prenderà il 13. Sfortuna volle che insieme a lui in autobus salì Virginia Maggi, che si era scopata 5 giorni fa e che sopratutto era la nuova compagna di Emilio, uno dei tipi con cui condivideva l’appartamento.
“- Ma ciao Ivan, non ti sei fatto più sentire… una botta e via” – “No, non è come pensi, devo dare una volta per tutte Storia del diritto romano e… mi ci sono messo con la testa… come si dice? – Con la testa sotto – Si, e… – Hai una paura fottuta di Emilio, questa è la verità… che lui non saprà mai, tranquillo – Beh, meno male, almeno… – Emilio mi ha mandato un messaggio un quarto d’ora fa che ha avuto un impegno improvviso, sai per.. questioni d’erba e… beh, se vuoi, sono sola soletta. Dopo aver ricevuto una spagnoletta neanche un’ora e mezza prima, Ivan, si apprestava a scopare, per la seconda volta, la nuova tipa del coinquilino spacciatore e appassionato di body building. Si sentiva
un uomo morte, con un cazzo enorme tra le mani che avrebbe fatto a fette l’ansia dia prestazione che lo pervadeva ogni 7 secondi di media. I suoi sette secondi: sua madre che aveva scordato la merendina e i bambini che gli davano del povero in seconda elementare, la prima canna a 13 anni fumata con un cugino più grande che lo fece vomitare per due ore, l’incidente dopo 23 giorni dalla patente con la macchina del padre, la prima scopata con AnnaMaria, con cui era stato compagno dalla prima media, lui che rientra con suo padre a casa e trova sua madre con il fratello di lei, non che zio, intenta a succhiargli il cazzo, mentre il resto doveva ancora accadere. Magari proprio quella sera sarebbe stata demandata ai posteri.
Con una paura persino sconsiderata, Nanni incontrò Angelo fuori il portone di casa. “- Tuo fratello è morto perché un coglione ha voluto fare il furbo e lui ne ha pagato le conseguenze” – “Non capisco… guarda, davvero, non.. “ -“Non c’è niente da capire, devi aiutarmi a punire il colpevole”. “- Quindi tu sai chi è stato” . “Già”
– “ Va bene, ne riparliamo domani e a mente fredda mi spieghi meglio il tutto. Rientrato in caso Nanni battezza un angolo e ci va a fumare, riposando le parole di Angelo e per quale motivo suo fratello fosse morto.
Intendiamoci, sapeva che quella specie di mito vivente era capace di mettersi in qualunque tipo di affare. Di cosa si trattava? Droga? Prostituzione? Armi? Nanni non escludeva nessuna pista, conosceva suo fratello, lo adorava, era una testa di cazzo, ma lo adorava. Lui non sarebbe mai stato come lui.
Giancarlo Esposito ha 27 anni appena compiuti, è fiero di se stesso, di essersi fatto il mazzo, anche se “in regola” non aveva mai lavorato un solo giorno della sua vita” – Anche se dalla tenera età di 12 anni era uno dei piccirilli preferiti da Don Matteo.
Capitolo 18 – Mi sparo Bleach dei Nirvana, mi sembra proprio il caso, ciao
Eccomi qui, su questo letto, sola, con Giancarlo a casa sua, con sua figlia, e io coi miei pensieri che cercano di rimorchiare i ricordi di questi giorni. Sono stati giorni intensi, le Cinque Terre bellissime, Giancarlo premuroso e complice, carico di attenzioni. Io sono stata distante, sfuggevole, quasi inconsistente, non per colpa sua, ma perché dentro di me è come se mi sentissi irrisolta. – Economicamente sto mediamente bene, ho un’attività che mi piace, una casa, qualche soldino in banca, lo showbiz non mi manca di certo, un libro l’ho pubblicato comunque, anche se con scarso successo, ho un uomo al mio fianco che mi riempie di premure, anche se è più grande, anche se ha già una figlia, grande – Ma ho più che il sentore di non essere totalmente appagata, di essere felice veramente. Forse il blocco per il nuovo libro che forse non sarà mai pubblicato da nessun editore, forse il pub che mi da troppe responsabilità, forse che un pochino mi manca non essere più riconosciuta per strada, forse che la distanza d’età è un pò troppa, forse che ha già una figlia adolescente?
La figlia adolescente di Giancarlo si chiama Adriana, è alta 1,72 e frequenta il Liceo Classico Cavour, proprio come me, ma tanti anni fa. Non ne è una che parla molto, almeno con me, quelle rare volte che mi capita di incontrarla. Giancarlo mi dice che è normale, che fondamentalmente poi essendo timida.. Adesso io capisco che i genitori possano vedere i propri figli come angeli scesi in terra, puri e lindi, passati sotto tortura di candeggina ma è alquanto evidente che Giancarlo di sua figlia non ha capito niente o non vuole capire.
Adriana, la diciassettenne alta 1,72, timida e impacciata a gli occhi del padre, è in realtà una figa notevole con una terza di seno abbondante e due gambe da far invidia alle modelle più famose. Il culo poi.. quando lo vedo non riesco a non lasciarci gli occhi, sono i momenti in cui dubito fortemente della mia eterosessualità. Lei ne è perfettamente cosciente e la sua presunta timidezza non è altro che snobismo puro e semplice. Ecco, sono invidiosa di lei, della sua bellezza, degli anni che lei indossa con leggerezza e che io non ho più. Mi sento vecchia, stanca, arrugginita, ho un uomo più vecchio di me, che ha pure la figlia figa, ho scritto un libro di merda, voglio della candeggina per ripulirmi anche io come tutti i padri fanno con le loro figlie. Mi sparo Bleach dei Nirvana, mi sembra proprio il caso, ciao.
Capitolo 19 – Ma due giorni dopo, si
25 dicembre 2011 – Questo Natale lo passo da sola. Abbiamo chiuso il pub, per permettere al personale di passare questi giorni di festa in famiglia. Per me Natale è un mistero, come l’11 settembre in fondo, che sono stati celebrati i dieci anni questo anno, un enorme punto interrogativo e mille domande a cui non hai mai voglia di rispondere. Bob Dylan, che non è mai piaciuto diceva che la risposta è da ricercare nel vento, come a dire che le idee sono nell’aria, che basta saperle cogliere..
Grazie al cazzo caro Bob, un motivo, a parte la voce orrenda, se non mi piaci c’è, ma vedrai che tra qualche anno ti daranno il Nobel, l’importanza te la riconosco.
Un paio di cose importanti in questi mesi che non ho scritto, che vale la pena narrare sono comunque successe, nel vento o nelle idee che stanno all’aria aperta che dir si voglia. A ottobre ho deciso di non scrivere più, quanto meno “Piccirilli titolo provvisorio” non è il progetto giusto, a metà ottobre ho rotto con Giancarlo perché ci ha scoperte, intendo me ed Adriana.
Questo il mero elenco dei fatti, perché a dire il vero mi vergogno un pò a mettere questa storia nero su bianco, ma sono anni che sono sincera solo su queste pagine ormai file, e pace alle anime di non so di chi. Il 7 di ottobre con la scusa di fare una sorpresa a Giancarlo, mi presentai inaspettata a casa loro. Sapevo che Giancarlo non c’era e quando Adriana aprì la porta spiegai subito che era una sorpresa per il padre, che avevo preparato tutto nel minimo dettaglio e che avevo bisogno di una mano perché il piano riuscisse a suonare
una melodia quanto meno decente.
Adriana non fu restia come mi aspettavo ma collaborò fattivamente ai miei intenti e insieme organizzato la sorpresa, che per inciso, era perché Giancarlo era diventato area manager di Torino e provincia, non più quindi un semplice rappresentante. Il problema è stato che tra un preparativo e un altro, con Adriana ci siamo subito sentite complici e fiere nell’amare in seppur amore diverso lo stesso uomo. Una ganja dal profumo intenso e inebriante, una bottiglia di vodka al melone che Adriana conservava nel cassetto segreto della sua scrivania e senza neanche realizzare più di tanto, ci siamo ritrovate a baciarci e poi tutto il resto, tutto e senza cognizione di spazio, tempo e ragione.
Giancarlo non ci trovò quella sera aggrovigliate come due auto incidente in uno scontro frontale, perché mezz’ora prima del suo arrivo, un rigurgito di coscienza aveva fatto in noi capolino, ma due giorni dopo, si.
Un’esperienza straziante e scioccante. Eppur classica nel suo dipanarsi. Ero andata da Adriana alle 4, Giancarlo sarebbe dovuto tornare non prima delle 7 visto che finiva alle 6 e mezza di lavorare e invece quel giorno, aveva smesso prima, perché tra l’altro si era sentito poco bene.
Per un uomo di quello stampo, trovare la presunta angelica figlia nel suo letto, in compagnia della sua compagna, che amoreggiavano con cognizione di causa.. non riesco a credere che non gli sia venuto un infarto all’istante, povero Giancarlo. Lasciarsi fu
inevitabile, come non rivedere più Adriana, anche per una forma di rispetto verso un uomo a cui comunque avevo voluto bene e avevo fatto del male, forse anche indelebile. Adriana mi ha scritto qualche volta in questi mesi a dirla tutta, ma le ho risposto solo la prima volta, ribadendole che era stato bellissimo ma che era finita, per sempre e di non scrivermi più.
Oggi che è Natale, mi manca una famiglia, quella che si è sfracellata sotto i miei occhi e quella che ho distrutto con arroganza e consapevolezza, sono un mostro. Mi mancano persino Miriam e Giovanni, non ci vediamo da anni, ma solo perché io sono un mostro e gli ho detto ormai anni fa che erano invidiosi del mio successo e che non capivano un cazzo, che erano due puttane di poco valore in cerca di sistemazione. Sono un mostro, cattiva, perfida e puttana.
Capitolo 20 – Mariano è un mostro di cinismo e io sono vodka, alla frutta
Rileggendo il diario ho notato che spesso dico che sono una puttana o do agli altri il suddetto epiteto. Lo faccio, anche nella vita reale, perché credo ci sia una profonda differenza tra il termine troia e puttana. Alla troia piace, lasciarsi andare e tutto quello che ne consegue, è
cosciente, ma è pronta a ricevere il piacere, non vile denaro. La puttana invece è colei che scende a compromessi e si fa fottere per denaro, successo, popolarità, ma anche solitudine, noia, denaro, successo, popolarità. Io credo spesso di essere stata una puttana nella mia vita, mai una troia consenziente.. Ecco 3 marzo 2012, oggi, ti regalo questa grande verità. Il punto è: che mi sono guardata allo specchio forse per la prima volta? Che mi sono masturbata davanti allo specchio e guardare la mia figa con le mie dita in mezzo mi ha fatto prendere coscienza? O era la bottiglia di vodka alla fragola che ho vomitato poco dopo?
Non ho più voglia di relazioni, non ho più voglia di scrivere, non ho più voglia di gestire un pub, voglio mandare tutto a puttane ma so che non sono pronta a farlo, almeno non da sola.
6 agosto 2012 – Sono ufficialmente nel cast dell’Isola dei Famosi. Mariano, dal tono incredulo, dice che è fatta, che non si sa mai, che un domani potrei pubblicare un altro libro, che il provino è andato extra lusso, come dice lui, che vuole scopare per festeggiare, che ha un pò di coca e un’auto che mi aspetta, a Milano, fuori dal monolocale che ho affittato a luglio, per ricominciare la mia carriera artistica, come dice Mariano, col quale sono tornata a lavorare a metà aprile, quando ho finalmente deciso di mandare tutto a puttane. Consapevolmente.
Mariano dice che è fighissimo ritornare sul luogo del delitto e che mi ameranno come non mai. Mariano è un
mostro di cinismo e io sono vodka, alla frutta.
31 novembre 2012 – Mai più dare retta a Mariano, promemoria, potrei scriverci un libro e intitolarlo proprio così. Per chi non lo sapesse, sono uscita dall’Isola dei Famosi per una bestemmia alla primissima diretta durante la prova del fuoco. A dirla tutta è stata più il mio mignolo a gridarla al mondo televisivo – Per quanto mi riguarda posso scrivere oggi, di non aver mai provato così tanto dolore come in quel caso nefasto e che è già storia della televisore italiana, lo so, ma è questo il livello.
I buoni propositi per il 2013, anche se manca un mese al nuovo anno, sono dunque: Basta per sempre Mariano e lo spettacolo, basta con alcol e droghe, farsi una bella canna di charas, brindare all’anno nuovo ad amaro del capo e bestemmie per tutti. Ricominciare a scrivere… ho ricominciato, ma questo incipit non mi convince per niente:
Francesco Ferrari e Anna Montorsi, rispettivamente di 63 e 58 anni, sono i miei nuovi coinquilini. Io mi chiamo Mario, ho 37 anni e di cognome faccio Ferrari, come Francesco, mio padre, marito di Anna Montorsi, mia madre. A dire il vero, ho giù vissuto con loro, per la precisione, dalla mia nascita fino a 18 anni, quando andai via di casa per frequentare a Bologna l’Accademia di Belle Arti. Oggi, è un mese che sono tornato a Modena, la mia città natale a vivere con i miei genitori.
Esattamente sei mesi fa ho perso il lavoro, quindi non per per sto virus del cazzo, ma perché sono un tossico di merda e non stavo più dietro i ritmi aziendali, nel senso che non riuscivo a svegliarmi in tempo la mattina e al quinto ritardo, pur manifestandomi stima, persino ammirazione per il mio talento, mi hanno licenziato per giusta causa, perché “in sostanza” sono un tossico di merda, anche se potevano aspettare sto virus del cazzo per mettermi in cassa integrazione. Il mio talento era quello di vendere qualunque cosa.
Ero un rappresentante coi contro cazzi senza giri di parole. Dovete sapere che all’Accademia durai un anno scarso, anche perché due esami andati a male dopo avevo incominciato a coltivare il mio talento vendendo marjuana agli amici e agli amici degli amici. In un paio di anni, tramite le giuste conoscenze fatte tra tutti quegli amici, avevo trovato il mio posto come team manager della Gemma Elettronics, un’azienda giovane e in forte espansione in quegli anni, grazie alla mente visionaria e ultramoderna del giovane fondatore, Romeo Bersani, e in fondo un pò grazie anche a me che gli vendevo l’erba migliore che il mercato bolognese potesse offrire. Gli piaceva la mia erba, e gli piaceva anche la mia parlantina, netta, veloce e senza reticenze.
15 anni dopo, alla resa dei conti, non avevo fatto la carriera che Bersani si aspettava da me e non mi ero mai schiodato dall’ottima comunque posizione di team manager con cui avevo iniziato. Ma non perché io non sia veramente bravo, non perché mi accontento, ma semplicemente, ripeto, perché sono un tossico di merda
e ripensando adesso per essere rimasto così tanto tempo alla Gemma, nonostante sia un tossico di merda, devo essere veramente bravo, un vero e proprio talento, aggiungete a piacimento: sprecato, buttato, fatto marcire. Quando dico che sono un tossico di merda per la precisione, non parlo di eroina, ma di tutto il resto, alcol compreso, si. Inoltre, questo non ve l’avevo ancora detto, posso ritenermi con orgoglio, un maniaco sessuale. Il giorno del mio licenziamento per farvi capire, “festeggiai” diciamo così, la mia libertà con due donne di un certo valore, non solo in termini di bellezza, ma anche di vile denaro. Della serie: “mandare tutto a puttane” è proprio il caso di dirlo.
Capitolo 21 – più spesso penso che la nostra relazione sia una barzelletta di cattivo gusto e che finirà quanto prima
Oggi, 23 dicembre 2012, è uscito il mio calendario. Non vanno più di moda, non avrei mai dovuto farlo, odio Mariano, ma mi hanno dato un pacco di soldi. Sono una puttana del resto. Oggi ne sono più consapevole. Anche Renato lo è. Lavora per la Juventus nel settore della comunicazione, lui tifoso del Torino da sempre, ma duemila euro al mese e si guarisce dal tifo tranquillamente. Renato è bellissimo, è 1,79, palestrato, castano chiaro, occhi verdi, cazzo sotto la media, auto di grossa cilindrata, spendaccione e affettuoso. Molto.
Io mi approfitto beatamente di lui e delle sue finanze e
lui può fregiarsi di portare al suo fianco l’ultima diva da calendario, che non vanno più di moda, ma che mi hanno dato un pacco di soldi. Sono una puttana pratica, ma il sesso con Renato è ridicolo, godo solo, quando mi lecca la figa o il buco del culo per almeno un quarto d’ora, il suo cazzetto mi fa appena il solletico e sono ufficialmente una puttana stronza.
Il buono di Renato è che è perfettamente cosciente che non riuscirei mai a godere col suo pistolino (termine orrendo ma che rende pene l’idea), e che in estrema sintesi posso scopare con chi voglio. Lui non si fa nessun problema se io ho rapporti intimi con altra gente, anzi mi incoraggia pure. Si eccita da morire tra l’altro quando gli do del cornuto, il suo cazzetto o pistolino se preferite, sussulta letteralmente, anche se poi i risultati sono scarsi comunque.
Renato, che lavora nella Juventus, che sa come comunicare, che sta bene, fisicamente ed economicamente anche se ha il cazzo di un bambino di 7 anni, mi ha fatto diventare più troia che puttana. Per la prima volta infatti, o forse, almeno credo, quando vado con altri, più o meno occasionali, lo faccio veramente con piacere, solo per il piacere di stare bene, di dare e ricevere godimento. Questo penso ogni tanto, più spesso penso che la nostra relazione sia una barzelletta di cattivo gusto e che finirà quanto prima.
Qualche giorno fa, ho iniziato a scrivere questo racconto pensando a lui, o meglio ispirata da lui – PS: i calendari
non vanno più di moda. PS2: Ho lasciato Renato, la situazione era francamente ridicola.
Juventin Marco aveva 13 anni ancora da compiere, quando aprì il cassetto dove il nonno teneva il portafogli al riparo di occhi indiscreti come i suoi, che avevano appuntato l’ora esatta in cui il nonno riponeva quel portafogli strapieno nel cassetto che stava sotto allo specchio. 50 mile lire, era il prezzo dello Swatch, l’orologio più di moda in quel 1990 dove tutti aspettavano i mondiali, JuventinMarco il primo bacio. E la finale di coppa Uefa tutta italiana contro la Fiorentina, dove giocava Roberto Baggio, che si vociferava dovesse passare alla Juventus dopo i mondiali. Uscito dal negozio di orologi con lo Swatch racchiuso in un elegante pacchettino regalo, JuventinMarco volle esagerare e con l’aggiunta di 7 mila lire acquistò anche un paio di orecchini Najoleari. Quel bacio gli sarebbe dunque costato 57 mila lire, rifletteva a voce bassa e cuore caldo. La settimana che lo divideva dal compleanno di Manuela, la sua ragazza, che compiva 12 anni, passò in fretta in un crescendo d’eccitazione che non aveva mai vissuto nel corso della sua giovane vita.
In quella settimana tra l’altro aveva dovuto imperare a memoria “Il sabato del villaggio” e la professoressa aveva spiegato che in sostanza era quasi meglio l’attesa della festa che la festa stessa. Non se ne preoccupava, lui quel 12 giugno avrebbe dato il suo primo bacio. E venne così il giorno della festa, Manuela era bellissima,
avvolta in un vestitino rosso, una vera e propria bambolina. 23 era il numero degli invitati, tra cui un misterioso cugino di tre anni più grandi di cui Juventin Marco non aveva mai sentito parlare. La casa era molto grande dentro e fuori c’era molto spazio per giocare e correre. Il sole era alto e fiero e Eros Ramazzotti cantava “Canzoni lontane”.
Si giocava a nascondino, Juventin Marco si nascose nella cantinetta abusiva che il padre di Manuela aveva costruito con le sue mani. Trenta secondi dopo dal suo rifugio, Juventin Marco vide entrare con fare complice, Manuela e il misterioso cugino di cui Juventin Marco non aveva mai sentito parlare. Ridevano… dicendosi di fare silenzio, ridevano ancora, e si baciavano, ridevano e si baciavano, era evidente che non era la prima volta. JuventinMarco prese d’impeto la prima cosa che c’era nello sgabuzzino e lo scagliò con tutta la forza del mondo in testa al cugino misterioso che non conosceva. La Juve di Baggio, Schillaci e Maifredi avrebbe dovuto spaccare il mondo quell’anno, ma le premesse si erano sin da subito palesate nella super coppa Italiana, 5 a 1. Juventin Marco pianse come un bambino quella sera e prima di andare a dormire, vomitò l’anima.
Capitolo 22 – Dovresti scriverci un libro
Poi tornò Carla, erano anni che non la vedevo e anche se tutti la credevano morta, io sapevo che era ancora
viva, conoscendone la scorza. Oggi che riscrivo, sono passati parecchi mesi, e la mia vita è stata ribaltata dal ritorno della brigatista, madre adottiva, dal Brasile o di chissà quale altro luogo è stata a scappare e a nascondersi. Mentre Alberto è morto e io non ho capito se è morto a causa sua o meno. Certe domande semplicemente non hanno risposta o non la meritano semplicemente. In questi mesi con Carla, che si è presentata con i capelli rosso fuoco, occhialoni neri da vamp retrò, stivaloni old style e rossetto labbra incendiarie, siamo riuscite a trovare una certa intesa.
Non posso parlare di amore tra madre e figlia, ne di rapporto amicale, ma di una stima reciproca che si è instaurata tra noi come per magia.
– “Sono tornata, facciamo festa” – Furono queste le sue parole quando aprì la porta credendo fosse la signora del piano di sotto per rimproverarmi su qualunque cosa, non rimasi neanche sorpresa più di tanto a dirla tutta: – “Ok, ne riparliamo quando torno da lavorare” – Furono queste le mie parole. Carla viveva e vive nascosta, anche adesso che è nella sua casa, nella mia. Esce raramente, solo dalla porta del garage che dall’interno del palazzo la porta all’esterno senza dare troppo nell’occhio, e ogni volta con un’acconciatura, con uno stile diverso, non per vanità o voglia costante di rinnovamento, ma proprio per non farsi riconoscere. Io vivendoci assieme ho imparato, ma le prime volte mi sembrava di avere un’estranea in casa, l’ho ribattezzata infatti la coinquilina sconosciuta. Lei ogni volta mi ribadisce: – Dovresti scriverci un libro.
Il mese scorso ci siamo ubriacate insieme e ho trovato il coraggio di chiederle di Alberto, del perché si era ucciso.. La sua risposta, nonostante l’alcol fu secca e decisa :- “Tuo padre, era un debole, tutto qui”. Capì che era inutile cercare altre risposte, che aveva detto tutto e in ogni senso, con quel suo sguardo fermo come un vino di un certo spessore, invecchiato come si deve.
Carla era stupenda. Era come se la vedessi per la prima volta in tutta la sua fierezza, eleganza, aspra e dolcissima al tempo stesso, sicura e senza paura delle sue fragilità. Le assomigliavo tantissimo, o almeno avrei voluto.
Poi Carla partì, promettendo che sarebbe tornata, coi suoi tanti segreti da non rivelare. La sua partenza mi ha rattristato molto da un canto, ma dall’altro mi ha ridato un enorme fiducia. Del resto, sono figlia, seppur adottiva di cotanta donna. Mi ha cresciuto lei, non avrebbe potuto essere altrimenti.
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