“Sono arrivato nei pressi della tua abitazione e sono salito fino al terzo piano.”
“Ma nessuno, il portone era aperto, sono giunto davanti all’uscio di casa tua e ho bussato il campanello.”
“Che piattola. Che differenza c’è? Mi hai capito.”
Carlo annuisce soddisfatto.
Ride isterico.
“Sei nella mia testa adesso? Arrivi qui senza nemmeno annunciarti e pretendi di sapere cosa le mie sinapsi hanno elaborato.”
“Ti ho chiamato.”
“A che ora?”
Mario guarda lo Swatch degli anni Ottanta con i due Cuphead che segnano il tempo.
“Verso le due.”
“Non mi risulta.”
“Non a casa, sul cellulare.”
“Non rispondo mai. Se mi interessa al massimo richiamo. Fatto raro.”
“Lo so.”
“Potevi chiamare al telefono fisso.”
“I tuoi forse riposavano.”
“La chiamata era per me non per loro, giusto?”
“Ho pensato…”
“Ecco non farlo.”
“Cosa? Chiamare?”
“Pensare”.
Mario sbuffa e si ficca una sigaretta in bocca.
“No.” Secco, asciutto.
“Tu non fumi, io si. Allora?”
“Non osare accendere quella cosa oscena qui dentro, MAI!”
“Che naturalista. Mica vorrai morire sano?”
“Non hai capito. Io vivrò per sempre. Insomma, che cosa vuoi?”
Mario si avvicina a Carlo che osserva fuori dalla finestra della sua camera.
Butta un occhio in giro: Libreria piccola ma con libri dal dorso importante tutti ordinati per altezza e per nome di autore. “Platone, Socrate, Euripide…” legge in modo casuale.
Alle pareti un paio di poster incorniciati, la locandina di “Ecce Bombo” e quella di “Un chien andalou”, un piccolo giradischi della Pioneer è posizionato vicino alla sua scrivania colma di penne e Block notes o Moleskine. Si sporge per leggere i titoli dei vinili – Miles Davis – Kind of Blue
John Coltrane – A Love Supreme, Bill Evans – Waltz for Debby, Charles Mingus – Mingus Ah Um
Thelonious Monk – Brilliant Corners, Chet Baker – Chet Baker Sings, Ella Fitzgerald & Louis Armstrong – Ella and Louis, Duke Ellington – Ellington at Newport, Herbie Hancock – Maiden Voyage, Art Blakey & The Jazz Messengers – Moanin’, The Clash – Sandinista.
“Cazzo Carlo ma qualcosa di moderno?”
“Non dire blasfemie qui dentro per favore”.
“Ma che…” si trattiene da bestemmiare.
“Cosa ti angustia mio scervellato amico? Per modo di dire, non farti strane idee”.
“Lo vuoi sapere? Hai diciotto anni e sembri uno di settanta. Nessun computer in casa, hai un “Nokia 3310”, per fortuna la riedizione di qualche anno fa senza whatsapp, non usi i social, non guardi YouTube, nemmeno una mail né CD. E guarda li! VHS. Assurdo, dove le vedi quelle con i televisori di oggi??”
“Non le guardo. Le ho vissute. Le vivo ogni giorno solo posandoci lo sguardo. Titoli impressionanti girati in epoche lontane, non lo potrai mai capire te che passi ore a muovere il ditino su e giù su uno schermo minuscolo e ridere di idiozie fatte da gente che non sa cosa sia il ragionamento Wittgensteiniano. Mi chiedo ancora perché perda tempo con te che ascolti quel rumore distorto pieno di testi satanisti.”
“Non cominciamo a parlare del Heavy Metal che me ne vado via e non mi vedrai per molto tempo.”
“Se mantieni la promessa posso iniziare subito a dirti che fanno tutti schifo nessuno escluso per poi passare ad analisi dettagliata dei nomi dei vari “gruppi”, i titoli degli album, le copertine per finire con l’analisi musicale dettagliata.”
Mario lo ignora.
“Sono venuto comunque per un motivo.”
“Immagino l’importanza. Sii breve per favore, ho da fare.”
“Ma cosa? Sono le diciotto di fine luglio, sei stato qui dentro da ore, forse giorni a giudicare dall’odore di chiuso, sudore e calzini sporchi che avverto nel naso.”
“Abbiamo anche Sherlock Holmes qui. Hai errato. Sono uscito ieri a fare due passi alle sei del mattino, poi una colazione con succo di arancia e pane imburrato, a volte indulgo sull’orzo o su un the verde, poi bisogno corporali. Dopodiché…”
“Ti masturbi pensando ad Angela e alle sue immense…”
“Fuori di qui.”
“Vah che non c’è nulla di male sai? Alla fine, sei una specie di essere umano anche te.”
“Potresti andare via?”
“Senti sono qui per un motivo serio, non per discutere di sesso solitario, pulizie, igiene…”
“Quella dovresti cercare sulla Treccani, leggerla molte volte e poi applicarla.”
“Carlo che due palle. Te lo posso dire?”
“Utilizza altra mala parola e ti caccio a pedate.”
Mario, cento kg per quasi due metri di altezza avvolti in pantaloncini neri della Nike finenti in piedi taglia quarantasei calzati in anfibi scuri, maglietta dei Behemot, capelli lunghi raccolti a crocca, occhi neri, faccia paffuta e mani grandi quanto una pala per pizze osserva il ragazzo alto, magro, naso aquilino, con le ciabatte ai piedi avvolti con bianchi calzini, pantaloni lunghi marrone chiari su camicia rigorosamente bianca a maniche corte, capelli lunghi mossi e baffetti da porno attore degli anni Settanta, con un sorriso ironico.
“Vorrei proprio vedere come faresti…”
“Più grandi sono, più rumore fanno quando cadono.”
“Come dici tu. Senti, io ho da dirti una cosa seria e mi spiace se ho disturbato qualsiasi cosa tu stessi facend…”
“SHH! Vieni a vedere, presto!”
Mario preso di sprovvista si avvicina al ragazzo ponendogli una mano sulla spalla.
“Toglila.”
“Cosa devo vedere?” continua lui osservando fuori dalla finestra che dà sulla piazza del paese morente e non solo perché sia una delle estati più calde dell’anno.
“Quella la”.
“La signorina Pina?”
“Non penso sia “signorina” da anni…”
“Lascia fare”. Dice lui ridendo.
Entrambe osservano la donna di età indefinita, occhiali scuri, spandex verde mare su un giubbotto di jeans che copre una camicetta gialla che lascia intravedere il piccolo seno non cadente. Porta al guinzaglio un cagnolino sofferente per il caldo estremo nonostante l’ora.
“Quindi?”
“Dio mio, poi sono io quello con il disturbo dell’attenzione.”
“Come sempre non ti capisco.”
“La novità dove sarebbe?”
“Mi stai forse dicendo che anche te provi una pulsione sessuale verso le donne?”
“Hai letto il vocabolario ieri sera? Bellissimo termine, quasi musicale. La risposta è no ma sono intrigato.”
“Ecco su chi hai fantasie erotiche. Termine esatto scassaballe?”
“Ti ho avvertito…”
“Dimmi di Pina, cosa ti ha fatto quella poverina?”
“Come vive? La vedo sempre, ogni stagione dell’anno avanti e indietro con quella povera bestia, sigarette a profusione, non porta mai borse della spesa né parla al telefono, vaga quasi fosse in cerca di qualcosa. Come sopravvive? Lavora? Ha il debito di cittadinanza? Soprattutto, quanti anni avrà? Capelli nerissimi sempre raccolti, truccata forse troppo ma di una certa eleganza…”
“Aspetta fammi pensare come dirtelo senza offendere la tua anima candida.”
“Prego?”
“Se sei cattolico fallo, ma non credo che ti serva in questo caso.”
“Mario la smetti di essere un buffone? So che per te è alquanto difficile ma abbi pietà del mio animo.”
“Fellatio.”
“Cosa?”
“Non tu a me, anche se scommetto ti piacerebbe, ma lei.”
Lo guarda con quella faccia da cane a cui è stato lanciato un bocconcino gustoso per finta.
“Intendi…”
“Fa i bocchini per sopravvivere o per passione, non si è mai capito.”
“Questo è troppo!” dice lui prendendolo per un braccio.
Il ragazzo lo scuote via come scacciasse una cimice fastidiosa.
“Mi hai chiesto e io ho risposto. Detto questo, tu passi le giornate estive a osservare le persone che transitano qui sotto? Mio dio sei completamente fuso…”
Carlo sbuffa provando di nuovo a spostare il gigante fuori dalla sua camera, sudando come dentro ad una sauna.
“Io non posso essere di certo un modello di vita o culturale, ma tu sei inquietante. Rasenti lo stalker lo sai?”
“Ma che dici, che! Mi servono, sono tutti utili per il mio disturbo oltre ad essere perfetti, non tutti ovviamente, per il mio romanzo!”
“Quello di vita che ti renderà famoso e dannato come quell’omosessuale comunista che osanni tanto?”
“NON OSARE PARLARE COSI’ DI PASOLINI!”
“ORA CAPISCI COSA PROVO IO QUANDO MI CRITICHI GLI IRON MAIDEN”
“Non è la stessa cosa.”
“Per me sì.”
“No.”
“Sì”
“No”
“Sì”
“NO!”
“SI’!!”
La porta della camera, una di quelle che hanno il vetro rettangolare al centro viene aperta delicatamente. Il volto saggio e dolce di Rossana, mamma di Carlo come una Epifania.
“Mario gradisci qualcosa da bere? Soda, Cedrata, Chinotto?”
“Un buon caffè!”
“Quello lo faccio fare a mio marito allora. Senti portati fuori ‘sto cedro che già è pazzo di suo poi chiuso qui dentro…”
“No, nooo nooo Non credeeeerleeeeeh” urla Carlo sbattendole la porta in faccia.
“Ma che modi sono?” dice la mamma allontanandosi.
“Ma che fai? Povera donna…”
“Mi ha mancato di rispetto. Come tutti voi.”
“Senti… lasciamo stare che finiamo a litigare di brutto e io sono qui per dirti una cosa importate.”
“Allora. Sei qui da più di mezz’ora e devi andare via prima delle otto perché altrimenti mia madre ti inviterà a cena, tu accetterai e io starò male per giorni. Non voglio che resti qui, mai.”
Mario fa spallucce.
“Dammi spazio per parlare e chiudo in un lasso di tempo congruo. Ti piace che parli così eh? Puttanella…”
“Lo fai di proposito anche questo vero? Lo sai che non tollero…”
“Ma non siamo in chiesa o convento mi sembra. Va bene, te lo prometto, basta parolacce.”
Mario prende posto sul letto perfettamente rifatto e si ficca la sigaretta spenta che aveva riposto nel pacchetto prima in bocca.
“Non l’accendo.”
“Fossero almeno sigari. O pipa.”
“Ho la tua età, non sono tuo zio.”
“Sono fumate di classe. Ma io che vengo a parlare di raffinatezza a te non devo stare bene. Come sprecare il tempo. Riguardo a questo, ne abbiamo poco. Dimmi.”
“Ti ricordi Savio?”
“Quello che stava in classe con noi in quarto ginnasio?”
“Si.”
“Che poi mollò la scuola perché voleva fare l’intrattenitore dopo essere stato bocciato tre volte?”
“Esattamente lui. Era bravo.”
“Questo è un tuo parere del tutto opinabile. C’è da dire che è da ammirare il fatto di voler rimanere privo di cultura per seguire il proprio sogno. Non perché lo studio non sia necessario, tutt’altro, bensì perché ha compreso che in questa città non serve a nulla. Così decise di fare cosa?”
“Imitazioni, cabaret, stesura. Apprezzato però. Ha girato molto nei dintorni con show scritti da lui, ha avuto qualche parte in serie e film collaborando addirittura con cabarettisti famosi. Protagonista in alcuni spettacoli alla RAI, mi ricordo lo votai per non ricordo più cosa.”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“La televisione. Avrai visto qualche…”
“Mai. Non guardo il tubo catodico.”
“Nemmeno il telegiornale?”
“Sono dieci anni che non la considero più.”
“Sei serio?”
“Sai cosa dice Hans Magnus Enzensberger?”
“Eh?”
“Sono d’accordo con lui.”
Mario tiene per sé l’ennesima imprecazione, emette un respiro così profondo che rischia di fargli ingollare la Lucky Strike e riprende.
“Come vuoi. Comunque, se ne è andato.”
Carlo lo guarda come se fissasse un gelato al pistacchio caduto sul marciapiede rovente di quella estate infinita.
“Ha fatto la scelta migliore. Che ci stava a fare qui? Immagino la frustrazione di essere riconosciuto dal solito contadino, pensionato, bambino con grave ritardo o qualche vecchia bacchettona che magari lo rimproverava pure per i temi trattati. Non che li conosca ma ricordando il tipo posso immaginare.”
“Hai finito?”
“Non sono nemmeno ad un quarto dall’inizio, perché?”
“Non ha cambiato città, sciocco. È morto.”
“Oh. Dovrebbe questa essere dunque una tremenda tragedia che tocca la mia anima e il tessuto cittadino?”
“Certo che sei uno stronzo. Abbiamo condiviso un anno di cose con lui.”
“Voi. Io no. Non mi chiamavate mai alle feste.”
“Non venivi. Alla quarta volta abbiamo preferito desistere.
“Menzogna. A due sono venuto.”
“Si in silenzio con la Diet Coke a leggere non ricordo quale baggianata…”
“Aleph di Borges, illetterato.”
“Quello che è. Fatto sta che Savio non c’è più. Venti anni.”
Carlo sente un fremito dietro l’occhio. Poi le sinapsi riprendono a funzionare.
“Come è successo? Incidente? Malattia?”
“Suicidio”.
Cade il gelido silenzio.
“Potevi trovare un modo più delicato per dirmelo.”
“Non ce ne è uno quando si parla di una giovane vita che si auto trancia. Mi sono espresso bene? Poi a te non importa, vero?”
“La morte è sempre tragica.”
“Di cosa parlate?” dice Rossana aprendo la porta senza bussare creando un fremito alle mani di Carlo.
Mentre Mario prende il caffè caldo che lo fa sudare ancora di più Carlo narra alla mamma il tutto.
“Mio Dio che dolore per quella famiglia. Che peccato, povero ragazzo. Uccidersi. Quanto si deve odiare la vita per arrivare a questo punto?”
“Molto. O troppo poco.” Dice il figlio cacciando di nuovo la madre fuori dalla stanza, questa volta delicatamente.
Restano in silenzio per un po’.
“Vieni al balcone” dice Carlo. Mario lo guarda stupito, non commenta e si avvicina.
“Accendila pure vah.” Senza parlare il ragazzo guarda l’amico bruno crinito con sospetto attendendosi una delle sue sfuriate a lui non lo guarda già più. Il cervello altrove, il pensiero rivolto al volto di quel ragazzo con cui aveva scambiato poco e che sotto sotto aveva ammirato per la sua direzione di vita.
“Realizzare i sogni costa tanto. Per qualcuno troppo.”
“Lo sai per esperienza?”
“Perché lo ha fatto?”
“Depressione. Ne era incline. La morte del padre l’ha segnato.”
“Non sapevo.”
“Si una spiacevole storia di provincia, tipo mi metto in mezzo per sedare una rissa e mi va male…”
“Di questa zona. Del Mondo. Mi domando…”
“Non farlo. Carlo alla fine sei sensibile anche te, non me lo aspettavo” dice Mario tirando del fumo dal cannello di tabacco e cancro molto lentamente.
“No. Se ti riferisci alla sigaretta te l’ho concessa per accelerare il processo di morte per cancro che hai avviato da solo quanto? Sei anni fa?”
“Sei una vera merda, fattelo dire “amico”. “Però ride e gli da una manata sulle spalle ossute.
La pendola in casa batte le diciannove proprio mentre Carlo sta per ribattere. Mario getta la cicca di sotto nella città già lurida di suo e non aspetta il rimprovero dell’amico.
“Vado, non ti preoccupare, questo te lo dovevo dire di persona. Statti bene, ci becchiamo in giro.”
“Anche no. Ciao.”
Mario fa spallucce e inizia ad allontanarsi dalla stanza.
“Senti…”
“Dimmi.”
“Come lo ha fatto?”
“Ha importanza? È morto.”
“Per me ne ha.”
“Perché? Lo hai detto anche te, non era nessuno per te.”
“Ora è solo qualcuno che conoscevo. Come saremo tutti per tutti.”
“Amico tu dovresti uscire da questo posto lo sai?”
“Lo faccio.”
“Ma con la testa resti nel tuo mondo dorato di cultura.”
“Tu lo sai che ho un disturbo…”
Non lo lascia finire.
“Stronzate. Si ho detto altra parolaccia, mamma mia, andrò all’inferno con Curt Kobain e Jimy Hendrix, sai che risate mi farò?”
“E vattene via, vattene!”
Il ragazzone ridendo di cuore apre la porta e sparisce in pochi attimi alla sua vista. Sente la madre invitarlo a cena e teme che per dispetto possa accettare cosa che però non accade. Un po’ gli spiace ammette. Si rende anche conto che non ha saputo di come Savio abbia deciso di abbandonare questo Dove. Più tardi lo chiamerò per chiederlo, pensa ben sapendo che la cosa non accadrà. Rimarrà accantonata nel cervello per anni fino a sparire come una sedia tarlata in una casa abbandonata.
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