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Bianche bugie nere

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Consegna prevista Febbraio 2026
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Le bugie sono di due tipi: bugie bianche e bugie nere. Le bugie nere le dice il bugiardo, il millantatore, l’imbonitore, il venditore di fumo, il ciarlatano. Le bugie bianche, le usa chi ha timore o non vuole dire la verità, sbagliando forse, per paura di far del male, a fin di bene. In questa breve raccolta di racconti, sono un po’ tutte e due le figure, la verità però in entrambi i casi la fa da padrona, una raccolta di verità imbellettate, storie di vita ma anche di morte.
Bianche bugie nere, quelle che preferisco, sono le più perverse, pensate, studiate: il patologico umano che con abilità, trasforma la realtà in fantasia pur rendendola vera, un po’ come il mio lavoro, l’attore.

Perché ho scritto questo libro?

Chi mi conosce mi chiede continuamente della mia vita, molti di quelli che non mi conoscono mi chiedono di raccontare. Dunque quale miglior modo per accontentare tutti?

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Stavano come d’abitudine, lì. Come ogni giorno, per strada, ma quel giorno il Supersantos, non c’era!

Quel giorno, giocavano con i sacchetti dell’immondizia, quelli chiusi per bene, certo. Anche perché dovevano durare molto, il più possibile. Per almeno due, o anche tre tiri verso la Porta.

La Porta?

Una saracinesca di un negozio ancora o per sempre chiuso.

Un rugoso, grinzoso, incartapecorito portone di un palazzo invecchiato o da sempre vecchio.

Un’auto che era stata abbandonata o anche così era nata… forse.

Due piloni di cemento, che nella lontana Milano li chiamano panettoni.

I quali, fungevano da pali ma non per i ladri, ma da pali per la porta del giuoco dei guaglioni (ragazzi).

Si utilizzava insomma, qualunque cosa che potesse somigliare in qualche modo a una porta di un campo di calcio.

(Ovèr) Veramente!

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Dopo due o anche tre tiri bisognava cambiare sacchetto.

  • no, nun tirà sce’ chill’ s’arape! (no, non tirare scemo. Quello si apre)
  • … nun te preoccupà (non preoccuparti)
  • … nun tirà! (non tirare)
  • …ma nun me rompere ‘o cazz’ (ma non rompere, perdindirindina)

Parte, Gennarino.

Dalla distanza di sette o anche nove metri.

Calcia il sacchetto con un tiro perfetto.

Con il collo del piede.

Impeccabile.

Da fare invidia al più forte goleador.

O’ ciél ‘e Napule.

Il cielo di Napoli, nelle giornate limpide è un cielo diverso di molte altre parti del mondo, sicuramente perché sotto quel cielo, c’è Napoli.

Calcia, Gennarino. Il sacchetto compie una parabola, lunga, molto ampia, da far venire il torcicollo. Traccia una scia, come fanno gli aerei. Si confonde con le nuvole, belle nuvole. Enormi fiocchi di cotone, pecorelle, draghi, facce strane, carretti, specchio dell’umano terreno, con più poesia però.

Il cielo è azzurro, come il colore della maglietta che indossa Ciro, la maglietta del grande Napoli.

La parabola è sufficientemente alta da farci ammirare il cielo e con lo sguardo al cielo Ciro, rimane. E rimane…!

La parabola va a esaurirsi nella sua massima altezza per scendere poi, a definire il cono rovesciato. Scende il sacchetto, scende ancora, scende e chiudendo la sua traiettoria conica, scende proprio all’altezza della testa di Ciro.

Con perfetto tempismo, il sacchetto si apre sopra la sua testa.

-l’avita chiudere bbuon, ‘e sacchett’ da munnezz’ (Bisogna chiuderli bene i sacchetti dell’immondizia)

-ehhhh, Signo’! (ehhhh, Signora!)

Probabilmente, la mamma del bambino al quale è stato tolto il pannolone qualche ora prima, non ha pensato che dei uagliuni, avrebbero utilizzato quel sacchetto in sostituzione al Supersantos, che quel giorno non c’era. Non ha pensato che avrebbe dovuto chiudere bene il sacchetto. Non ha pensato che c’erano dei guagliuni che non potevano permettersi un bel Supersantos, il mitico SUPERSANTOS…

o’ PALLONE.

Il sacchetto si apre perfettamente sulla testa di Ciro.

E così come si apre il sacchetto si apre anche il pannolone.

E così come si apre il pannolone si aprono anche la bocca, ma soprattutto gli occhi di noi compagni di ventura di Ciro lo sventurato.

Tutti a guardare la testa del povero Ciro.

Ricoperta di merda.

Da quel giorno Ciro non era più Ciro e basta ma…

Ciruzz cap’é ‘mmerd. (piccolo Ciro, testa di cacca)

Non c’era il Supersantos, quel giorno.  L’ultimo Supersantos in possesso dei guagliuni risaliva a un paio di giorni prima, Quel piede a banana di Giggino, un paio di giorni prima, anziché fare gol verso la saracinesca, ha fatto meta su un terrazzino di un altro Giggino. Quest’ultimo però era un bel po’ più vecchio di Giggino ‘o guaglione. Giggino grande, era pelato ma non completamente, aveva una striscia di capelli dietro la nuca, una mezza luna da orecchio a orecchio, orecchie enormi, che quasi eclissavano quella mezza luna di capelli. Più che capelli, pareva il restante di una vecchia scopa di saggina, senza manico.

Giggino capa vota (Giggino testa vuota), così era soprannominato, indossava sempre, anche d’inverno, una canottiera diciamo bianca, solo quella.  Con pantaloni larghissimi, retti, da una cintura in vera corda. ‘E mmutande? e le mutande? Quasi bianche, che si intravvedevano in quanto i pantaloni, erano calati sotto chiappa. Le mutande quasi bianche, erano dotate di un buco all’altezza della chiappa sinistra. Chiappe gigantesche.

Tutto il giorno Giggino capa vota, stava lì, un po’ come ‘e guagliuni del Supersantos, con altro intento però, ‘e guagliuni, con l’intento di giocare e lui, Giggino capa vota, con l’intento di evitare di farli giocare.

Gli adulti cercano sempre di impedire o limitare affinché i ragazzi giochino e si divertano, quei giochi, semplici, per imparare a conoscersi, imparare a sbagliare, a cadere per poi rialzarsi. Un tempo meno, ma oggi, ‘e guagliuni non giocano più. Fanno sul serio, troppo sul serio. I ragazzi del Supersantos, o quelli come loro, a quei tempi, quelli che giocavano per strada, imparavano davvero.

Ora per strada non si vedono più i ragazzi con il pallone, che giocano.

Alcuni giocano con le pistole, vere.

Dunque, Giggino capa vota dalla canottiera non proprio bianca e mutande quasi bianche con un buco sulla chiappa sinistra e cintura di pura corda per reggere i pantaloni. Quel Giggino, quel giorno, con il suo gran sorriso a quattro denti, due a destra e due a sinistra, al centro c’era la porta, osservò con piacere la parabola del Supersantos e più il pallone si avvicinava al suo terrazzino più il suo gran sorriso a quattro denti si apriva e diventava ghigno sadico.

Quando il pallone, rimbalzando per quattro volte, un rimbalzo per ogni dente, quando fu sul terrazzino di Giggino, il grande grido de guagliuni fu così forte da contrastare l’immenso piacere sadico silenzioso di Giggino capa vota. Così come riempì il sorriso di una vecchietta chiamata da tutti (scquadrett) Squadretta, per la sua schiena perfettamente parallela al terreno. Anche lei, Squadretta, alzò così tanto lo sguardo al cielo per seguire la traiettoria del Supersantos, che da quel giorno Squadretta, cambiò nome in “passaggio a livello”.       

Suspense. Una pausa lunga e misteriosa, il tempo si fermò, come in un film di Hitchcock, riempì lo spazio di quell’angolo di strada, che faceva da campetto di calcio ai ragazzi del Supersantos.

Il pescivendolo, che stava servendo sardine a una signora molto prosperosa con il soprannome di Maria la settima, anche lui che distava con la sua bottega non più di dieci metri dal portone dove sopra c’era il terrazzino di Giggino capa vota quattro denti. Il pescivendolo per un attimo distolse lo sguardo dal terrazzo di Maria la settima, pochi attimi di distrazione, per poi riprendere ad osservare il terrazzo di Maria la settima. Fatale fu l’attimo di distrazione però. Le sardine di Pasquale il pescivendolo invece di finire nel cuppetiello di carta marrone, rimbalzarono sul bordo dello stesso cuppetiello finendo così, nella scollatura di Maria la settima che voleva solamente comprarle e portarle a casa le sardine, non indossarle. Pasquale il pescivendolo, tentando di scusarsi dell’accaduto, cercò disperatamente di recuperare le sardine finite ormai troppo oltre la scollatura di Maria la settima, la quale non apprezzando l’impegno di Pasquale, gli tirò mal rovescio, facendolo finire rovinosamente con il sedere sulla testa di un pesce spada. Fortuna vuole, che la spada del pesce spada era stata precedentemente tolta. Il sederone di Pasquale fece crollare tutto il supporto sul quale c’era tutto il pesce, compreso la testa del pesce spada senza spada. Essendo la strada in discesa tutti i pesci si fecero una bella scivolata fino alla fine del vicolo dove trovarono un tombino…

Il mare non era molto distante.

Chissà!

Il pallone finalmente finì la traiettoria in faccia a Giggino capa vota, facendo goal tra i due denti a destra ed i due a sinistra.

Giggino capa vota quattro denti da quel giorno diventò Giggino capa vota ormai tre denti, uno a destra e due a sinistra, palo, rete.

Giggino capa vota ormai tre denti senza dir nulla guardò con gran ghigno ‘e guagliun’ del Supersantos attoniti, in silenzio, anche il pescivendolo con i pochi pesci rimasti sul bancone tutti a bocca aperta, anche i pesci!

Giggino capa vota ormai tre denti non c’è più, almeno. Altrimenti avrebbe più di cento anni e sarebbe Giggino capa vota senza denti.

Giggino, ‘o guaglion, allena una squadra di calcio di piccoli che diventeranno famosi e sposeranno una o più veline. O quantomeno questa è la speranza.

Di Gennarino non si sa più nulla. Fino a qualche tempo fa dicevano che era diventato famoso, non giocando a calcio col pallone, ma dando calci ad altri, e senza pallone.

Ciruzzo? Continua ad essere Ciruzzo cap’è mmerd! Pure da grande.

“Le cadute si ricevono, non si subiscono.

Se le ricevi, rialzandoti, non provi alcun dolore, nessun risentimento, nemmeno il senso di sconfitta”

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Carlo Vitale
Qualcosa di “Vitale”
Carlo Vitale, Febbraio 1966 un po’ acquario un po’ no, in arte Victor Carlo Vitale. Nasce a Napoli da padre nato a Venezia o forse su un treno tra Venezia e Bari, e da una madre napoletana docg. Nipote e figlio d’arte, ha all’attivo una sessantina di ruoli interpretati tra teatro e cinema, circa dodici trasferimenti, una decina di lavori diversi (dall’operaio, al militare di carriera), nove residenze, undici case abitate, circa venti regie teatrali, un libro pubblicato, e non ha mai avuto il senso del possesso.
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