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Villa Tredici

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Consegna prevista Marzo 2026
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Cornelia Mazzoleni è una rinomata pittrice che, in seguito ad un blocco creativo, decide o di tornare a vivere nel suo paese natio, nell’alto delle valli bergamasche.
Acquista quindi la famigerata “Villa Tredici”, una stupenda villa in stile coloniale abbandonata negli anni Settanta in seguito ad un pluriomicidio mai risolto.
Le malelingue del paese sostengono che gli spiriti della famiglia Verzani aleggino ancora all’interno di quelle mura: i bambini non ci si possono avvicinare, e persino gli adulti le evitano come se fossero portatrici di sventura.
Eppure, Cornelia la compra.
E da quel giorno, la sua vita cambierà radicalmente.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto Villa Tredici con l’intenzione di creare un giallo intenso ed accattivante, come omaggio a questo genere che adoro e come regalo per la mia famiglia che ha sempre sostenuto questa mia passione per la scrittura, anche quando io stessa avevo smesso di credere nelle mie capacità. La protagonista di Villa Tredici, Cornelia, ha molto del carattere in cui rivedo me stessa. Spero che la sua forza e la sua curiosità possano essere fonte di ispirazione.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prefazione.

La pioggia di maggio cadeva insistente sui tetti delle case, perforando crudele i timpani delle poche persone che ancora non avevano ceduto all’abbraccio di Morfeo.

Il numero 13 di Via delle Spezie sorgeva, a differenza dei numeri precedenti, al di là di un piccolo incrocio mai troppo trafficato, abbarbicato sulla pendenza instabile di una collinetta incerta.

La casa vantava mattoni rosso porpora accatastati l’uno sopra l’altro in un groviglio indiscreto di cemento ed era rivestita da un sottile strato di vernice color senape che il tempo e l’usura aveano pian piano cancellato.

C’era chi diceva che quella casa sostasse lì dai primi anni del Novecento, altri invece sostenevano che si trattasse di una fedele ricostruzione dell’originale realizzata intorno agli anni Cinquanta dopo che i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ne avevano raso al suolo tutto se non le fondamenta e la torre dell’orologio.

Qualunque fosse la vera storia, essa era rimasta invenduta a partire dagli anni Settanta, dopo che l’ultima famiglia residente – i Verzani – venne ritrovata morta al suo interno.

Il padre, Antonio, si trovata all’ingresso, con le braccia staccate dal corpo e la testa ruotata in posizione innaturale.

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Albertina, la madre, venne ritrovata nel corridoio al piano di sopra, con l’ultima figlia, Odette, stretta tra le braccia. Entrambe erano ricoperte di sangue ma la loro compostezza grottesca contrastava con le membra esposte di Antonio.

Claudio, il figlio all’epoca diciassettenne, venne rinvenuto in cucina, a poca distanza da lui giaceva un coltello perfettamente pulito. Lui, come il padre, aveva il collo spaccato e, nel suo caso, ad essere state separate dal corpo erano state le gambe.

I carabinieri postularono che probabilmente fosse corso in cucina a prendere quel disgraziato coltello per difendersi, ma che chiunque avesse fatto irruzione nell’abitazione fosse stato più veloce.

Si parlò di demoni, satanisti, animali selvatici… la sola idea che un uomo – o una donna – avesse potuto spingersi a tanto pareva inimmaginabile.

Così, una volta ripulita la scena e celebrati i funerali, la casa venne messa in vendita e nessuno più osò metterci piede.

Di tanto in tanto, alcuni ragazzini sfortunati a sufficienza da perdere una spiacevole scommessa con amici, si trovarono a varcarne i cancelli e calpestare il suolo beffardo dei giardini che nel corso degli anni erano rimasti rigogliosi. Nessuno, però, ebbe mai il coraggio di arrivare alla soglia d’ingresso e, tanto meno, di superarla.

Nemmeno i famigliari reclamarono quella che un tempo era stata una splendida dimora, e lei rimase lì a marcire, vittima di un destino che, certamente, non avrebbe mai immaginato.

Capitolo 1.

“Mi dica, lei… ne è proprio sicura?”

Cornelia Mazzoleni osservò l’imponente villa attraverso le lenti degli occhiali da sole.

La pioggia della notte precedente sembrava aver accentuato lo strato di muffa che incrostava l’ala sinistra dell’abitazione ma la luce intensa di quella mattina donava alla muratura un piacevole colore cremisi.

L’agente immobiliare – un uomo sulla cinquantina con più tremori che capelli –  si sistemò nervosamente la cravatta per l’ennesima volta.

“Vorrei entrare.” Ribadì nuovamente la giovane donna “Dopotutto, è solo una casa. E non la terreste in vendita, se non la voleste vendere.”

“No, certo, ma…”

“Vorrei entrare.” Disse, di nuovo.

Sospirando, l’agente immobiliare la precedette e, con mani instabili, aprì dapprima i cancelli ed in seguito il portone d’ingresso.

Cornelia percorse il vialetto che tagliava perfettamente il giardino, i tacchi magenta scuotevano il silenzio come delicati tamburi.

Sfilò gli occhiali solo una volta che raggiunse il portone e li portò sul capo lasciando che gli occhi nocciola seguissero con interesse le linee intarsiate del vecchio legno.

L’agente immobiliare, disperato, le fece strada lungo lo spoglio ingresso indicandole distrattamente le scalinate che portavano al piano superiore, il salotto sulla destra, lo studio sulla sinistra, la sala da pranzo in fondo alla sala e l’adiacente cucina affiancata da una piccola dispensa e quella che poteva facilmente essere tramutata in zona lavanderia.

Il piano superiore includeva tre camere, due bagni di cui uno patronale collegato alla più grande delle stanze, ed un terrazzo con vista sul retro che dava direttamente sul lago di Gramaglio che brillava sotto il sole cocente.

“La… famiglia… che ci abitava prima aveva una barca.” Disse l’agente “Come vede c’è un molo privato. Con i dovuti permessi, potrebbe sfruttarlo anche lei.” Poi, quasi per scusarsi, aggiunse “Se decidesse di acquistarla.”

Cornelia vagava rapita dalla bellezza di quel luogo.

Pur svuotato da ogni singolo suppellettile precedentemente utilizzato, riusciva a percepirne l’antico splendore e le moderne potenzialità.

“È molto grande,” disse infine, fissando affascinata il soffitto dipinto a mano “il prezzo di vendita è estremamente basso.”

“Qu… questo per via di… tutti i lavori che dovreste fare, signorina. Sia la rete idraulica che quella elettrica dovranno essere rimodernate. Sono certo che avrete già notato la muffa all’esterno, ma ce n’è anche in uno dei bagni. Forse da qualche altra parte…”

“I Verzani dunque non centrano nulla con il prezzo dell’immobile?”

L’agente, già decisamente pallido, sbiancò ulteriormente.

Cornelia lo fissava seria, in attesa, senza il minimo segno di turbamento sul volto perfettamente posato.

“S… sì… anche per loro.” Ammise lui infine.

“Beh, è il suo giorno fortunato signor Valazza. Le storie di fantasmi non mi spaventano, ed ho bisogno di una casa grande. Le nuove costruzioni sono le prime a sparire, ma sono certa che con un po’ di cura e qualche accortezza questa sarà perfetta.”

Lui la fissò inebetito.

“Firmiamo qui o in ufficio?”

“I… In ufficio signorina!” Balbettò quello, schizzando fuori dalla porta ad una velocità esilarante.

Cornelia trattenne a stento una risata e si guardò intorno un’ultima volta prima di uscire.

All’ora di pranzo, l’unico bar del paese che forniva anche un discreto servizio tavola calda si riempiva di gente come le persiane di cimici ai primi sentori d’inverno.

Samuele, il proprietario, ronzava beatamente tra un tavolo e l’altro prendendo ordinazioni ed intrattenendo conversazioni più o meno interessanti con una clientela che variava dai ragazzi appena usciti da scuola agli anziani che il pranzo se l’erano goduto a casa, ma erano usciti per il grappino.

Cornelia sedette all’ultimo tavolo disponibile all’esterno ed ordinò un club sandwich vegetariano ed un bicchiere di vino rosso.

“Ehi straniera, non ti vedo da una vita!” Affermò Samuele quando le consegnò cibo e beveraggio “Come mai sei tornata al paesello? Non hai una galleria d’arte da portare avanti a Milano?”

Cornelia gli sorrise e, come faceva sempre a discapito delle usanze del posto, pagò subito la sua consumazione.

“La galleria ormai può andare avanti anche senza che io sia lì ogni giorno. A furia di esporre opere degli altri, sono finita con il non avere tempo da dedicare alle mie. È un vero peccato.”

“Assolutamente, mi ricordo che a scuola sei sempre stata la migliore nel disegno… Yole, mi dai il cambio un attimo? Ce la fai da sola?”

“Nessun problema boss!” Strillò una ragazzina dal lato opposto del gazebo, mentre trafficava nell’allacciarsi il grembiule.

“Poverina, è appena arrivata e già le fai gestire tutto?”

“Beh, io sono qui dalle cinque di mattina” disse lui sedendosi “quindi ho diritto a qualche minuto da passare con un’amica. Poi è molto brava.”

“È anche molto bella.”

Samuele roteò gli occhi. “E anche troppo giovane per me.”

Cornelia rise prima di addentare il proprio sandwich.

“Quindi pensi di stare qui per un po’ questa volta? O solo una toccata e fuga per salutare i tuoi ed il tuo vecchio amico Sam?”

“In realtà, penso che mi fermerò molto più di un po’. La galleria ormai è completamente avviata, come ti dicevo non necessiteranno di me quotidianamente. E sono sempre raggiungibile. Ho appena comprato casa.”

“Hai fatto… cosa?” Domandò Samuele, sconcertato. Il fatto che nominasse l’acquisto di una casa come fosse quello di un paio di scarpe lo lasciò estremamente perplesso.

“Ho comprato casa. Certo, è da sistemare e ci vorrà qualche mese. Ma conosco le persone giuste per tirarla a lucido entro la fine dell’estate.”

“Hai comprato casa qui? A Gramaglio?… In mezzo al nulla?… Tu?”

“Non capisco cosa ti sconvolga in questa maniera.”

“Oh, no nulla,” Samuele si passò incuriosito una mano nella folta barba rossa che ormai iniziava a chiazzarsi di grigio “ti facevo più tipa da città. E dove sarebbe la casa? Almeno in una buona zona? In centro?”

“Non proprio…”

Samuele capì immediatamente ciò che lei stava per dire.

“No,” la anticipò “non posso crederci. L’hai fatto davvero? Hai preso la Tredici?”

Cornelia rise di fronte a quella reazione spropositata e si trovò ad annuire allo sguardo attonito dell’amico.

Come lei, Samuele ricordava benissimo che Cornelia non era mai rimasta particolarmente impressionata dalle storie che circolavano sulla numero 13 di Via delle Spezie. Da ragazza, quando ancora portava le extension fucsia incastonate tra i capelli corvini, scherzava costantemente sul fatto che prima o poi ci avrebbe vissuto. Nessuno l’aveva mai presa sul serio, nemmeno Samuele, che pure sapeva quanto l’amica fosse testarda ed in un certo senso affascinata dalla triste storia che sopravviveva impressa in quelle mura.

Guardandola ora, quando di anni ne erano passati ormai venti, si rese conto di quanto lei non fosse cambiata.

Certo, non aveva più le extension e gli abiti da emo avevano lasciato spazio ad un guardaroba decisamente più classico che profumava di Chanel N 5, ma la donna che si trovava di fronte era l’evoluzione perfetta della ragazza che era stata.

“A tua madre verrà un colpo.” Disse infine, scuotendo la testa ed accendendosi una sigaretta.

“Lo sa già, l’avevo avvisata. Sai che le storie di fantasmi non ci interessano.”

“Lascia perdere i fantasmi Nelia, è una questione di… beh, non so di cosa. Però ci è morta della gente là dentro.”

“Se nessuno comprasse le case in cui della gente è morta, il mercato immobiliare sarebbe messo ancora peggio di come l’abbiamo raccolto dal Covid.”

“Sì ma non stiamo parlando di morte naturale.”

“Sam, è successo quasi cinquant’anni fa. Anche ammesso che la persona che l’ha fatto non sia già in carcere per qualche altra ragione, avrà almeno settant’anni. Dubito che possa essere interessata ad introdursi in casa mia e farmi a pezzi.”

“Non si può ragionare con te.” Concluse lui alzando le braccia in segno di resa.

“Ma non stai ragionando in generale.”

“Pensala come vuoi, ma a me questa storia non piace.”

Samuele si alzò e le stampò un bacio sulla nuca.

“Passa più spesso allora, visto che starai qui per un po’.”

Cornelia sorrise e promise che l’avrebbe fatto.

La famiglia di Cornelia aveva vissuto da che lei avesse memoria in un appartamento delizioso appena fuori dal centro storico di Gramaglio.

I genitori avevano trasformato la sua camera in una sala da biliardo quando lei era andata a studiare a Brera ed aveva preso in affitto con un altro paio di ragazze e ragazzi un piccolo appartamento in periferia.

Avevano però avuto l’accuratezza di lasciare il suo letto sempre pronto ad ospitarla in un angolo, così che potesse tornare di quando in quando nei weekend e, ora che di anni ne aveva trentatré, in caso di necessità.

“Sicura che non vuoi fermarti qui stanotte? Non sei costretta a tornare a Milano se non vuoi.” Le disse Lorenzo, suo padre, mentre posava il tablet sul quale stava leggendo il giornale.

Era stata lei a regalarglielo, per i suoi sessant’anni un paio di anni prima.

Si era abbonato ad una serie di riviste che non aveva nemmeno mai considerato prima della pensione ed ora passava la maggior parte del tempo a leggere o cercare hotel con promozioni in corso per portarci la moglie.

Lorenzo era un uomo buono, estremamente pacato, in perfetto contrasto con l’esuberanza travolgente di Camilla – la madre di Cornelia – che di energia ne aveva a sufficienza per tutti e tre.

A quell’ora, Camilla era ancora al lavoro e non sarebbe rientrata prima delle sei.

“Ma sì pa’ non ti preoccupare,” lo rassicurò Cornelia “comunque la casa non sarà pronta prima di questo autunno. Vi amo, ma non sono disposta a rinunciare al mio letto matrimoniale per quella brandina. E poi c’è Morgana, la mamma è allergica.”

Lorenzo sorrise bonariamente alla figlia.

“Se questo è il caso, allora magari la possiamo anche cestinare e far spazio ad un bel divano letto. Sarebbe anche più comodo per gli ospiti.”

“Perché, c’è anche chi si ferma a dormire dopo le vostre serate di biliardino folle?”

“Ti stupirebbe sapere quanta gente barcollante si trascina in ascensore dopo un buon torneo, tesoro.”

“Allora mi sembra un’ottima idea.”

Cornelia si sedette sulla comoda poltrona appena a lato del divano sul quale era accomodato Lorenzo.

“Sei proprio sicura del tuo acquisto?” Le chiese allora.

Cornelia sgranò gli occhi.

“No papà ti prego, non dirmi che anche tu ora hai dei dubbi?”

Lui scosse immediatamente la testa.

“No Nelia, dico solo che è un bel cambiamento. Ormai vivi a Milano da anni. Sei abituata ad un ritmo e ad uno stile di vita che qui… beh, lo sai benissimo com’è. Le cose non sono cambiate molto da quando ti sei trasferita. È tutto sempre uguale.”

“Sam ha ritirato il bar del vecchio Franco però.”

“E grazie al cielo, almeno ora c’è un vero posto di ritrovo anche per i giovani.”

“Mi sembra un cambiamento decente.”

“Ma non dinamico. E poi non te l’ho chiesto, come mai una casa così grande solo per te? Cosa ci vuoi fare? Feste in stile Grande Gatsby o simili?”

“In realtà non mi era minimamente passato per la testa, ma le feste anni Venti vanno sempre un gran di moda. Mi hai dato un’ottima idea. Potrei pensarci per l’inaugurazione.”

“Inaugurazione? Pensi che la gente del paese verrà?”

“Penso di sì, fosse anche solo per dare un’occhio alla pazza che ha comprato la Tredici.”

Lorenzo rise e le baciò la fronte.

“Sei proprio come tua madre. Ma non dirle che te l’ho detto o non smetterà di farmelo ripetere.”

“Mano sul cuore pa’.”

2025-06-17

Aggiornamento

Abbiamo raggiunto un primo importante traguardo, 60 copie vendute! Ciò significa che, comunque vada, voi che avete acquistato il libro riceverete comunque la vostra copia fisica o digitale. Vi ringrazio infinitamente per la fiducia riposta in me e in questa storia.

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Tania Valsecchi
Adoro leggere da che ho memoria e scrivere da quando ho imparato a tenere tra le mani una penna. Vivo in una piccola cittadina caotica nella bassa bergamasca con la mia meravigliosa famiglia, e una gatta di nome Jane (sì, in onore di Jane Austen!)
Adoro qualunque tipologia di narrativa, ma soprattutto i Thriller, le classiche Detective Stories, ed i Fantasy. Tra i miei ulteriori interessi spiccano la cristalloterapia, le scienze olistiche, la cucina asiatica (specificatamente coreana e cinese) ed i documentari true crime.
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