Non ho più fatto ritorno in Africa. Sono venuta meno a una promessa che dovevo a me stessa e ora sento che morirò anche da bugiarda.
Ma la quotidianità, si sa, è fatta di impegni, promesse mancate e menzogne. Avevo immaginato una vita rossa come la sabbia della Namibia e invece, eccomi qui, a studiare mappe e simboli arcaici, pronta per quella che in cuor mio, già lo so, sarà l’ultima battaglia.
Vorrei restare, ma il mio destino sta per compiersi. Quindi non posso che affidare speranze e agghiaccianti certezze a chi, mi auguro, non commetterà i miei stessi errori, ma legherà la sua anima pura alla causa, fino a sconfiggere questo antico male tornato ad affliggere il mondo.
E spenta come una fiamma sconfitta dal vento, rimango in ascolto del fruscio del bosco, mentre la bestia raggiunge il suo scopo e svuota il suo seme, sbavando, gemendo, tramando. Poi cerco il suo sguardo e sorrido, mentre cedo alla morte nell’istante in cui una foglia, vivida e affranta, lascia il suo ramo per danzare libera nel cielo buio e gonfio di pioggia.
“Cade una foglia che pare
tinta di sole, che nel cadere
ha l’iridescenza di una farfalla;
ma appena giunta a terra
si confonde con l’ombra, già morta”.
La caduta delle foglie
di Grazia Deledda
CAPITOLO I
«Bea, Bea dove sei finita? Bea?»
«Sono qui, ho trovato qualcosa, vieni.»
Giulia mi raggiunse stravolta. Aveva il viso paonazzo e i vestiti inzuppati di pioggia.
«Giuro che se avessi saputo cosa avevi in mente ti avrei convinta a lasciar perdere. Sono inzaccherata fino alle ginocchia. Ti avverto Bea, questa volta mi rimborsi la pulitura. Guarda come sono ridotti i miei pantaloni.»
La solita Giulia, arrogante e insopportabile con tutti tranne che con se stessa.
E poi snob, fissata per l’aspetto fisico, schiava delle apparenze, e insensibile, fastidiosamente insensibile, considerato che era appena morta una donna.
«Quindi? Che hai trovato?» chiese scocciata.
«Senti qua: “così il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana, che seduce tutto il mondo, fu gettato sulla terra e con lui furono gettati anche i suoi angeli.” (Apocalisse di Giovanni 12:9).»
«Ok, e quindi? Che significa?» mi incalzò poi nella speranza di tagliar corto e rientrare a casa al più presto.
«Quindi, quindi, quindi, sembra tu sappia dire solo quindi. Quindi, questo l’ha scritto lei, è chiaro» affermai io con decisione.
Silenzio.
Conoscevo molto bene la mia amica e immaginavo a che cosa stesse pensando, glielo leggevo in faccia.
Eppure, dopo tutti questi anni, speravo che anche lei avesse imparato a conoscermi. Ero troppo cocciuta per lasciar perdere, specialmente ora che era spuntato fuori dal nulla lo strano biglietto.
«Certo, è chiarissimo» commentò lei con evidente sarcasmo, e non tardò ad aggiungere «Bea, ma che ti dice il cervello? Per favore, andiamocene, sono fradicia e comincio a sentire freddo, e soprattutto mi aspettano per l’aperitivo. Tu che fai? Vieni?»
La pioggia battente degli ultimi giorni aveva rinvigorito il bosco e cancellato le tracce di ogni sospettoso passaggio, ad eccezione del biglietto.
Quello, per fortuna, era stato avvolto in un sacchetto di nylon e ben nascosto nel tronco bucato di una grossa quercia che lo aveva quindi protetto dall’acqua.
«Bea, ti prego, ripetimi che ci facciamo qui.»
«Cerchiamo indizi Giulia. Quella bibliotecaria non può essere morta per la caduta. Dev’esserci qualcos’altro sotto.»
Ancora quello sguardo attonito, stavolta accompagnato da un’espressione irritante.
«E va bene, d’accordo, cerchiamo questi benedetti indizi. Facciamo presto però che tra un paio d’ore mi aspettano in quel localino del centro e non posso presentarmi conciata in questo modo. Ci vorrà ancora molto?»
Giulia faticava a credere che una comune bibliotecaria potesse essere stata coinvolta in una losca vicenda, per lo più culminata con un crimine così ben celato, mentre io, scettica e determinata, ero certa che il biglietto rinvenuto nel bosco costituisse la prova di un intricato mistero.
Il rapporto della Polizia, reso pubblico dalla stampa locale, parlava chiaro: Liliana De Paoli era morta a seguito di una rovinosa caduta.
La donna era rotolata giù per la collina, per via del terreno bagnato, e la sua corsa si era tragicamente conclusa contro una sporgenza affilata.
Una coincidenza sfortunata, o una pietra assassina, che purtroppo le si era rivelata fatale.
«Davvero pensi che qualcuno abbia potuto uccidere quella donna? E per quale ragione? Fosse stata attraente, allora sì che mi sarebbe venuto un dubbio, ma brutta com’era, poveretta, scommetto che non se la filava nessuno.»
Che cosa mai potevamo avere in comune io e la mia amica me l’ero sempre chiesta.
Indisponente e superficiale lei, timida e riflessiva io. Non c’era da meravigliarsi se, a più di trent’anni suonati, Giulia seguitasse a dichiararsi single per scelta quando invece, le sue intricate vicende amorose volgevano puntualmente al termine dopo appena poche settimane di conoscenza.
«L’avrà scritto un ragazzino quel biglietto, Bea. Un ragazzino o qualcuno che voleva divertirsi un po’ alle spalle di due cretine come noi. Dai, ora andiamocene che si è fatto tardi.»
«Senti Giulia, perché mai una donna come Liliana De Paoli, che tutti sostengono essere stata abitudinaria e introversa, avrebbe dovuto lasciare questo strano messaggio? Che cosa mai avrà avuto a che fare lei con il Diavolo?»
«Non ne ho idea, anzi, un’idea ce l’ho. Ti sei fatta suggestionare troppo da questa storia. Ricordati che non la conoscevi. L’hai vista soltanto una volta. Piangeva e le hai offerto un po’ di conforto. Lei ne è rimasta colpita e ti ha presa in simpatia. Poi è venuta qui, è scivolata ed è morta. Punto e stop. Non capisco cos’altro possa esserci di sinistro dietro a tutto questo? Non lo so, a volte mi sembri una cazzo di complottista.»
Giulia aveva ragione. Avevo notato Liliana appena qualche giorno prima, in biblioteca.
Si era infilata a piangere in uno spazietto angusto, stipata in sessanta centimetri quadrati tra la parete e il fianco alto di uno scaffale.
Stringeva tra le mani una collana, credo si trattasse di un rosario, e sussurrava parole incomprensibili, mentre singhiozzava con garbo, attenta a non recare disturbo ai presenti.
Il suo dolore composto mi aveva colpita, al punto che l’avevo raggiunta per consolarla e assicurarmi che stesse bene.
Anche lei doveva essere rimasta colpita dalla mia premura perché come avevo ritratto la mano dalla sua spalla per porgerle un fazzoletto, d’istinto lei si era voltata e l’aveva afferrata forte.
«Ti ringrazio cara e perdonami, non volevo disturbarti. Come ti chiami?» aveva chiesto senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Mi chiamo Beatrice. Beatrice Costa.»
«Grazie Beatrice. Sei proprio una brava ragazza. Non ti preoccupare, ora va molto meglio» aveva concluso accennando un sorriso.
Poi, come se nulla fosse successo, era tornata alla sua scrivania e aveva appuntato qualcosa su un foglio di carta.
Immagino fosse il mio nome perché il giorno seguente, al rientro da una passeggiata con Molly, avevo trovato ad attendermi davanti alla porta di casa una bellissima Stella di Natale.
Il biglietto, riposto con cura tra le foglie ampie e scarlatte, recitava solo “Grazie! Liliana”.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.