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Olga la Balena

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Consegna prevista Marzo 2026

Olga non è una balena qualunque.
È grande, sensibile, un po’ imbranata e molto, molto curiosa.
Vive nell’oceano, ma a volte si sente fuori posto, troppo ingombrante, troppo lenta, troppo… troppo.
Finché un giorno, proprio grazie a quello che la rende diversa, Olga scopre un segreto che cambierà per sempre il suo modo di vedersi — e il mondo intorno a lei.
Una storia delicata e profonda, per chi ha mai sentito di non essere “giusto”, per chi si è vergognato del proprio corpo, o ha cercato il proprio posto nel mondo.
Un viaggio sottomarino, tra onde, poesia e tenerezza, che parla di accettazione, meraviglia e forza gentile.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto Olga la Balena perché per tanto tempo mi sono sentita come lei: troppo grande, troppo ingombrante, troppo diversa. E come Olga, ho dovuto imparare che quello che pensavo fosse “troppo”, in realtà era il mio dono.
Questo libro è nato da una mancanza. Da bambina, nessuna delle storie che leggevo parlava davvero di come ci si sente quando il proprio corpo sembra non andare bene. Nessuna balena mi diceva che si può essere lente, delicate, goffe… e comunque straordinarie.
Olga è la storia che avrei voluto leggere da piccola.
Scriverla è stato un modo per accogliere la bambina che ero, e tendere una pinna a tutte quelle bambine e bambini che ancora oggi si sentono fuori posto.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo 1
Nel grande mare delle isole blu, dove i pesci parlavano in rima e i delfini facevano spettacoli
ogni sera, viveva una giovane balena di nome Olga.
Olga era rotonda.
Non “un po’ rotonda”.
Non “morbida qua e là”.
Era una balena-balena, con tutta la rotondità che ti aspetti da una signora del mare. Solo
che… Olga non era ancora una signora. Aveva solo nove anni marini (che sono più o meno
come undici umani), e voleva disperatamente essere come le altre creature: leggere,
slanciate, con pinne sottili e voci squillanti.
Ma ovunque andasse, Olga faceva ombra.
Tanta.
Se si avvicinava a un banco di pesciolini fluorescenti, il loro spettacolo si spegneva come
una candela al vento.
Se provava a giocare con le foche, queste rimbalzavano via gridando: «Troppo spruzzo!
Troppa onda! Troppo Olga!»
E se passava davanti allo specchio d’acqua della laguna, spesso si fermava e pensava:
“Se solo fossi più piccola, più elegante… più qualcosa di diverso.”
Un giorno, mentre stava nuotando da sola tra le alghe danzanti, Olga sentì una vocina.
«Ehi tu, ombrosa! Sì, dico a te!»
Olga si voltò.
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Era una sardina. Minuscola, elegante, con squame brillanti e una sciarpa fatta di bollicine.
«Hai idea di quanti tuffi hai rovinato oggi? Ci stavi sopra come una nuvola!»
La sardina alzò il nasino e se ne andò sfrecciando.
Olga si accartocciò su sé stessa. O meglio, ci provò. Le balene non si accartocciano bene.
“Forse dovrei imparare a nuotare più lontano,” pensò.
“Dove nessuno può vedermi. Dove la mia ombra non disturba.”
E fu allora che la vide.
Una piccola tartaruga verde e rugosa, seduta su uno scoglio come un vecchio capitano.
«Tu sei Olga, vero?» disse la tartaruga.
«Quella che fa troppa ombra?»
Olga annuì, pronta a ricevere un’altra battuta cattiva.
Ma la tartaruga si avvicinò e aggiunse, sorridendo:
«Bene. Ti stavamo cercando.»

Capitolo 2 – L’incarico segreto di Olga
«Stavate… cercando me?» chiese Olga, sbattendo le pinne come se avesse sentito male.
La tartaruga annuì con una lentezza che avrebbe fatto sbadigliare anche un corallo.
«Io e loro,» disse indicando qualcosa dietro di sé.
Dalle alghe uscì un gruppo strano.
C’erano un calamaro con un cappello da chef, una seppia che portava occhiali da lettura, tre
granchi con mantelli cuciti male e una medusa che faceva bling ogni volta che si muoveva.
Erano… beh… piuttosto buffi. E non sembravano affatto pericolosi.
«Siamo la Società degli Invisibili Importanti,» disse la tartaruga. «E abbiamo una missione.»
Olga strabuzzò gli occhi. «Io? In una società segreta? Ma io… rovino i picnic! Nessuno vuole
nuotare con me!»
La seppia aggiustò gli occhiali. «Proprio per questo. Tu sei perfetta. Perché sei… tanto. E ci
serve proprio tanto. Tanto coraggio. Tanto spazio. Tanto cuore.»
Il calamaro tirò fuori una mappa disegnata su un guscio di noce. «C’è un problema, vedi. C’è
una secca lassù, oltre la barriera delle sirene. Una secca dove nessuno riesce più a
passare. Troppo bassa per i grossi, troppo pericolosa per i piccoli. E dentro…»
«Dentro c’è bloccato il sole, Olga,» disse la medusa con voce musicale. «Un sole
sottomarino. Piccolo ma potente. Se non lo liberiamo presto, il mare diventerà freddo e buio
come una caverna senz’eco.»
Olga rimase in silenzio.
Il sole. Intrappolato. E loro volevano che fosse lei a liberarlo?
«Ma io… peso troppo…»
«Esatto,» disse la tartaruga. «Hai una spinta che può smuovere montagne di sabbia. Hai
una voce che può vibrare fin dentro le conchiglie. E quando ti muovi, il mare si accorge che
ci sei.»
Olga non sapeva se ridere, piangere o nascondersi dietro un banco di meduse.
Per la prima volta nella sua vita… qualcuno voleva che fosse esattamente com’era.
Non più piccola.
Non meno chiassosa.
Non diversa.
«Allora?» chiese il granchio con il mantello troppo largo. «Accetti la missione?»
Olga guardò il cielo marino sopra di lei, che stava già scurendo.
Poi guardò la tartaruga. Poi se stessa.
Rotonda. Ingombrante. Enorme.
E sorrise.
«Dove si comincia?»
Capitolo 3 – Il Passaggio delle Sirene Storte
Il viaggio cominciò all’alba del giorno dopo.
Anche se, in fondo al mare, l’alba è più un’idea che una certezza.
L’unica cosa certa era che Olga era nervosa.
Talmente nervosa che aveva sbagliato a infilarsi la pinna sinistra nella pinna destra. Due
volte.
«Rilassati,» disse la tartaruga, fluttuando accanto a lei con la calma di chi ha vissuto almeno
trecento estati.
«È solo il Passaggio delle Sirene Storte. Nessuno è mai stato… ehm… mangiato davvero.»
«Mangiato?!» strillò Olga, facendo tremare una medusa a tre metri di distanza.
Il calamaro la raggiunse con uno scatto elegante. «Non ti preoccupare. Le sirene storte non
mangiano balene. Dicono che facciano… ruttare.»
«Che classe,» mormorò Olga.
Il Passaggio delle Sirene Storte era un tunnel buio tra due scogli giganti. Dentro, vivevano
sirene che… beh… erano state scartate dalle fiabe. Avevano denti storti, nasi pelosi, occhi
che guardavano in direzioni diverse e cantavano sempre… stonate.
Quando Olga si avvicinò all’entrata del tunnel, sentì il primo verso:
«LAAAAAAAA sono una sssiiiireeenaaahhh
che fa il gargariiiismo coi sassi!»
«Fate che sia un sogno…» sussurrò.
Poi entrò.
Subito, tre sirene le sbarrarono la strada. Una aveva le trecce fatte di alghe secche, una
portava boccagli da piscina e la terza puzzava come una sardina dimenticata al sole.
«Chi sei tu, che fai tremare le conchiglie?» gracchiò la prima.
«Sei troppo grossa per passare!» ringhiò la seconda.
«Troppo lenta! Troppo rumorosa! Troppo balena!» cantilenò la terza.
Olga si sentì piccolissima.
Anche se, ovviamente, era enorme.
Poi si ricordò.
Si ricordò chi l’aveva mandata.
E perché.
Inspirò. Gonfiò il petto. Fece vibrare le pinne.
E disse:
«Io sono Olga. E sono qui per salvare il mare. Ora, o vi spostate, o vi spingo con il sedere.»
Silenzio.
Le sirene si guardarono.
Poi… risero.
Una di loro sbottò: «Hai sentito?! Una balena con coraggio!»
«E con il sedere minaccioso!» disse l’altra.
«Questa ci piace!» cantò la terza.
«Passa pure, grande Olga. Ma ricordati di noi, eh? Le storte che ti hanno lasciata entrare.»
E così, per la prima volta nella storia del Passaggio, una balena attraversò con la testa alta e
il cuore che batteva come un tamburo.
Era solo l’inizio.
Ma Olga cominciava a sentire qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Fiera.
Capitolo 4 – Il sole in gabbia
Dopo il Passaggio delle Sirene Storte, il mare diventava silenzioso.
Un silenzio strano. Non quello bello, morbido, pieno di bolle e pensieri. No. Questo era un
silenzio teso, come se l’acqua stessa trattenesse il respiro.
«Eccola,» disse la tartaruga.
«La secca delle luci spente.»
Davanti a Olga si stendeva una distesa sabbiosa, circondata da colonne di roccia scura. Al
centro… una gabbia.
Dentro, qualcosa brillava.
Poco, ma con ostinazione. Come una candela che non vuole arrendersi al vento.
Olga si avvicinò piano.
La cosa nella gabbia era rotonda, dorata, e pulsava di luce calda e intermittente. Sembrava
un cuoricino d’oro.
«È lui?» sussurrò.
«Sì,» disse la tartaruga. «Il Sole Marino. Lo abbiamo trovato tre giorni fa. Ma non riusciamo
ad aprire la gabbia.»
La gabbia non era fatta di ferro.
Era fatta di… specchi.
Specchi che riflettevano la luce del sole intrappolato all’infinito, come se lo costringessero a
guardarsi e a bruciarsi da solo.
Olga si accostò.
Sentì il calore pizzicarle la pelle.
«Chi l’ha chiuso lì dentro?» chiese.
La risposta arrivò da dietro una colonna, in una voce sottile e secca.
«Io.»
Olga si voltò di scatto.
C’era un pesce, lungo e dritto come una spina, con una bocca affilata e occhi stretti come
fessure. Portava una giacca elegante e teneva un bastone da passeggio. Ma camminava
nell’acqua come se fosse sulla terraferma.
«Mi chiamo Dottor Filo,» disse. «E quello là è troppo. Troppo caldo. Troppo brillante.
Troppo… sole.»
Olga sbatté la coda.
«Hai chiuso il sole in una gabbia?»
«Ho fatto un favore al mondo,» rispose il Dottor Filo.
«Con tutta quella luce, non si vedevano più i dettagli. I difetti. I contorni precisi. Ora tutto è
chiaro, misurato, controllato. Senza ombra non c’è più confusione.»
La tartaruga fece un passo avanti. «Tu hai paura delle cose grandi, Filo.»
«No,» disse il pesce sottile.
«Io ho paura delle cose che brillano troppo.»
Olga si fece avanti.
Non era mai stata brava a rispondere con le parole.
Ma sapeva fare una cosa meglio di tutti: spingere.
Si girò.
Prese fiato.
E con un’enorme spinta di coda, spaccò la gabbia degli specchi.
Un suono come mille bicchieri rotti si sparse nell’acqua.
E il sole…
libero,
cominciò a espandersi.
Non era grande.
Ma la sua luce abbracciava tutto. Anche il buio.
Anche la vergogna.
Anche Olga.
Il Dottor Filo si coprì gli occhi.
E sparì tra le alghe, piccolo come un’ombra che svanisce al mattino.
Olga, invece, rimase lì.
Inondata dalla luce.
E per la prima volta, si sentì… giusta.
Giusta così com’era.
Capitolo 5 – L’Isola dei Non-Più
Dopo aver liberato il Sole Marino, il gruppo si fermò un attimo a riprendere fiato.
Il mare era più caldo. Più chiaro.
Anche i silenzi avevano cambiato sapore: sembravano pieni di attesa.
La tartaruga si avvicinò a Olga e le porse un piccolo guscio con dentro una perla lucente.
«Questo è un invito,» disse.
«L’Isola dei Non-Più ci ha chiamati.»
«Non-più?» chiese Olga.
«Tipo… non più giovani?»
La tartaruga sorrise. «Non più acrobati. Non più veloci. Non più belli, almeno secondo chi
decide cos’è bello. Ci vivono creature dimenticate, messe da parte, smontate a metà dalla
vita.»
«Come me, prima della missione?» domandò Olga.
«Proprio come te.»
Il gruppo partì all’alba del giorno seguente, guidati dalla luce nuova del Sole Marino. Il
viaggio durò ore, o forse giorni — difficile tenere il tempo sott’acqua. Ma quando arrivarono,
l’isola li aspettava come una vecchia nonna con le braccia aperte.
Era fatta di coralli rotti, gusci vuoti, legni scoloriti. Eppure brillava.
Ad accoglierli c’erano:
– Un ippocampo grigio che zoppicava, ma che danzava tra le onde come una piuma.
– Una piovra anziana che aveva perso cinque tentacoli e ne usava uno per dipingere quadri
con il polpo-inchiostro.
– Un cavalluccio di mare con la schiena curva, che raccontava storie da togliere il fiato.
Olga li guardava con occhi pieni di stupore.
«Vedi?» disse la tartaruga.
«Qui si impara che non si deve tornare come si era.
Si può diventare meglio, se si accetta di essere diversi.»
Olga si sentì stringere il cuore.
Tutte quelle creature un tempo erano state forti, agili, leggere.
Ora erano storte, lente, scolorite… ma più vive che mai.
«E cosa possiamo fare per loro?» chiese.
Il granchio col mantello rispose:
«Costruire la Scuola del Ruggito, ovviamente.»
«La cosa del che?!»
«Una scuola per insegnare ai piccoli Non-Più a ruggire di nuovo. Non per farsi temere. Per
farsi sentire. Per ricordare che esistere non significa essere perfetti.»
Olga spalancò la bocca. Una scuola per chi non si sente più abbastanza?
Era la missione perfetta per una balena che una volta credeva di essere troppo.
E così cominciarono.
Disegnarono le aule tra le rocce.
Raccolsero perle come banchi.
Usarono pinne, spruzzi e risate come libri.
E Olga?
Scoprì che la sua voce poteva insegnare.
Che la sua ombra poteva proteggere.
Che la sua pancia poteva far da cuscino ai cuccioli stanchi.
E mentre il Sole Marino brillava lassù, lei sapeva:
essere grande non era il problema.
Era diventato il dono.
Capitolo 6 – Il ritorno del Misuratore
Era un giorno come tanti all’Isola dei Non-Più.
I piccoli cavallucci di mare facevano lezione di “Ruggito Gentile”
. Le meduse imparavano a
raccontare storie con le luci. E Olga si preparava a insegnare l’arte dello “schianto elegante”
,
una tecnica molto avanzata che richiedeva pancia morbida e coraggio da vendere.
Tutto filava liscio.
Finché l’acqua si fece rigida.
Non fredda. Non scura.
Rigida, come se qualcuno avesse stirato il mare con un ferro da stiro.
Poi comparve lui.
Un pesce lungo, lucido e inquietante, che portava una cartella sotto la pinna e una cintura da
cui pendevano righelli, bilance, compassi e persino una livella da muratore.
«Saluti ufficiali,» disse con voce piatta. «Sono il Dottor Misuratore.»
Olga lo riconobbe subito.
Era il Dottor Filo. Ma adesso aveva cambiato nome, vestito, e persino le sopracciglia (le
aveva fatte a squadra).
«Sono venuto per riportare l’ordine.
E misurare questa… scuola.»
La tartaruga sollevò un sopracciglio.
«Che intendi per misurare?»
«Standard, signora mia,» rispose il Misuratore, agitando un foglio con grafici.
«Ogni animale deve rientrare in un grafico: peso, velocità, efficienza, comportamento. E
questo posto non rientra in niente. È tutto troppo… libero.»
Il calamaro cuoco si fece avanti. «È proprio questo il bello.»
«Il bello è per chi ha i numeri giusti,» ribatté il Misuratore.
«Io vedo squali lenti, tartarughe rumorose, balene sgraziate… e bambini pesci con
l’autostima alta senza avere il fisico per sostenerla. Intollerabile!»
Si avvicinò a Olga.
Le puntò addosso un laser da misurazione.
«Troppo alta. Troppo larga. Troppo… Olga.»
Olga inspirò.
Sentiva il cuore galleggiare come una boa in tempesta.
Le venne voglia di stringersi. Di rimpicciolirsi.
Ma poi sentì un vocino dietro di sé.
Era un piccolo pesce-palla.
«A me, Olga ha insegnato che essere grande vuol dire poter abbracciare più amici!»
Poi una medusa.
«E che la luce non serve per essere magri… ma per essere visti!»
E infine la tartaruga, che parlava piano ma con forza:
«Se tu misuri tutti con lo stesso righello, finisci per spezzare chi è fatto di curve.»
Olga guardò il Dottor Misuratore.
E questa volta, non chiese scusa.
Non chiese di rimpicciolirsi.
Non si scusò per la sua voce, la sua forma, o il suo spazio.
Disse solo:
«Qui non misuriamo. Qui moltiplichiamo.»
Il Dottor Misuratore sbiancò.
I suoi strumenti impazzirono.
E nel caos, inciampò sulla livella, rimbalzò su una pinna di calamaro e fu gentilmente spedito
fuori dal territorio con una bolla firmata Arrivederci, dottore!
La scuola era salva.
E Olga, per la prima volta, non era solo un’eroina.
Era una guida.

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Amira El Afifi
Mi chiamo Amira El Afifi, sono nata il 27 aprile 2001 e da quando ho memoria, mi sento un po’ di troppo e mai abbastanza.
Ho sempre cercato un modo per esistere che non mi facesse sentire fuori posto: il teatro mi ha insegnato a gridare, il canto a respirare, la scrittura a stare.
Ho studiato moda, ora studio Beni Culturali, ma la cosa che studio da sempre… sono io.
Le mie emozioni, il mio corpo, la mia voce, le mie paure.
Scrivere è l’unico posto in cui posso dire tutto quello che non riesco a dire ad alta voce.
E se qualcuno, leggendo, si sente meno solo… allora ha già avuto senso.
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