Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Il lato oscuro della danza – Tra passione e malattia

Copia di 740x420 - 2025-06-20T104525.594
6%
188 copie
all´obiettivo
98
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Marzo 2026

C’è un lato della danza che nessuno racconta.
Non quello fatto di palcoscenici e applausi, ma di silenzi, giudizi e corpi che chiedono amore attraverso la fame.
Questo libro nasce da lì: da una ferita nascosta, da una voce rimasta inascoltata troppo a lungo.
“Il lato oscuro della danza – Tra passione e malattia” è la storia vera di una ragazza che ha trasformato il dolore in parola.
Un viaggio attraverso l’anoressia, la dispercezione corporea, la solitudine.
Ma anche attraverso la forza, lo studio, il cambiamento, la possibilità di rinascere.
È un racconto sincero, senza filtri, che intreccia vissuto personale e riflessioni profonde sul corpo, l’identità, il ruolo degli adulti e l’urgenza di educare con empatia.
Per chi ha vissuto nel silenzio.
Per chi lotta.
Per chi cerca una via d’uscita.
Per chi non vuole più sentirsi solo.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro per sopravvivere. Per liberarmi dal silenzio che mi ha tolto la voce, la fame, la pelle. Per la bambina che danzava e poi si è odiata. Per chi si annulla per sentirsi visto, per chi muore dentro senza che nessuno se ne accorga. Scrivo perché il dolore mi ha attraversata, ma non mi ha distrutta. Perché dal buio ci si può salvare. E io sono la prova che si può tornare a vivere.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Premessa

Sono un po’ strana? Sì, forse. Parlo con me stessa, ballo anche in cucina, mi perdo nei dettagli e mi ritrovo nei silenzi. Scrivo per guarire. E a volte, scrivendo, sanguino ancora un po’. Ma poi passa.

Questo libro non è perfetto. Come non lo sono io. È fatto di parole scomode, respiri trattenuti, pensieri che si accavallano come passi fuori tempo. Ma è vero. È mio. E soprattutto, è vivo. Non so bene perché tu l’abbia aperto. Forse ti ci rivedi. Forse vuoi solo capire. O forse stai cercando anche tu un punto da cui ricominciare.

Qualunque sia il motivo, grazie. Perché tra queste pagine io ho lasciato qualcosa di me. E se anche solo una parola ti farà sentire meno sola, allora sarà valsa la pena.

Accomodati al tramonto. Metti le cuffie, chiudi gli occhi… e ascolta questa storia.

1

Linnocenza di chi arriva al mondo

Da bambina i numeri non contano.

Non contano i grammi, non contano le misure.

Continua a leggere

Continua a leggere

Vivi e basta.

Era il quattro agosto, una mattina calda d’estate.

Nella mia terra, Siracusa, il sole scaldava le strade e l’aria portava con sé il profumo del mare. È in quel giorno che mia madre mi ha dato alla luce, e in quel primo respiro c’era tutta linnocenza di chi arriva al mondo senza sapere nulla, senza sapere chi sarebbe diventato o quali sogni avrebbe rincorso.

2.650 grammi. Una bambina fragile, minuta, quasi invisibile al mondo. Questa ero io.

Un piccolo peso che, per i grandi, era tutto; ma per me non significava nulla.

Da bambina i numeri non contano.

Non contano i grammi, non contano le misure.

Vivi e basta.

Vivi come se nulla al mondo potesse ferirti, rincorrendo la luce nei giochi, ridendo con le amiche, abbracciando chi ami. In quei momenti, tutto sembrava perfetto.

La mia infanzia è stata fatta di cose semplici.

Una passeggiata mano nella mano con mia madre, i giochi con le amiche, e soprattutto il mare.

Per me il mare non era solo un luogo, ma un rifugio.

Ogni volta che mi tuffavo, sentivo di appartenere a qualcosa di più grande, di infinito.

I miei genitori sono stati i miei eroi. Li guardavo con occhi pieni di ammirazione e amore. Eppure, nonostante tutto il bene che provo per loro, non riesco sempre a dirglielo. Sono stata cresciuta con tutto il sostegno e l’amore che potevano darmi, e quel sentimento, anche se silenzioso, è inciso nel mio cuore come un segno indelebile. Loro mi hanno insegnato cosa significa amare senza condizioni.

Non ho mai avuto molte amiche. Ho sempre scelto poche persone, quelle che pensavo fossero vere. Alcune lo sono state, altre mi hanno deluso profondamente.

Ho imparato presto che non tutti quelli che ti sorridono ti vogliono davvero bene.

Questa consapevolezza mi ha resa più forte, ma anche più

distante.

Non sono mai stata alta, e per anni questa è stata una ferita che mi portavo dentro. Guardarmi allo specchio era spesso un esercizio di confronto: mai abbastanza alta, mai abbastanza bella, mai abbastanza forte. Ogni centimetro che mancava sembrava pesare come un macigno. Non importava quanto mi impegnassi: non era mai sufficiente. Quella sensazione – di essere brava, ma mai abbastanza – era un sussurro costante che mi seguiva ovunque andassi.

E poi c’era la danza. Avevo quattro anni quando ho messo piede per la prima volta in una sala di danza. Le pareti sembravano pulsare di vita, come se sapessero cosa stavo cercando. Il pavimento scricchiolava sotto i miei passi timidi, eppure lì mi sentivo invincibile. Non era solo un luogo: era il mio rifugio, il mio spazio, la mia casa.

Crescere nel mondo della danza non è stato facile. Non è un mondo gentile. Le critiche erano come coltelli, tagliavano dove faceva più male. Ero spesso presa di mira perché avevo talento. Lo ammetto senza paura: avevo talento. Ma nella danza, il talento non basta. Serve fortuna, e io di quella non ne ho avuta molta.

Ho provato tante volte a entrare ad “Amici”.

Era il mio sogno.

Ma ogni volta mi dicevano: “Troppa tecnica, devi fare meno.” Come potevo essere meno di ciò che ero? Ogni passo, ogni movimento era il risultato di anni di sacrifici. Non potevo smettere di essere ciò che avevo costruito con tanta dedizione e dolore. Eppure, non bastava. Forse, non avevo la giusta spinta, oppure non era la giusta occasione. Così, quel sogno è rimasto chiuso in un cassetto, come un piccolo rimpianto che porto ancora con me.

Ma nonostante tutto, la danza mi ha insegnato a resistere. Mi ha insegnato a cadere e a rialzarmi, a lottare contro ogni avversità. Oggi, il mio obiettivo non è più realizzare un sogno personale. Oggi voglio dare speranza. Voglio tendere una mano a chi si sente perso, a chi pensa di non essere abbastanza.

Perché io lo so cosa vuol dire.

E tutto è iniziato lì, in quella sala di danza, con il mare di Siracusa che mi scorreva nelle vene e un cuore pieno di sogni. È lì che la mia storia ha trovato il suo battito, quello che oggi voglio condividere con voi.

2

Il battito di un sogno

“Non era solo danza.

Era casa. Era vita.”

Avevo quattro anni quando entrai per la prima volta in quella sala di danza, un piccolo spazio che profumava di parquet lucido e scarpette nuove. Ricordo ancora il mio sguardo curioso che si posava su ogni dettaglio: gli specchi che sembravano infiniti, il pianoforte nell’angolo, e quella finestra immensa che si affacciava sul mare. La mia maestra, Lucia, mi prese per mano e, con un sorriso caldo, mi accolse nel mondo che sarebbe diventato il mio rifugio, la mia passione, la mia vita.

Lucia mi vide crescere. Con lei, imparai i primi passi, ma soprattutto imparai la disciplina, il sacrificio, e il rispetto per quell’arte che richiede tutto, ma che in cambio ti dona un universo di emozioni.

Non c’era domenica migliore di quelle passate in sala: il profumo delle punte, le note di musica classica che riempivano lo spazio, e il mare là fuori, che sembrava danzare con me. Mi affacciavo spesso a quella finestra durante le pause, e la vista mi dava la forza per affrontare le ore di allenamento. Il mare sembrava dirmi: “Continua, non fermarti, sei sulla strada giusta.” Le domeniche erano speciali per un altro motivo. Erano i giorni dedicati alle lezioni private di danza classica con Liliana, la mia insegnante. Liliana era diversa da Lucia, con lei ogni movimento

era analizzato fino al più piccolo dettaglio. Le sue correzioni erano precise, a volte dure, ma sempre cariche di una passione che mi contagiava.

La danza è perfezione, Anna,” mi diceva spesso, “ma è la tua anima a fare la differenza.”

Passavo ore a ripetere gli stessi passi, i plié, gli arabesque, le pirouette. Ricordo ancora come mi osservava attraverso gli occhiali sottili, con lo sguardo severo e le mani che imitavano i miei movimenti. Mi parlava di equilibrio, di grazia, ma anche di forza, di come un ballerino debba saper essere vulnerabile senza mai perdere il controllo. La domenica con Liliana non era solo un momento di allenamento, era una scuola di vita.

Gli anni passarono tra ore di studio, concorsi e viaggi.

Non era mai facile. Mi allenavo anche quando gli altri riposavano, sacrificando il tempo libero, le uscite con gli amici e a volte persino i momenti di svago con la mia famiglia. Eppure, non sentivo la fatica, solo la gioia di essere in quel luogo che amavo profondamente.

Ogni concorso era un’emozione, un palco da conquistare, ma anche un ambiente difficile, dove amicizie e rivalità si intrecciavano.

Ricordo come spesso sentivo sussurrare il mio nome:

“C’è Anna Corso”. Mi faceva sorridere, non per vanità, ma perché io mi sentivo proprio come loro, una ragazza con un sogno. Sì, avevo talento, ma sapevo che c’erano tante altre ballerine straordinarie.

E poi, crescendo, quei sussurri si trasformarono.

Chi inizialmente mi guardava con diffidenza cambiò opinione. Capii che il rispetto non si impone, ma si conquista con l’impegno, la costanza e, a volte, con il silenzio.

La danza non era solo un’arte, ma un cammino che ti forma, ti forgia, e a volte ti isola. Io amavo ogni parte di quel percorso, anche le sue ombre.

Poi venne il momento di trasferirmi a Roma. Era un passo importante, forse il più grande.

Decisi di inseguire un sogno più grande di me: entrare nella scuola di Amici. Roma era enorme, piena di possibilità ma anche di insidie.

Quei giorni iniziarono con una speranza immensa, ma piano piano, quel sogno si trasformò in un incubo…

3

La perfezione che uccide

Il mio riflesso nello specchio iniziò a trasformarsi

in un peso invisibile,

una voce che mi diceva che non bastavo,

che dovevo essere di più.

Danzando ho scoperto il potere di raccontare senza parole. Ogni sala era il mio tempio, e su quel pavimento consumato lasciavo pezzi di me.

Le sbarre fredde tra le dita, lo specchio rifletteva ogni movimento, ogni imperfezione: era lì che mi sentivo viva, vulnerabile e invincibile allo stesso tempo.

Ogni battito, ogni salto verso l’alto, era un grido sussurrato alla mia anima, un messaggio al mondo che diceva:

“Eccomi, sono qui, esisto”.

Ma sotto quella superficie brillante, la danza custodiva anche i suoi segreti più oscuri.

C’era una sottile linea tra la passione che alimentava la mia esistenza e l’ossessione che minacciava di consumarmi.

Ogni sguardo severo, ogni confronto silenzioso con il mio riflesso nello specchio, iniziava a trasformarsi in un peso invisibile, una voce che mi diceva che non bastavo,

che dovevo essere di più.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Il lato oscuro della danza – Tra passione e malattia”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Anna Corso
Mi chiamo Anna Corso, sono nata ad Avola (Siracusa) il 4 agosto 1995.
Ricordo che danzavo sin da piccolissima: avevo solo 4 anni quando ho iniziato. Se penso alla mia infanzia, vedo sempre due cose: Anna e la danza, inseparabili.

La danza è stata la mia casa, ma anche il luogo dove ho incontrato il dolore. Da quell’esperienza è nato un percorso di consapevolezza, studio e trasformazione.

Sono:
– Insegnante di danza, con esperienza nell’ambito educativo e performativo
– Laureata magistrale in Management dello Sport e delle Attività Motorie (LM47)
– Laureanda in Scienze dell’Educazione (L-19), mi laureo a ottobre
– Diplomata in Gioco Danza
– Specializzata con Master in Nutrizione Clinica

Oggi mi occupo di educazione emotiva, attività motoria e sostegno nei Disturbi del Comportamento Alimentare.
Scrivo per dare voce a chi non riesce a raccontarsi. Come lo ero io, un tempo.
Anna Corso on FacebookAnna Corso on Instagram
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors