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Traghettatore di anime

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Consegna prevista Marzo 2026
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Due bambini della stessa tenera età, Taila e Justin, ogni estate trascorrono insieme le vacanze. Lei timida e sognatrice, dai dolci occhi cioccolato, lui, sbarazzino e a volte scontroso, porta il colore dell’erba di primavera nelle iridi. La spensieratezza della gioventù però viene turbata da un fatale incidente in barca, dove i genitori di Justin perdono la vita. Il suo mondo viene completamente stravolto. Catapultato in una realtà che non accetta, è costretto a vivere con la zia materna, della quale non conosceva nemmeno il nome. Taila e Justin vengono separati per cinque lunghi anni, durante i quali crescono e iniziano a creare la loro vita. Da giovani adulti e con le incertezze dei vent’anni si avvicinano inesorabilmente, attratti l’uno dall’altra come magneti. A ostacolarli però ci sarà il traghettatore di anime, deciso più che mai a terminare il compito assegnatogli cinque anni prima. Riuscirà Taila a salvare la sua anima o quella di Justin?

Perché ho scritto questo libro?

É nato tutto per gioco. Stavo leggendo un libro e mi sono messa in testa di scriverne uno io, con una trama simile ma inventando personaggi e situazioni. Ho scoperto allora che oltre a leggere mi piaceva anche scrivere, ma non della realtà, bensì di fantasia, così ho continuato fino a che non è diventata una valvola di sfogo e un modo per rilassare la mente. Scrivendo storie immaginarie posso “scappare“ dalla realtà e regalare un lieto fine. In fondo sognare è gratis.

ANTEPRIMA NON EDITATA

-1-

NON DOVEVA ANDARE COSI’

Era una mattina come un’altra, di una breve estate come un’altra. Quel giorno i nostri genitori avevano organizzato un’escursione su una delle tante isole caraibiche. Il mare era cristallino, di un blu – azzurro talmente accesi da far invidia alle ali delle farfalle “Morfo blu”. In cielo poche nuvolette bianche si rincorrevano pigramente trasportate da una dolce brezza. La sabbia chiara e le palme erano magnifiche. Lo scatto perfetto per una cartolina. Il mio sguardo però si soffermò in un punto di cielo scurissimo in lontananza quando mia madre mi chiamò dalla barchetta che avevamo preso a noleggio per l’escursione.

“Taila, muoviti … ci sono le nuvole anche nelle altre isole!”

Mi prese sottobraccio.

“Devi stare un pochino di più con i piedi per terra tesoro, hai quindici anni ormai!”

Mi affrettai sul molo di legno, lanciando un ultimo sguardo a quel temporale minaccioso e un sorriso affettuoso a mia madre. Stavo per salire a bordo quando uno spintone mi fece andare a sbattere col ginocchio sulla briccola di legno dov’era ancorata la barca. Incespicai, aggrappandomi a mia madre per non  finire in acqua e rovinare la giornata a tutti i presenti. Nervosa, ma sempre pacata com’era mia abitudine, borbottai a bassa voce contro il mio amico d’infanzia:

“Io a quindici anni non posso sognare ad occhi aperti, ma lui a diciassette può fare il bambino?!”

Ebbi solo uno sguardo di comprensione da mia madre e un sorriso sghembo con tanto di alzata di spalle da Justin. Sua madre gli diede un leggero ceffone sulla nuca dicendogli che doveva imparare le buone maniere, ma anche lei ottenne una risposta degna di un ragazzino ribelle di quattordici anni anziché diciassette.

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“Ma non si è fatta nulla … e poi è solo Taila!”

La sua voce bassa e scocciata aumentò il mio nervosismo, ma il karma venne in mio soccorso. Con quell’ultima affermazione ottenne un secondo ceffone e un occhiataccia dal padre. Justin si massaggiò leggermente la nuca scompigliando i capelli neri come il petrolio e lanciando a me uno sguardo agghiacciante, con quelle iridi verdi come fili d’erba primaverile. Era davvero un bel ragazzino, ma il suo carattere era tutt’altro. Anche da bambini era sempre stato antipatico, mi tirava le treccine, mi pizzicava o addirittura mordeva, per non parlare dei guai che combinava dando poi la colpa a me. Fortunatamente i nostri genitori sapevano bene con chi avevano a che fare.

La signora Miller mise in mano a Justin un batuffolo di cotone e del disinfettante indicandomi e ammonendolo con lo sguardo. Di malavoglia il ragazzo prese entrambe le cose mi si avvicinò sbuffando. Non disse una parola, ma i suoi occhi parlarono per lui. Si limitò solo a puntare su di me il suo sguardo tagliente. Mi sedetti sulla panca di legno poco stabile, al che scricchiolò sotto il mio peso. Si inginocchiò davanti a me e fece scivolare la mano dietro al mio ginocchio. Al suo tocco uno strano formicolio mi colse impreparata. Sgranai gli occhi e cercai i suoi. Li trovai leggermente sorpresi a guardarmi a sua volta, da sotto le folte ciglia nere. Fu solo una frazione di secondo e li spostò velocemente sul mio ginocchio arrossato. Deglutii aria e cercai di scacciare quella strana sensazione scuotendo la testa. Il disinfettante bruciò leggermente, ma non era quella la sensazione più forte. Le sue mani erano delicate. Non immaginavo potesse essere così leggero il suo tocco. Pulì la piccola escoriazione che mi aveva procurato e senza neanche più guardarmi si allontanò per rimettere al suo posto il medicinale.

Durante tutto il tragitto in barca lo vidi spesso assente. Lo colsi un paio di volte guardarmi di sottecchi, ma il suo sguardo cambiava subito direzione appena i nostri occhi si incrociavano. Era uno flash verde brillante che spariva dietro a nubi nere striate di blu. Io, come al solito, mi persi a osservare come le nuvole cambiavano forma e grandezza. Si allungavano e si ritiravano, per rigonfiarsi, assottigliarsi e sparire nel cielo limpido. Mi affascinava scoprire quali forme potevano assumere in breve tempo o come potevano rimanere immobili, apparentemente congelate in un loop temporale. O ancora come da innocue pigre masse potevano trasformarsi in tempeste e uragani. Allontanai lo sguardo, verso l’orizzonte. Il temporale in lontananza sembrava sparito, inghiottito dall’azzurro brillante del cielo dei Caraibi. La leggera brezza marina era piacevole su viso e qualche schizzo d’acqua rinfrescava dal caldo caraibico

Una volta arrivati in una delle tante isolette, scendemmo a terra per una breve escursione. La nostra guida illustrava gli animali del posto, il clima, le avventure dei pirati e i frutti tipici. Taaaanti frutti, che voleva a tutti i costi assaggiassimo. I nostri genitori provarono tutto, io mi limitai a qualche frutto profumato, sentendomi piena dopo soli tre bocconi. Justin non toccò nulla. Era strano, irrequieto e allo stesso tempo assente. Solitamente gli piaceva viaggiare con noi. Fin da bambini i nostri genitori si riunivano tutte le estati per stare insieme ed esplorare il mondo. Certo da bambini è tutto molto diverso. Si pensa a giocare tutto il tempo, senza far troppo caso con chi si era o dove. Ogni situazione era un divertimento, un modo per scherzare e ridere insieme. Io ero entusiasta di trovarmi con la famiglia Miller, Catrin, la madre di Justin era una seconda mamma per me. Sempre gentile e premurosa, divertente ma anche seria all’occorrenza. Molto spesso giocava con me e Justin fino a tarda sera, mentre mia madre si dilettava ai fornelli, preparando prelibatezze locali. Anche a Justin piaceva stare con me e giocare insieme. Più che altro si divertiva a farmi strani scherzi che immancabilmente mi facevano piangere. Ma questo finché eravamo bambini. Crescendo gli scherzi erano diminuiti e lui era diventato più chiuso e taciturno ma quell’estate qualcos’altro cambiò, soprattutto nei miei confronti. L’estate precedente era tutto un giocare in spiaggia e piscina, uscire con amichetti che conoscevamo nei luoghi dove i nostri genitori avevano deciso di passare l’estate. Certo i battibecchi non mancavano, ma non mi aveva mai ignorata del tutto come stava facendo in quel nostro ultimo viaggio insieme.

Il pomeriggio passò veloce, tra lunghe passeggiate in spiaggia e brevi escursioni nella foresta di palme. La nostra guida, un ragazzo sui vent’anni, ci avvisò che era il momento di tornare verso casa, così,  pigramente e un po’ amareggiati lo seguimmo verso la piccola imbarcazione. Tolsi le scarpe e immersi i piedi nella rinfrescante acqua cristallina. Era rigenerante ed estremamente rilassante sentire le minuscole onde sui piedi. La sabbia bianca era soffice e farinosa. Qualche piccolo paguro scappava impaurito appena percepiva la mia presenza. Una moltitudine di piccole conchiglie abbelliva la battigia dorata. Il fruscio delle palme poco lontane e l’infrangersi delle tranquille onde rese quel momento placido e ristoratore. Nell’ultimo tratto di spiaggia una bellissima conchiglia rosata spuntò tra le onde della bassa marea. I miei occhi si illuminarono e corsi a osservarla da vicino. Era davvero bellissima. I caldi raggi del sole del tramonto la facevano risplendere di una tenue luce arancio. Ne sfiorai la superficie interna perfettamente liscia, rigirando l’incantevole creazione tra le mani. Rimasi affascinata dalla sua delicatezza ed eleganza. Potevo paragonarla ad una ballerina di danza classica. Tanto leggera e delicata, quanto forte e maestosa. Ammaliata dai suoi colori pastello e dalla sua fragilità, non mi accordi che la nostra guida, Cameroon, si era fermato accanto a me. Socchiuse leggermente gli occhi azzurri e mi rivolse uno splendido sorriso. Era davvero affascinante, con un velo di mistero che gli aleggiava attorno e quell’aria sicura di se. Riposi subito la conchiglia sulla sabbia, pensando mi avrebbe richiamata. Sapevo che non si potevano raccogliere, e non era affatto mia intenzione, ma la sua bellezza mi aveva rapita a tal punto che desideravo anche solo poterla toccare. Cameroon mi guardò leggermente sorpreso e si chinò a prenderla. I capelli biondi e leggermente lunghi gli scivolarono davanti al viso creando delle bellissime sfumature  dorate al calar del sole. Mi sorrise, incastrando gli occhi blu ai miei e avvicinandosi quel tanto che bastava a farmi sentire il suo profumo di mare. Prese la mia mano e ci lasciò cadere piano il bellissimo mollusco.

“Tienila, sarà il nostro segreto!”

La sua voce calda così vicina al mio orecchio, fece scendere alcuni piccoli brividi lungo la schiena, e il cuore saltò un battito. Sicuramente era stato per la sorpresa della sua affermazione. Un lieve sorriso si fece spazio sulle mie labbra. Felice e soddisfatta  per quanto appena accaduto spostai lo sguardo dalla conchiglia a Cameroon e viceversa. La strinsi al petto e lo ringraziai un’infinità di volte. Solo allora mi accorsi che Justin ci stava guardando da poco lontano. Era appoggiato al palo del molo, dove la nostra piccola imbarcazione ci stava aspettando. Sarà stato un abbaglio, ma sembrava stesse stritolando quel povero palo con tutta la forza che aveva. Lo vidi serrare la mandibola e girarsi verso i nostri genitori appena arrivati. Chissà cosa gli passava per la testa. Non ci badai molto, ero ancora troppo entusiasta per quel preziosissimo e inaspettato regalo. Seguii Cameroon ammirando la bellissima conchiglia, felice come una ragazzina, che ero, ancora in tutto e per tutto.

Arrivai alla barca con uno stupido sorriso sulle labbra e mia madre se ne accorse immediatamente.

“Tesoro, cos’è quel sorriso luminoso? Sei davvero così felice?”

Mi mise un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e mi accarezzò la guancia. La guardai e le feci vedere la conchiglia aprendo leggermente la borsa a tracolla che portavo sempre con me, sussurrandole all’orecchio che Cameroon mi aveva permesso di tenerla. Mi guardò sinceramente divertita e lanciò uno sguardo di ringraziamento alla nostra guida facendogli un cenno col capo. Poi mi prese per mano e mi portò vicino alla ringhiera metallica della piccola imbarcazione, vicino a Justin. Fissammo meravigliati il sole che si tuffava nelle brillanti e calme acque del mar dei Caraibi, mentre una leggera brezza ci scompigliava i capelli.

La barca si accese e iniziò ad allontanarsi lenta dal molo. Cameroon mi raggiunse poco dopo, appoggiando la mano vicino alla mia sulla balaustra d’acciaio. Il vento gli arruffava i capelli dorati e il sole che rifletteva nei suoi occhi li rendeva semplicemente favolosi. Tuttavia un leggero ghigno di soddisfazione nacque sul suo viso. Inizialmente non capii a cos’era dovuto, ma mi accorsi che la mano di Justin, appoggiata alla ringhiera, poco lontano da noi, aveva stretto la sbarra di ferro sbiancandogli le nocche. Contrasse la mascella e si allontanò. Vidi Cameroon soddisfatto. Forse non si piacevano e preferivano stare lontani. La mia ingenuità a volte era davvero fastidiosa. Osservando meglio dove poco prima c’era la mano di Justin, notai una macchia rossa . Sangue. Senza nemmeno pensarci lasciai la nostra guida da sola a contemplare il mare e rincorsi il mio amico d’infanzia. Gli presi la mano bloccandolo per il polso.  La sua reazione fu di strattonarla via, ma appena si accorse che ero io i suoi occhi verdi si incupirono leggermente e mi lasciò guardare. C’erano delle schegge di legno conficcate nel palmo che lo facevano sanguinare leggermente. Senza lasciare andare il suo polso, lo trascinai fino alla cabina. Presi la valigetta del primo soccorso e come aveva fatto lui a inizio giornata, lo medicai. Presi pinza, cotone e disinfettante. Cercai di togliere tutte le schegge senza fargli male. Ogni tanto lo guardavo per vedere se potevo continuare. La sua espressione non cambiò mai. Fissava ogni mio movimento come se dovesse imparare a farlo lui stesso. Solo una volta lo colsi a guardarmi in volto, ma spostò subito lo sguardo al mare. Per rompere l’atmosfera tesa che si era creata già dal mattino,cercai di sdrammatizzare.

“Cosa ti ha fatto quel povero palo perché tu lo stringessi in quel modo?”

Non mi diede nessuna risposta, si limitò ad alzare le spalle e guardare lontano. Il suo comportamento mi confondeva, ma lo conoscevo bene quindi non gli diedi molto peso. Per lui tutto era un gioco e non prendeva mai seriamente ciò che gli accadeva intorno, quindi anche quella volta pensai fosse semplicemente arrabbiato col mondo per chissà quale motivo. Semplici problemi adolescenziali, mi ripeteva mia madre quando non riusciva a dare una spiegazione logica a certi comportamenti di noi ragazzi.

Mentre terminavo di disinfettare la mano, la barca tremò. Caddi in ginocchio cozzando violentemente sulle assi di legno. Un vento freddo si levò, portando con lui onde troppo forti per la nostra piccola imbarcazione. Justin mi prese subito per mano guardandomi con grandi occhi increduli e spaventati. Ci avvicinammo ai nostri genitori barcollando come trottole. Avevamo appena svoltato una delle isole più grandi quando una gigantesca nube temporalesca ci aveva sorpresi. Il sole era sparito sotto la linea dell’orizzonte lasciando solo gli ultimi raggi a fare luce in quel temporale. Cameroon ci ordinò di tenerci alla ringhiera mentre lui cercava di arrivare alla cosa il più velocemente possibile. Mamma mi prese la mano e papà si aggrappò a noi con tutte le sue forze. Anche i Miller cercarono di reggersi alla ringhiera, ma l’acqua che cadeva a fiotti e le enormi onde ci impedivano di ancorarci saldamente. Il vento e la pioggia che cadeva ci sverzavano il viso e non riuscivamo a tenere gli occhi aperti. La barchetta veniva sballottata a destra e a sinistra come fosse un tappo di sughero. Poco lontani da noi alcuni scogli facevano infrangere le onde in modo violento. La spuma bianca schizzava tagliente su di essi. Il rumore del vento e del mare creava un forte rimbombo sulla piccola barca e gli ordini che Cameroon cercava di impartirci svanivano nel nulla. I cavalloni ci dirigevano sempre più vicino agli scogli. Ci stringemmo tutti alla ringhiera quando un’ onda più forte delle altre fece rovesciare la barca. Persi subito la mano di mia madre e sentii la sua voce chiamarmi. La vista si fece confusa, gli occhi bruciavano, la testa girava. Gli attimi divennero ore. Mi sentivo sballottata in tutte le direzioni. Non capivo dove fosse l’alto. L’aria mancava. Trattenni il respiro fino a quando i polmoni bruciarono per lo sforzo e poi silenzio.

Calma piatta. Mi sentivo leggera. Non sentivo più nessun dondolio o dolore alle articolazioni. Mi beavo di quella sensazione rilassante quando venni strappata da quella quiete. Sentii lo sterno premere forte sui polmoni che si riempirono d’aria all’istante, ma non per mia volontà. Spalancai gli occhi. Bruciavano. Come ogni parte del mio corpo. Boccheggiai alla ricerca di ossigeno. Cercai di afferrare qualcosa, senza sapere cosa. Per la testa un turbinio di immagini sfocate mi smosse lo stomaco. Ricordai le onde, la pioggia, le mani di mia madre che si allontanava dalle mie.

“Calma … calma … respira ..!”

La voce di Cameroon mi diceva cosa fare e io da ragazzina ubbidiente com’ero lo feci. Respirai … respirai e … respirai. Finalmente.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Laura Moretto
Mi chiamo Laura Moretto, ho 39 anni e vivo in un paesino di 800 anime in provincia di Venezia con mio marito e le nostre due cagnolone. Lavoro come collaboratrice scolastica in una scuola superiore della zona, cosa molto utile per essere a contatto con molte persone dalle quali poter trarre ispirazione per i miei personaggi e situazioni. Sono diplomata in arte dei metalli e dell’oreficeria e mi piace trascorrere il tempo libero creando piccoli oggetti in carta, resina e altri materiali, disegnare e passeggiare all’aria aperta con le mie due cucciole.
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