ANTEPRIMA NON EDITATA
Avevo sedici anni quando iniziai a scrivere.
Così come Forrest Gump correva senza fermarsi lungo incantevoli paesaggi, io scrivevo tutti i giorni sulle pagine di un quaderno i miei ricordi, i miei pensieri, le mie emozioni.
E’ pazzesco come allora i miei problemi sembrassero insuperabili e catastrofici.
Sembra sia passata un’eternità, un’altra vita. E invece è passato solo qualche anno.
Ora sono qui, seduta nella mia cameretta e chiamarla ancora cameretta è penoso perché vi farà pensare che al massimo io abbia diciotto anni e invece ne ho quasi trenta.
Sono qui a pensare all’ultimo periodo della mia vita che mi ha portato ad un’indecisione emotiva comunemente chiamata triangolo.
Negli ultimi anni ho sprecato molte occasioni per essere felice, pur avendo tutte le carte in regola per esserlo.
Forse scrivendo troverò la risposta alle mie domande.
1
Per farvi capire meglio le mie vicende amorose, inizierò a raccontarvi tutto dal 21 maggio di un anno fa.
Da qualche mese mi ero trasferita in Veneto e lavoravo nel Lounge Bar Insomnia della mia grande amica Giorgia per sostituire una sua barista che aveva lasciato improvvisamente il lavoro.
Il locale si trova sui colli di Susegana in provincia di Treviso, la terra del Prosecco, ed essendo proprio in cima ad una collina, domina il paesaggio attorno. Da lì si può ammirare il castello di San Salvatore, spesso illuminato anche di sera, un vero e proprio panorama da film.
Io adoro fare la barista, è il lavoro perfetto per me.
Amo sbizzarrirmi nell’arte dei cocktail; tra infinite ricette, attrezzature e bicchieri.
La cosa che mi piace fare di più è osservare attentamente una persona, capire quello di cui ha bisogno in quel preciso momento e proporle un drink adatto all’occasione.
Ci sono cocktail per sconfiggere la tristezza, altri per combattere la noia o per innamorarsi. Alcune volte invece la semplicità di un bicchiere di vino è la soluzione migliore.
Musica alta, maglietta dello staff fucsia con cucito dietro il mio nome, colleghi che ti lanciano lo shaker da due metri di distanza, facce di alcuni clienti che ti guardano come stessi facendo una magia e che si chiedono come sia possibile ricordarsi tutte le combinazioni. Fantastico!
Quella sera fu particolarmente speciale perché entrò un ragazzo.
Giulio.
Giulio B.
Uno dei miei attori preferiti.
Quando lo vidi mi venne un colpo.
Feci finta di niente e mi misi a fare un po’ di piroette con lo shaker. Un gruppo di ragazzi avevano ordinato alcuni Mohito e quindi mi stavo destreggiando tra lime, menta e Rum.
I medici hanno il segreto professionale, i baristi il segreto distrazionale.
Comunque: che ci faceva li? Erano le due del mattino ed il locale ormai era quasi vuoto. Stavamo per chiudere. Si sedette al bancone ed ordinò un prosecco. Poi iniziò a fissarmi con uno sguardo intenso che mi mandò in tilt. Stavo per sbagliare i drink e mettere l’arancia al posto del lime!
Sono quei classici momenti in cui speri ti succeda una cosa simile ma mai pensi che ti succederà davvero e quindi non sei preparato psicologicamente!
Uno dei più affascinanti attori italiani mi stava fissando con i suoi occhi azzurri ghiaccio.
All’improvviso mi chiamò per nome:
“Ehy Chiaretta!”
Ed io lo guardai sconcertata per essere sicura che stesse chiamando proprio me. Tuttavia ero l’unica Chiara nello staff.
E poi dopo quindici imbarazzanti secondi risposi con un “Dici a me? Come fai a sapere il mio nome?”
“Il tuo nome è scritto dietro la maglietta.”
Giusto e che pensavo!
“Ti va di uscire con me domani?”
Lo guardai incredula.
“Devo dire che sei abbastanza sfacciato Giulio.”
Sorrise perché capì che avevo capito chi fosse.
“Come fai a sapere il mio nome?”
“Non è scritto dietro la tua maglietta?”
Sorrise facendo cenno di no. “Eh, no! Deduco quindi che sei una mia fan.”
Era meglio cambiare discorso, temevo infatti di essere diventata tutta rossa.
“Cosa mi consiglieresti di bere, Chiaretta?”
“Per immedesimarti in quelli del posto dovresti bere un’ombra. L’ultima però, perché è tardissimo.”
Mi guardò non sapendo cosa rispondere. Non aveva capito niente e a me veniva da ridere. Così gli porsi un bicchiere di vino rosso.
Sorrise e mi ringraziò.
“Comunque bello questo posto.”
“Grazie, riferirò alla mia titolare Giorgia.” Intanto asciugavo i bicchieri.
Dopo qualche attimo di silenzio, uscì e si accese una sigaretta. Non la smetteva di guardarmi attraverso la vetrate ed io ero già stecchita, kaputt, offline.
Poi rientrò: “Hai visto che luna c’è stanotte? Sarebbe una notte perfetta per dare un bacio ad una bella ragazza.”
Arrossii, sorrisi ma non replicai, ero leggermente imbarazzata. Guardai fuori dalla finestra, in effetti sembrava stesse splendendo il sole.
E continuò: “Resterò qui per tre giorni e vorrei tanto rivederti.”
“La mia mamma mi ha detto di non fidarmi degli sconosciuti.”
“Chi non rischia non vince. Ho la faccia da cattivo, scusa?”
“No in realtà hai la faccia da eroe. Ma sarà che mi sono fatta abbindolare dai tuoi film.”
A quel punto mi guardò seriamente.
“Davvero. Questi tre giorni li vorrei passare con te.”
“Ma ovunque vai fai cosi? Incanti una giovane ragazza con il tuo sguardo affascinante, la streghi per tre giorni e poi cambi città?”
“Può darsi.”
“Ok domattina davanti a quel castello laggiù” glielo indicai “Va bene alle undici, o è troppo presto?”
“No, sarò lì ad aspettarti dalle nove.” Poi mi sorrise, mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò a piedi.
Sembrava un angelo caduto dal cielo.
Avevo già in testa scene super romantiche da film, mi vedevo già col vestito da sposa, la musica di Rihanna Feat Eminen si trasformò in Vivo per Lei di Bocelli.
Il locale ormai era deserto. Dovevo svegliarmi fuori e aiutare i miei colleghi a chiudere.
La Giorgia mi venne incontro guardandomi stupita.
“Chi era quel pezzo di gnocco?”
“Ma come? Non l’hai riconosciuto?! E’ Giulio Berruti!”
“Chi?”
“Ma non l’hai mai visto in TV?!”
“No! Ma davvero è un attore? Cavolo potevi dirmelo così ci facevamo fare una foto assieme per poi appenderla alla parete! Non è mai venuto nessuno di famoso!”
“Tranquilla, se tutto fila liscio domani sera ce l’avrai!” Le feci l’occhiolino e me ne andai con il sorriso stampato in faccia.
Intanto continuavo a pensare a lui e a contare le ore.
TATATATAAAAA TATATATAAAAA (Marcia nuziale)
Chissà dove dormiva. Chissà perché lo avevo incuriosito. Chissà che tipo era.
Quello che sapevo bene è che queste cose non succedono tutti i giorni. E di sicuro di solito non succedono a me.
Me ne passai l’ora seguente a pensare a lui, ai suoi film e a cercare un nesso nel destino che lo aveva portato a me. Anche se fosse stato solo per quella sera, per quei pochi minuti mi veniva in mente solo una parola: wow. Mi sembrava di essere tornata quella sedicenne sognatrice che ero un tempo.
Appena arrivata nel mio piccolo monolocale nel paese lì vicino, invece di dormire iniziai a guardare “Notting Hill”.
Lo so, faccio pena.
E temo che non mi sposerò mai se continuo così. Se potessi, qui aggiungerei l’emotion della scimmia che si copre il viso con le mani.
La mattina seguente ero sveglia alle sette. Riflettei a lungo se prepararmi come per andare a nozze o se essere me stessa. La seconda era sicuramente la scelta vincente.
Jeans, felpa rosa, Stan Smith bianche e blu e niente giubbotto, la temperatura era calda. Coda di cavallo, matita nera. Un mio ex odiava il fondotinta perché diceva che sembravo una statua di cera e da allora non l’ho più messo, a parte quando ho qualche brufolo gigante, e in quel caso ci metto un casino di fondotinta sopra creando il passo Falzarego.
Poi colazione con cornetto alla nocciola, caffè doppio e via sulla mia bellissima golf IV grigia Highline con cerchioni in lega a forma di ragno. Direzione Susegana.
Erano le nove e dieci ma visto che ero già pronta, ci andai. Non mi illusi che lui fosse lì come aveva detto dalle nove, ma un po’ ci speravo ed infatti era lì.
Ero sciolta, sembrava di vivere una favola. Mi sentivo come Cenerentola.
Era appoggiato al muretto davanti al Castello e stava fumando una sigaretta. Quando mi vide, sorrise.
Era vestito come me! Jeans, felpa (non rosa ma blu elettrico), adidas.
Il sole splendeva.
Parcheggiai, scesi dalla macchina e andai verso di lui con le farfalle nello stomaco e le mani che mi tremavano.
Era bellissimo, aveva due occhi blu intensi come il mare ma lo sguardo era di fuoco.
“Sono venuta prima apposta per vedere se sei un tipo che mantiene la parola.”
“Scommetto che morivi dalla voglia di rivedermi.”
Molto perspicace Giulio.
“Allora dove mi porti, Chiaretta? Sono curioso. Questo posto è bellissimo; sarebbe un perfetto scenario da film, soprattutto per il panorama che lo circonda”.
Aveva ragione.
Era maggio, quindi le colline erano di un verde intenso, colme di vigneti che stavano rifiorendo con il tepore della primavera dopo il gelido passaggio di un lungo inverno. I prati erano pieni di asinelli che pascolavano tranquilli nella serenità e nel silenzio più totale.
Purtroppo i bombardamenti della prima guerra mondiale avevano parzialmente distrutto il castello, ma i resti e le mura che erano rimaste facevano comunque pensare a leggendarie storie di dame e cavalieri senza macchia e senza paura.
“Vieni. Ti porto dentro il castello. Ti voglio raccontare una storia.”
Gli porsi la mano, lui la afferrò e passeggiammo dentro il brolo mano nella mano cercando di conoscerci meglio. Era da molto tempo che qualcuno non mi prendeva per mano, è stato strano ma bello ed emozionante.
Gli raccontai la leggenda di Bianca di Collalto.
Bianca era una bella e giovane ancella della contessa Chiara, che era molto gelosa del proprio sposo, il Conte di Collalto. Si narra che un giorno il Conte, prima di partire per una guerra, andò nella stanza di Chiara per salutarla. Nella stanza c’era anche Bianca che stava pettinando la sua padrona. La contessa vide attraverso lo specchio suo marito salutare anche la povera ancella, la quale era in lacrime. Chiara presa dalla gelosia la imprigionò e la fece murare viva nelle pareti del castello.
Da allora si narra che il fantasma di Bianca aleggi nel castello ed appaia alla famiglia Collalto con una veste bianca per annunciare gioie oppure con un velo nero sul volto per presagire catastrofi.
Con questa storia si potrebbe fare un film e a proposito di questo, Giulio mi raccontò di come la sua vita fosse cambiata dal voler diventare un dentista a trovarsi quasi per caso al centro di un set cinematografico e cercare di imparare a fare l’attore.
Mi colpì la sua umiltà. Non ho mai conosciuto una persona famosa ma comunque credo ci si aspetti una persona piena di sé. Lui invece no, era con i piedi per terra. Era consapevole di non essere Brad Pitt, di aver ancora molta strada da fare e di non illudersi che questo idillio sarebbe durato per sempre.
Si trovava in Veneto perché doveva girare uno spot tra le colline per una famosa casa automobilistica e, visto che ama girare l’Italia, ne approfittò per assaporare i nostri cibi e soprattutto il Prosecco che era arrivato anche a Roma. Si perché lui è romano de Roma.
Il tempo passò veloce e, tra una chiacchiera e l’altra, in un lampo arrivarono le undici e mezza.
Gli proposi di bere un bicchiere di vino così lui andò a prendere due calici al bar li vicino e mi raggiunse.
Ero appoggiata ad un muretto dove si vedeva tutto il panorama.
Gli rubai la sigaretta e feci un tiro guardandolo seria e poi scoppiando in un sorriso.
“Sai dicono che in certe giornate limpide si riesca a vedere Venezia.”
Aguzzò lo sguardo che poi girò verso di me. Pensai che volesse finalmente baciarmi e invece niente.
“Venezia! Ottima idea! Non ci sono mai stato! Ci andiamo?”
“Ok se fai il bravo domani ti porto, intanto pensiamo a mangiare. Tu non hai fame?”
A pranzo lo portai in una tipica osteria del posto “Al Picchio” che si trova a ridosso del fiume Piave, sempre nella zona di Susegana. Si chiama così ovviamente perché gli alberi che la circondano sono abitati dal picchio e dai suoi familiari. Infatti, il pennuto è raffigurato ovunque. La struttura è completamente rivestita di sassi del fiume. D’estate si può mangiare sul giardino esterno ed ogni singolo tavolino ha una piccola pergola con delle tende di lino bianche che arrivano fin per terra e che consentono ad ogni tavolo di avere la propria privacy. Visto che la temperatura lo permetteva e il locale era deserto, il cameriere ci propose di sederci ad un tavolo all’esterno giusto accanto al fiume che scorreva li a pochi passi e che rinfrescava l’atmosfera. La tovaglia era a quadri rossa e bianca, la mia preferita, e sul tavolino c’era un vasetto con dei peperoncini appena sbocciati. La candela era spenta ma Giulio, tanto per restare in tema di romanticismo, la accese lo stesso, anche se c’era il sole. In sottofondo, c’era la musica dell’album di Lucio Battisti “Una donna per amico”.
Mangiammo un’ottima grigliata di carne mista con verdure alla griglia e patatine fritte. Il locale era vuoto e quell’intimità era perfetta per parlare e per guardarci negli occhi, di entrambi azzurri come il cielo.
“Certo che è bello vederti mangiare.” mi disse.
Stavo tenendo con le mani e azzannando una costicina di maiale e mi fermai imbarazzata.
Pensate se mi avesse visto un vegano.
“Spero tu non abbia un cane, se no con te muore di fame, neanche l’osso gli lasci!”
“Il cane ce l’ho ma non è qui con me.”
Fino a quel momento avevamo parlato solo di lui, mai di me.
“Perché vi siete separati?”
“Io in realtà non sono di qui. Vengo da un piccolo paesino di montagna. Sono come Heidi.”
Mi guardò perplesso.
“Davvero? A vederti non sembrerebbe. Sembri perfettamente a tuo agio con questo posto.”
“Si perché in realtà per il 50 % è nel mio DNA. Mio padre è di queste parti, mia madre invece è montanara e quando si sono sposati si sono trasferiti lassù. Quindi io sono 50 e 50, fifty fifty. Non sono D. O. C. G. come il prosecco ma ho sempre passato molto tempo qui quando ero piccola.”
“E come mai sei qui? Ora intendo.”
“Ho avuto voglia di indipendenza. Non fraintendermi, amo la mia famiglia. Ho un fratello più grande di me e una sorellina di quattordici anni che amo alla follia. I miei gestiscono una specie di albergo e ho sempre lavorato in famiglia fin da piccola ma sentivo che era giusto provare a cavarmela da sola per un po’.”
“Mi sembra giusto. Scelta rispettabile. E per quanto resterai qui?”
“Ancora non lo so, il contratto dura fino a fine maggio poi credo che me ne tornerò a casa perché a metà giugno inizia la stagione estiva e una mano è sempre gradita. Lo so, non guardarmi così, la mia pausa di indipendenza è stata molto breve ma almeno ci ho provato.”
“Chissà magari alla fine di questi tre giorni mi pregherai di portarti a Roma con me.”
“Ma che sei matto?”
“Vedi? Già tenti di parlare come me.”
“E cosa ci vengo a fare a Roma io?! Intanto godiamoci questi tre giorni e poi vediamo. Che dici? Ordiniamo il dolce?”
Ordinammo anche il caffè e un digestivo perché dopo quella mangiata eravamo sazi. Non riuscivo neanche ad alzarmi da tavola!
Non sono abituata a mangiare così tanto a pranzo.
Per smaltire un po’ facemmo una passeggiata in mezzo alla natura tra i sentieri del bosco e gli asinelli. Gli uccellini cinguettavano e il loro canto sembrava un inno all’amore. Ad un certo punto facemmo una pausa e ci sedemmo sopra una staccionata. Raccolse un fiore, una margheritina, e me la mise tra i capelli dietro l’orecchio. Ero certa che si sarebbe deciso a baciarmi finalmente ma proprio mentre il suo volto si stava sempre più avvicinando al mio, squillò il suo cellulare. Lo prese, guardò chi fosse. Ecco, rovinata l’atmosfera, peccato.
“E’ il mio agente. Scusami devo rispondere.” Si allontanò e per qualche minuto parlò al telefono. Mentre lo aspettavo presi il fiorellino e lo annusai. Il suo profumo era un mix di primavera e di amore. Quando tornò da me mi raccontò che il suo agente Christian doveva parlargli di un nuovo progetto che gli avevano appena proposto.
“Mi dispiace Chiara, devo tornare in albergo perché devo collegarmi con lui via Skype; mi deve spiegare cosa gli hanno proposto. Se mi interessa il progetto devo accettare entro stasera altrimenti il posto va ad un altro. Il mondo dello spettacolo è così. Se perdi il treno non sempre puoi prendere quello dopo.”
“Non ti preoccupare, anch’io devo andare. Devo farmi una doccia prima di andare al lavoro.” Erano quasi le sedici quando ritornammo all’auto. Ci salutammo con una stretta di mano e mi promise di fare un salto all’Insomnia quella sera.
Per tutta la sera ero distratta e guardavo in continuazione la porta. Non riuscivo a concentrarmi e infatti ruppi pure tre calici.
Finalmente alle 23.15 mantenne la promessa e varcò la soglia del locale. Si sedette allo stesso posto della sera prima ma stavolta ordinò una birra.
Ero così felice di vederlo, mi sembrava passata un’eternità dalle ultime romantiche ore passate assieme poco prima.
“Hai accettato quella proposta?”
“Si. Anche se sono un po’ deluso. Tre settimane fa ho fatto un provino per il ruolo da protagonista in un film. Ci speravo perché il ruolo mi piaceva tanto. Non avevo mai interpretato un mafioso. E mi hanno preso, ma non per quel ruolo. Farò una piccola parte, sarò il braccio destro dell’antagonista che si vedrà al massimo in cinque scene. Sempre se poi non le tagliano al montaggio.”
“Mi dispiace.”
“Pazienza.” alzò le spalle “Finire sullo schermo gigante del cinema è comunque sempre un’emozione unica. Ne vale la pena.”
Desolato bevve in un sorso quello che era rimasto della birra. Così gliene porsi un’altra.
Ci parlai solo quei pochi minuti perché ero impegnata a servire i clienti ma averlo li vicino e poterlo guardare di sfuggita era una sensazione eccitante. Mi dispiaceva solo non poterlo consolare un po. Restò un’oretta e prima di andarsene facemmo una foto assieme alla Giorgia per la parete dei Vip che però era ancora vuota. Mi baciò sulla guancia e se ne andò.
Il giorno dopo come promesso lo portai a Venezia.
Ci trovammo alla stazione di Susegana alle sei e venti del mattino e prendemmo il treno prestissimo, alle sei e trenta. Per le diciotto dovevo essere già attiva al lavoro.
Che carino, mi aveva portato un sacchettino con dentro una brioche alla marmellata e un bicchiere di carta con dentro un cappuccino, British Style. Mi gustai quel regalo durante il viaggio, che dura un’oretta. Alle sette e trentacinque circa arrivammo alla stazione Venezia Santa Lucia.
Era impaziente ed emozionato come un bambino che va in gita per la prima volta. Non era mai stato a Venezia, la città più unica e romantica del mondo. Io invece c’ero già stata diverse volte da piccola.
Mi gustai il suo sguardo stupefatto quando uscimmo dalla Stazione perché già da lì si entra subito nell’atmosfera veneziana. Un minuto prima sei nel mondo reale, fatto di caos, smog, frenesia, il minuto successivo sei in un mondo d’altri tempi, fatto di canali, ponti e gente di tutti i tipi che cammina su e giù per i ponti tra un canale e l’altro.
E’ uno spettacolo osservare la gente!
Ci sono i veneziani veri che, abituati alla marea di turisti, camminano per le calle con i propri pensieri e continuano la propria vita come niente fosse.
Ci sono i turisti, in particolare gli asiatici, che fotografano qualsiasi cosa e comprano souvenir di tutti i tipi: felpe, magliette, cappelli da marinai, mappe, calamite, accendini, piatti, miniature di gondole e palazzi…
Ci sono i veneti che alla sera o durante il week end si dilettano a fare i tour dei bacari, bevendo spritz e mangiando cicchetti a volontà: sarde in saor, baccalà, moscardini, polpettine e la lista continua quasi all’infinito.
Ci sono le signore benestanti che amano fare shopping nella Calle Larga XXII Marzo, a due passi da Piazza San Marco, che è il posto giusto dove trovare i negozi più alla moda.
Ci sono gli anziani in pensione che vanno a prendersi il pane e il giornale dal negoziante di fiducia per poi fermarsi in osteria a bere un’ombra con gli amici, fare due chiacchiere e magari una partita a scopa, prima di tornare a casa dalle mogli.
Ci sono i cantieri dove poveri operai cercano di destreggiarsi tra le attrezzature in posti pericolosi e turisti che spesso e volentieri li intralciano.
Ci sono i bambini che giocano spensierati a pallone sulle calle; la loro unica paura è quella di gettare per sbaglio la palla in acqua.
E infine ci sono gli innamorati, con gli occhi a forma di cuore, che sono pieni di felicità.
Noi non eravamo ancora innamorati, ci conoscevamo da troppo poco tempo, ma di sicuro avevamo gli occhi a forma di cuore.
E così passeggiammo mano nella mano per le vie come due veri turisti.
C’erano così tanti negozi, per tutti i gusti.
Giulio voleva fare un regalo alle sue donne romane; comprò un bellissimo merletto bianco per sua madre ed uno rosso passione per sua nonna.
A suo padre invece prese un coltellino, di quelli che hanno mille lame e che io non saprei usare. Era molto soddisfatto della scelta.
Ci fermammo in un tipico bacaro a bere uno spritz e a mangiare qualche cicchetto: crostini con il lardo, sardine fritte, polpettine di carne e di verdure.
Poi su e giù per i ponti. Arrivammo nella piazza più famosa di Venezia, Piazza San Marco, dove sorgono la Basilica e il campanile, con i piccioni in agguato alla ricerca di qualche briciola. Ci facemmo fare una foto ricordo da un altro turista giapponese. Sembravamo due comuni fidanzati.
Poi lo portai al Ponte di Rialto. Lì una foto sul Canale più imponente della città è d’obbligo. Bisogna però prima cercare di farsi spazio tra a folla, il che è un’impresa.
Con tutto quel camminare avevamo di nuovo fame. Ci fermammo in uno Street Food a mangiare un fritto di pesce dentro un cono di carta. Che bontà.
Ultima tappa fondamentale fu naturalmente il Ponte dei Sospiri.
E lì si che mi baciò.
Un bacio da film. Un bacio da innamorati.
Era ora Giulio.
2
Quei tre giorni passarono velocemente.
Io di sera e di notte dovevo lavorare ma durante il giorno lo portavo a spasso per le colline.
Non facemmo altro che mangiare e bere in giro per le osterie. L’avrò fatto ingrassare di due chili!
Quando arrivò per lui il momento di tornare a Roma, lo accompagnai alla Stazione dei treni di Conegliano e ci lasciammo con la promessa di risentirci, anche se in realtà non ci speravo più di tanto. Lui invece era molto più convinto di me che la nostra avventura sarebbe potuta diventare una storia.
“Pensa alla mia proposta. Roma è una città grande e meravigliosa, c’è posto per entrambi. Ed io ho voglia di conoscerti meglio. Potrei ospitarti a casa mia per tre giorni. Così ricambio quello che hai fatto tu per me.”
Dopo un dolce bacio sulla guancia, lo vidi scomparire tra la folla e me ne tornai a casa con il cuore gonfio di indecisione.
Non riuscivo a smettere di pensare a lui ma decisi di non chiamarlo più. Preferivo tenermi nel cuore il ricordo di quei tre giorni surreali e romantici.
Devo ammettere però che ogni volta che suonava il telefono speravo fosse lui e finalmente dopo tre interminabili giorni il mio desiderio si avverò.
Mi invitò ad andare da lui a Roma per il week end del due giugno. Ci pensai a lungo e alla fine accettai.
Ero emozionata come una bambina che va in gita per la prima volta.
Partii al mattino presto con il treno.
Quando, dopo cinque ore, due cambi, quattro panini (piccoli) e due Cola Cola, arrivai alla Stazione Termini, scesi dal treno e lo vidi sul binario ad aspettarmi con il suo sorriso perfetto.
C’era qualche ragazzina che lo stava guardando e nonostante questo mi baciò davanti a tutti.
Uscimmo dalla stazione mano nella mano fino al parcheggio dove ci stava aspettando la sua moto, mi porse il casco, salii in sella e mi portò a casa sua.
Era un monolocale al sesto piano di una palazzina al quartiere Eur. Il Portiere, che salutò con il nome di Gigi, ci salutò e mi guardò sorpresa. Questo mi fece pensare a tre cose: o non andavano molte ragazze a casa di Giulio, o ci andavano solo top model / attrici bellissime e quindi era sorpreso nel vedere una mediocre come me, o era fidanzato ed io ero l’intrusa.
Lo salutai timidamente e seguii Giulio in ascensore con il mio zainetto fucsia e il mio trolley rosa.
Il suo appartamento era piccolo ma molto carino; vintage sarebbe la parola adatta. Era pieno di oggetti, particolarmente ispirati al mondo del cinema ma il tutto era molto armonioso, ordinato e pulito.
Non feci in tempo ad appoggiare lo zaino che mi saltò addosso e mi baciò con passione.
Ok ero proprio cotta a puntino. Mi bastava una passata nel forno modalità grill e potevano servirmi a tavola con le patate.
Tranquilli, ci fu solo un bacio. Giulio è un galantuomo.
Mi feci la doccia e notai che in bagno c’era la foto di una motocicletta.
Eccomi piombata nella sua vita.
Forse per un giorno, forse per un anno, forse per sempre.
Non sapevo cosa mi avrebbe riservato il futuro.
Era la mia favola, ero come in un sogno e non avevo intenzione di svegliarmi. Punto.
Restai in bagno per circa mezz’ora (e di solito ci metto circa tre minuti per lavarmi, uno per asciugarmi, due per vestirmi, zero per truccarmi).
Restai lì tutto quel tempo perché avevo paura di uscire. Paura? Macché. Lo ammetto, curiosai un po’ tra le sue cose.
Uscita dal bagno, la tavola era preparata simmetricamente. Ecco abbiamo una cosa in comune. Anche a me piace che la tavola sia preparata bene perché da un senso di tranquillità. Prima della tempesta perché a cucinare sono un disastro quindi cerco di stordire l’avversario con l’effetto precisione.
Mi sorrise e disse che aveva prenotato le pizze. Ok altra cosa in comune. Evviva.
“Visto che le ho prenotate per le venti e trenta, cioè tra un’ora ti va un aperitivo?”
C’era una bottiglia di vino rosso sul tavolo. Cavolo questo con me c’aveva proprio azzeccato.
Presi in mano il calice vuoto in segno di assenso.
Lui stappò la bozza e me ne versò un po’. E poi andammo in terrazzo a fumarci una sigaretta.
Credo che anche lui come me fosse un po’ imbarazzato.
Ci conoscevamo solo da circa 10 giorni e mi aveva già portato nel suo appartamento.
Aveva un modo di fare talmente dolce e gentile da lasciarmi a bocca aperta. Ed era bello da togliere il fiato.
Quell’ora passò in due secondi, eravamo completamente concentrati l’uno sull’altra. E storditi dal vino. Ci tracannammo una bozza intera.
Mi parlò dei suoi progetti, mi raccontò del suo passato e della sua scelta di laurearsi in odontoiatria come il padre. In effetti ha dei denti bianchi e perfetti. Io restai per quasi tutto il tempo in silenzio.
Poi quando lui mi chiese:
“E tu? Raccontami un po’ di te. Dove vive la tua famiglia di preciso? E’ strano, ma ora che ci penso quando ti chiedo qualcosa di te e delle tue origini tendi a cambiare discorso. Sei sempre stata molto vaga.”
In quel momento suonò il campanello e arrivarono le pizze. Che fortuna. Ehm, la sua era una domanda troppo complicata.
“Certo che hai una buona memoria, abbiamo mangiato solo una volta la pizza assieme e ti sei ricordato che mi piace con le patatine fritte, come i bambini!”
“Mi ricordo di quello che mi interessa.”
“E perché sei interessato a me? Sono curiosa. In fondo non mi conosci, non sai niente di me. Per quanto ne sai potrei essere una pazza psicopatica!”
“Potrei farti la stessa domanda. Ma a me piace scoprire le persone pian piano. Anche se non è facile con te. I tuoi occhi a volte hanno un velo di mistero che mi incuriosisce. Vorrei andarci a fondo. Ok facciamo un gioco. Non dirmi niente su di te e lo scoprirò da solo. Dammi qualche mese e scoprirò chi sei. ”
Gli sorrisi e brindammo.
“Perfetto.”
Finita la pizza tornammo in terrazzo e lì restammo fino alle tre di notte a giocare a carte a scala quaranta e a parlare di lui. Non di me.
Ho tralasciato un particolare. Nel frattempo, ci eravamo scolati un’altra mezza bottiglia di rosso. Dov’è la scimmia che si copre le mani con il viso? Cioè, il viso con le mani?
Ad un certo punto mi prese in braccio, come fa un principe con la sua principessa e mi portò sul suo letto. Il suo gesto era molto romantico ma dovetti rialzarmi per andare in bagno a lavarmi i denti. La prossima volta alle due e cinquantacinque andrò in bagno poi tornerò in terrazzo e mi farò portare a letto. Scusate, dovevo ancora prendere il ritmo!
Ci addormentammo abbracciati. Non ci provò con me. Era proprio un principe azzurro.
Il giorno dopo al mio risveglio trovai un biglietto sul comodino:
Torno presto… Non scappare.
Allora mi alzai, mi misi una sua camicia come si fa nei film (avevo sempre desiderato farlo) preparai il caffè e sistemai la cucina.
Dopo circa un’oretta sentii la porta aprirsi, mi precipitai lì e lo accolsi con un bacio.
“Scusa, ho l’abitudine di alzarmi presto per andare a correre ma per farmi perdonare ti ho portato un cornetto al cioccolato”.
Facemmo colazione in terrazzo che era diventato il mio posto preferito dell’appartamento perché anche se piccolino era intimo e si vedevano i tetti di Roma. Vedevamo gli altri senza essere visti. Forse.
Poi ci preparammo e mi portò in giro tutto il giorno con la moto.
Al mattino visitammo i tipici luoghi dove di solito vanno i turisti. Prima tappa il Colosseo, imponente simbolo di Roma, che conserva tra le sue mura il ricordo delle lotte tra gladiatori ed animali feroci. E poi ai fori romani, dove passeggiammo facendo finta di essere nelle vie dell’antica Roma.
A pranzo mangiammo nella sua trattoria preferita, in un vicolo romantico e pieno di storia a Trestevere, un piatto di bucatini alla matriciana, quella vera, e ci bevemmo una bottiglia di un buon vino bianco fermo.
E dopo continuammo il nostro tour.
Una passeggiata con gelato a Villa Borghese, un giretto alla Fontana di Trevi per lanciare una monetina nell’acqua ed esprimere un desiderio e per finire un aperitivo bello tosto a Piazza di Spagna.
Per tutto il giorno mangiammo e bevemmo. Quindi altri due chili in più!
Non mi chiese mai niente di me.
Alla sera eravamo cotti e restammo un po’ fuori in terrazzo. Un vicino accese la musica ad tutto volume. Era una delle mie canzoni preferite di Battisti.
IN QUESTO MOMENTO TI CONSIGLIO DI ASCOLTARE LUCIO BATTISTI, CON IL NASTRO ROSA
Giulio si alzò e mi invitò a ballare.
Chissà chi sa chi sei, chissà che sarai
chissà che sarà di noi
lo scopriremo solo vivendo
comunque adesso ho un po’ paura
ora che quest’avventura sta
diventando una storia vera
spero tanto tu sia sincera
Ero sincera Giulio.
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