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Il Nastro Rosso

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Consegna prevista Giugno 2026
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Un regno intrappolato tra verità celate.
Una giovane guerriera solitaria e un mistero racchiuso tra gli alberi di una foresta preclusa al resto del mondo.
L’inizio di un amore maledetto e la lotta per impedirne l’ennesima, predestinata fine.

Perché ho scritto questo libro?

Quando a diciott’anni sono diventata madre, ho lasciato indietro una parte importante di me, convinta che non potesse coesistere con le responsabilità. Da poco ho iniziato a scrivere per gioco, per le mie figlie, e ho finito col ritrovarla e infine amarla. Le ho dato una voce che sarà mia priorità non lasciare più. Questo libro per me, è l’esplosione di quella mancanza, la dimostrazione che si può, che si deve, essere madri e bambine insieme.

ANTEPRIMA NON EDITATA

                                             

Prologo

Sta succedendo di nuovo.

Ogni briciola del mio essere si ribella a questa ennesima e tremenda conclusione, mentre vado incontro al terreno umido che mi riporterà di nuovo tra le braccia della Madre.

Poi lo vedo. Di una bellezza struggente e sempre pronto a starmi accanto, qualsiasi cosa succeda.

Ma sempre troppo tardi. Non so quale sia il fato peggiore, se il suo o il mio. Entrambi diciamo addio a questo mondo, ma in modi diversi, beffeggiati da una maledizione che porta un nome differente ogni volta, ma che ha sempre le sembianze di un angelo della morte ostinato a tenerci separati.

Ogni volta la speranza mi fa credere che sia diverso. E anche ora mi dico che forse, se ci avessi creduto di più, sarebbe cambiato qualcosa, ma mi prendo in giro. Non possiamo cambiare, noi siamo gli unici che non possono farlo, perché non possiamo non amarci. Solo lui avrebbe potuto spezzare le catene che ci legano a questa nostra fine sempre troppo prematura.

Esprimo un desiderio mentre lo guardo negli occhi. I suoi meravigliosi occhi tormentati e inondati di lacrime. L’ultima preghiera è sempre e solo per lui: che non soffra ancora per molto dopo che me ne sarò andata. Che lasci questo luogo al più presto, abbandonando dietro di sé le sue emozioni umane insieme al mio corpo. Lo esprimo nella mia mente, perché parlare mi riesce difficile, la fine è vicina.

Ma lui lo sente ugualmente, e scuote la testa come a volersi rifiutare di farlo, anche se sa bene di non potersi opporre. Rimarrà ancorato qui ancora per poco.

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Si aggrappa a me con le mani e con l’anima, ma sento solo quest’ultima, perché il mio corpo formicolante è quasi del tutto insensibile ormai.

-“Cosa posso fare?” Mi chiede con voce angosciata.

Tento di muovere la bocca per rassicurarlo, e una lacrima accompagna l’ultima speranza che mi resta. -“Cercami.”

Capitolo 1

È stato solo un sogno. È questo il pensiero su cui mi concentro non appena mi calmo a sufficienza da ristabilire un battito cardiaco quasi normale. Sempre lo stesso da quando ne ho memoria. Occhi dorati screziati da sfumature ocra, meravigliosi e spaventosi. Nel buio risuonano grida angosciate, e un senso di ansia mi spinge a correre sempre più veloce sotto una pioggia acida e costante che mi tormenta. La sensazione è quella di stare per perdere qualcosa di importante, vitale.

Ansimo appoggiando di nuovo la testa sul pavimento, il respiro affannato dai residui di tormento, e poi il nulla. Solo il buio della mia stanza e la sensazione di disagio dovuta alla poca familiarità con questo luogo, nel quale sono stata trascinata contro la mia volontà.

Cerco di pensare alla canzone che mi cantava sempre nonna Ellera, quella che da bambina, quando avevo un incubo, mi riportava subito al presente, tra le sue braccia, per poi prepararmi un sostanzioso piatto di spaghetti scacciasogni.

“Gli spaghetti nello stomaco sono l’unica certezza che le cose potrebbero andare peggio, ricordatelo in qualsiasi momento!”

Era davvero unica nel suo modo ottimistico di vedere la vita, se non addirittura stravagante. Chissà cosa avrebbe detto sapendomi ancora sopraffatta dai soliti incubi, a un passo dal Battesimo.

Non nego che sia una sorpresa sgradita anche per me constatare di soffrire ancora di incubi infantili a diciassette anni, a un soffio dall’età adulta. Così vicina a compiere il passo per cui mi ha preparata tutta la vita.

Come spesso mi capita in questo periodo, rivivo i momenti in cui mi raccontava di questo unico e irripetibile evento. Lei lo trovava commovente. Non che l’abbia mai ammesso apertamente, ma la sua espressione cambiava quando ne parlava. Essendo una dei membri anziani del corpo docenti, era suo compito accompagnare i giovani dell’accademia al Rito, e mi sembra alquanto comico che non possa presenziare proprio al mio. A noi studenti, stando a quanto mi raccontava, non è permesso, a meno che ovviamente non sia il tuo diciottesimo compleanno e quindi sia arrivato per te il momento di affrontare le acque rosse del Nastro, il nostro fiume benedetto dalla Madre. Solo quattro lunazioni.

Stringo in un pugno una ciocca di capelli, fermandomi quando sento la fitta che ne deriva. Non ho la più pallida idea di cosa aspettarmi, penso. Di norma, ogni ragazzo che si avvicina al diciottesimo compleanno riceve dei segni dalla Madre riguardo il proprio dono, dei piccoli accenni su quali saranno le sue capacità una volta compiuto il Rito. Ma poteva essere così facile per me? La risposta arriva per l’ennesima volta, accompagnata da una sbuffata rassegnata e dal solito senso di inadeguatezza. No di certo.

La gente da quando sono qui sussurra alle mie spalle che sia uno spreco, dati i miei natali. Come si sia sparsa la voce delle mie carenze rimane un mistero. Gli studenti non mancano di lanciarmi occhiate furtive, facendomi sentire sotto esame nonostante l’anno scolastico non sia ancora iniziato. E sebbene provi a restare indifferente, il contesto nuovo e il dovermi relazionare a breve con persone che vivono un’esistenza così diversa dalla mia, mi innervosiscono. Già sento scivolarmi sulla pelle l’armatura immaginaria che indosso sin da piccola e che mi fa apparire fredda e controllata, sapendo con sicurezza che saprà resistere anche a questa prova.   

Torno con la mente alla nonna e alle sue storie sul Rito, che risalgono a prima che io nascessi, quando ancora viveva e insegnava qui. Mi hanno sempre affascinata. Ma anche intimorita.

Mi chiedo perché la Madre non mi abbia ancora dato un segno. Mi chiedo se mai ne riceverò, mentre cerco di distrarmi dalla sensazione di disagio che pian piano scema.

Improvvisamente, un movimento cattura la mia attenzione, e le ultime note della melodia che riesce sempre a calmarmi, mi muoiono sulle labbra.

Ancora lui. Il corvo dalla piuma bianca, che ogni notte da quando sono arrivata ad Ambra viene a farmi visita. La nonna diceva che i corvi dalla piuma bianca si estinsero nel periodo posticipante una tragedia che colpì questa accademia. Che l’ultimo fu avvistato proprio qui da una giovane studentessa. Non ricordo bene la storia, ma pare che qualcuno morì durante lo svolgimento del Rito. Diceva anche che questo animale simboleggiasse il destino nell’antichità, e che avrebbe guidato chiunque lo avesse visto verso di esso. Leggende che al momento mi sembrerebbero superflue, se non per il fatto che un corvo con una piuma bianca sull’ala sinistra e un portamento austero e regale, si trova effettivamente sul davanzale della mia finestra, senza nulla a separare il suo gracchiare un po’ stridulo dal mio udito sensibile.

-“Ehi, piccolo, non mi sembri così estinto…”

Mi osserva con l’occhio acquoso e circospetto come ogni notte, e quando faccio per alzarmi, eccolo che spicca il volo e prende velocemente quota.

Non voglio perderlo questa volta, così mi fiondo alla finestra per vederlo sfrecciare al di là del ponte di mattoni rossi e subito nel fitto del bosco, dove la foschia la fa da padrona e dove lo vedo scomparire tra un battito d’ali e l’altro. E tanti cari saluti al mio destino.

A giudicare dal buio denso deduco sia ancora notte fonda. Mi rimangono tuttavia alcune ore preziose di sonno, prima dell’inizio dei corsi.

Da domani sarò ufficialmente una allieva dell’accademia. Codarda, rifletto sul fatto che i dieci giorni trascorsi qui non si siano rivelati sufficientemente utili per far sì che il mio primo giorno potesse essere piacevole. Avvicinarmi alle persone mi risulta difficile, quindi nessuna sorpresa constatare di non essermi fatta neanche un amico.

Zittisco il mio cervello prima di perdere totalmente il sonno, e a passo deciso mi corico di nuovo sul pavimento di pietra. Faccio scivolare una mano verso il basso, e con movimenti lenti placo i miei bisogni, insistenti in quest’ultimo anno. In seguito chiudo gli occhi con forza, lasciando che il sonno arretrato abbia la possibilità di rifarsi, e spero con tutta me stessa che possa servire l’indomani ad avere una mente lucida e pronta a tutto.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Valentina Fontana
Valentina Fontana (32 anni), è cresciuta a Milano, dove molto giovane ha avuto la fortuna di incontrare l’amore della sua vita. Stanca della città si è trasferita in Brianza nei pressi di un bosco insieme al marito e alle sue tre piccole muse, realizzando il sogno in comune di avere una fattoria. Ancora non totalmente soddisfatta, ha cercato l’avventura e una qualità di vita migliore trovandola finalmente in Spagna. Mamma a tempo pieno, vive un po’ isolata in una casa indipendente tra alberi da frutta e animali di ogni tipo. Quando le ragazze sono a scuola svolge una serie di lavori da casa rigorosamente legati all’arte, una delle sue tante, tante, tante passioni.
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