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La collezione “Egiptian moon”, che ha disegnato per il marchio inglese BondBy, le è appena stata pagata: Agata è al telefono con Londra, i clienti le stanno facendo i complimenti per la stampa dell’abito C349 e per aver interpretato con tutti i suoi bozzetti e cartamodelli lo spirito dell’estetica egizia, proprio come le avevano chiesto nel brief.
Per quella stampa 349, Agata ha usato l’illustrazione di un serpente che appare come un’ombra sui novantuno gradoni della piramide di Kukulcan, durante l’Equinozio di primavera.
Kukulcan è una piramide messicana, non egizia, ma Agata si diverte ad ingannare i clienti al telefono, mentre una signora che vuole scendere dall’autobus prima di lei la spintona vicino alla fermata.
Palermitana di nascita, ventinove anni, abita nella metropoli nordica da un paio di stagioni ma ancora sente il mare vicino, mentre trasfigura in abiti e disegni ogni suono di Milano, ogni down e up delle sue giornate.
Tutto quello che crea Agata è allegro: i suoi disegni sono sospesi tra il mondo di Tim Burton, arricchito di colori accesi e l’eleganza di alcune collezioni YSL e forse, per questa giocosa energia, le sue creazioni sono “sopra” quello che cercano i marchi di moda nel 2025.
Anche se le hanno messo in produzione tre sole collezioni, non consegna mai i bozzetti se non ha un contratto firmato.
Certo, lasciar scorrere dall’immaginazione al foglio schizzi, abiti e personaggi che affollano la sua mente senza che lei lo chieda è il centro della sua esistenza, ma nella sua eccentricità naive, ha imparato a farsi rispettare.
Sono le sei di sera, l’autobus è quasi arrivato alla palestra PulseGym dove lavora come receptionist, e mentre scende manda a sua madre un vocale; i lunghi capelli neri, con la frangia verde, coprono il suo iPhone mentre racconta del pagamento immediato degli inglesi alla consegna del lavoro!
Poi madre e figlia chiacchierano, come ogni giorno si raccontano di vecchie collezioni Yves Saint Laurent, ossessione che le accomuna nel quotidiano scambio al telefono, nel flusso allegro di parole che
rispetta una regola: mai parlare di uomini, o come sono solite dire, di “maschi”.
Agata passa spesso le notti con la matita sul foglio, preferisce la sua arte al rimbalzo godereccio dei corpi, anche se la gonna jeans corta, gli stivali che indossa e la maglietta aderente dei Kiss, su quel corpo disegnato da Milo Manara, destano interesse in molti maschi … (E in una passante che la segue con lo sguardo).
Ma la legge dell’attrazione per lei è perdente davanti alla necessità della “creazione”, infatti cammina stanca verso il lavoro perché nell’ultimo mese si è immersa in un’estenuante ricerca notturna di costumi e abiti Egizi per il progetto, alternando una serata di ricerca immagini ad una notte di disegno e caffè, per ventidue lunghi giorni di fila.
Certo, in un universo moda dove dilagano i noiosi trend della sostenibilità, della fluidità di genere, della woke culture, del dandy femminile e infatuazioni stagionali come il colore “giallo burro”, poter disegnare una collezione lavorando su un pianeta estetico come quello egizio, è stato vitale per Agata.
Arrivata al club, nota che le porte a vetri dell’ingresso sono meno pulite del solito, entra sorridente e saluta Grace, compagna di turni in reception.
Stranamente Grace non ricambia.
È immobile.
Agata pensa ad uno scherzo: chiama Grace per nome, ma non arriva nessuna risposta.
Passato il badge e superati i tornelli contapersone all’ingresso intravede un paio di clienti immobili a loro volta, hanno in mano i loro smartphone e osservano i device.
La cosa la turba e mentre va verso Grace in reception, il suo iPhone si spegne.
Prova a riaccenderlo, la batteria era al 57% ma non si accende…
Si avvicina alla collega, le muove un braccio, ma non c’è niente da fare perché Grace, e la sua bellezza pura, sono congelate in una staticità irreale e la voce di Agata non basta a svegliarla dallo stato di trance.
Paralizzata con gli occhi aperti, Grace non sente, non si muove e fissa la vetrata davanti alla reception senza dare segno di interazione con il mondo.
Nessuna.
Se qualche gas paralizzante fosse stato spruzzato proprio adesso?
E se la guerra commerciale dei dazi attivata da Trump avesse scatenato le gesta di qualche psicopatico innamorato dei gas killer?
I pensieri volano, la sua passione per i manga giapponesi la porta all’attentato con i gas nervini della metro di Tokio nel ’95, dove morirono molte persone, paralizzate prima e soffocate poi…
Non cede al panico, in fondo le sembra di essere finita davvero in un manga, sarà la sua attitudine a vedere il lato misterioso delle situazioni senza stress. Ripassa dal tornello ferma persone, striscia nuovamente il badge, arriva alla porta a vetri per uscire dal club.
Ma il sensore non va. La porta è chiusa dall’interno e quando prova ad aprirla, non si muove di un millimetro.
Visto da fuori il suo corpo, che si schiaccia contro il vetro della parete con tutta la forza che ha, sembra l’opera di un artista contemporaneo giapponese, Tazeo Imada ma Agata adesso ha scoperto di essere chiusa dentro, e quando i suoi stivali di pelle a punta rimbombano forte, battendo contro il vetro che non si scalfisce, avverte che qualcosa di davvero incomprensibile si sta attivando senza che le lo voglia, proprio lì alla PulseGym…
per i suoi 334. 000 follower.
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