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Lo psicologo e il clown

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Consegna prevista Luglio 2026
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Uno psicologo in crisi che fugge dalla monotonia della sua vita lavorativa e da un tradimento che ancora lo tormenta. Un bambino rom inseguito da degli agenti di polizia. Cosa unisce questi due mondi all’apparenza così distanti eppure così vicini? Due fughe che si intrecciano e che porteranno i due protagonisti a confrontarsi con le proprie paure, fragilità e insicurezze. Sullo sfondo un campo rom nella periferia di Firenze dove vive una popolazione ai margini, costretta a vivere di espedienti, tra furti, accattonaggio e arte circense. Sarà proprio il circo, infatti, la molla che innescherà il cambiamento, grazie anche alla complicità di un vecchio clown che deciderà di mettersi al servizio dei due protagonisti nella loro ricerca di una nuova identità. Cosa succederà alla fine? La maschera delle convenzioni sociali sarà più forte degli affetti e dei legami di amicizia, oppure, vincerà il clown, con la sua forza sbeffeggiante e irriverente?

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro perché volevo dare voce al “diverso da me”, a quella parte in ombra che ciascuno di noi si porta dentro e con la quale, prima o poi, ci tocca fare i conti. Volevo inoltre puntare il riflettore sugli ultimi, su coloro che solitamente vivono ai margini della società e che spesso vengono additati come “diversi”, “stranieri”. Infine, è un omaggio all’arte, al teatro. Attraverso la clownerie e l’arte circense l’essere umano trova un riscatto e getta un ponte tra sé e l’altro.

ANTEPRIMA NON EDITATA

L’ammazza-vampiri. Questo era il soprannome che mi avevano dato certi colleghi, invidiosi del via vai continuo che intasava il mio studio. D’altronde non potevo dar loro torto. Il rapporto che si era instaurato tra me e i miei pazienti col tempo era divenuto quello di certe storielle gotiche di fine ottocento, una sorta di amore non corrisposto, dove al male si confondeva il bene, al veleno la sua medicina. Gli incontri seguivano sempre una loro logica e una loro partitura meticolosa. Per cominciare, si sedevano là, sulla sedia, di fronte a me, con i loro visi pallidi, smorti, avidi di risposte, come vampiri a cui da tempo manchi la bevanda preziosa, l’elisir di lunga vita. Apparentemente, in quel momento, ero io il solo che poteva dar loro ciò che cercavano: ero io la loro carne tenera, il loro collo bianco, il loro nutrimento. Non che ci tenessi particolarmente a farmi azzannare. Solo un poco forse, giusto il tempo di fargli credere che ero pronto al sacrificio, ma per ritornare poi in fretta sui miei passi e sferrare il colpo letale. Se loro chiedevano compassione io gliela davo. Facevo finta di assecondarli per un po’, ma non appena il gioco si faceva serio, ecco che mi ritraevo, magari beffardamente, con un sorrisetto presuntuoso sulla faccia, come per dire: “Ah, ah, ti ho beccato!”. Allora cambiavano atteggiamento, smettevano di succhiare – o di vomitare a seconda dei casi – e si chiudevano a riccio, come se fossero stati colpiti da un paletto appuntito, proprio lì, dritto al cuore. Sentivano di essere stati presi in trappola. Dopo di che, seguiva una lunga conversazione, dove, al posto delle loro manie, paure e lamentele, cercavo di sostituire un po’ di sano realismo. Provavo a riportarli con i piedi per terra. Ovviamente non ci volevano stare. Allora ci riprovavo, li solleticavo, li stuzzicavo, facendo di nuovo finta di interessarmi a loro. Come facevano per riprendersi, ecco che sferravo di nuovo il colpo, questa volta assestato meglio, tra le carni. Se ne andavano via esattamente come erano arrivati, ancora carichi di domande, di aspettative, di sensi di colpa, ma con una consapevolezza in più: quella di non essere altro che dei comuni mortali e non dei vampiri. Ognuno con le proprie paure e le proprie debolezze, niente di più e niente di meno.  

Avevo cominciato la professione di strizzacervelli all’età di ventisette anni e da allora ne era passata di acqua sotto i ponti. In più di vent’anni di carriera ne avevo viste di tutti i colori. Uomini e donne frustrati, convinti di essere ciò che non erano, incapaci di svolgere le attività più banali, come fare una spesa al supermercato o portare il proprio figlioletto al parco, incollati ad una sedia che era diventata col tempo troppo bollente per non scottarsi il culo, ma pur sempre troppo comoda per non decidere di alzarsi. Nonostante questo, loro continuavano a piagnucolare e io a praticare. Come era possibile? Come era stato che dopo tutto questo tempo io non mi fossi già stancato di loro e loro di me? A dire il vero un paio di volte c’avevo pensato. Avrei voluto mollarli, lasciare il mio lavoro, comprarmi una barca con i soldi che avevo risparmiato da tutta una vita e partire per chissà dove. D’altronde avevo diritto anch’io a un po’ di sano e meritato riposo, no? Ne ero così convinto che già due volte avevo fatto le valigie e mi ero messo di fronte alla porta ad aspettare che anche mia moglie si decidesse a seguirmi. Lei, dal canto suo, mi guardava con un misto di pietà e rassegnazione, stanca di quel mio continuo alternare stati di gioia a momenti di prostrazione. Una volta addirittura, ero così stufo, che mi ero messo di fronte all’uscio, valigie alla mano, con le pantofole e il pigiama ancora addosso. Quando Luisa mi vide non poté trattenersi dal lasciare andare una fragorosa risata. Altre volte, invece, continuava a sorseggiare compiaciuta la sua tazza di tè, in attesa del colpo di scena, come fosse stata di fronte ad uno spettacolo di cabaret di cattivo gusto. Il fatto è che non riuscivo ad andarmene, non potevo lasciarli e lei, questo, lo sapeva bene.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Andrea Traversi
Mi chiamo Andrea Traversi e sono nato a Siena dove ho studiato e dove tutt’ora vivo. Dopo essermi specializzato in “Lingue Moderne e Studi interculturali” con una tesi di laurea sull’opera narrativa e drammaturgica di Samuel Beckett, ho dedicato gran parte della mia vita al teatro e al mestiere dell’attore, seguendo corsi di formazione e di ricerca teatrale sia a Siena che a Firenze. Come attore ho partecipato a tre cortometraggi e a diverse produzioni teatrali. Ciò che più mi interessa quando leggo, scrivo o penso a un soggetto teatrale è lo sguardo sull’altro, sulla sua diversità e complessità. Complessità che si fa storia e dunque prossimità, vicinanza. Attualmente insegno in una scuola superiore come docente di sostegno, cercando di trasmettere la mia passione per il sapere e di mettere in pratica ciò che ho appreso durante i miei lunghi anni di formazione.
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