Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

E la montagna sparì

Copia di 740x420 - 2025-12-09T124131.985
31%
138 copie
all´obiettivo
93
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Settembre 2026

Fabio deve fare i conti con la fine di una relazione amorosa e tutto quello che si ritrova tra le mani è tanto dolore ed un senso di vuoto. Le giornate passano tutte uguali, tra un ricordo pungente e qualche foto che non riesce a non guardare. Gli innamorati, si sa, amano scambiarsi foto di tramonti e bei panorami quando non sono fisicamente insieme per goderseli. Quel gesto di scattare una foto e condividerla diventa così automatico che quasi Fabio si dimentica che non ha più nessuno a cui mandarla, e realizzare ciò provoca così tanta rabbia da innescare un mutamento dentro di sé, che però questa volta non sarà la solita metafora del cambiamento interiore. Purtroppo le cose si stanno per complicare per Fabio e per il resto del mondo. Un cambiamento ci sarà, ed anche bello grosso…
Tra la ricerca di sé stessi e di un modo per superare uno dei dolori più antichi dell’essere umano, la comprensione di chi si è e cosa si è in grado di fare, questo romanzo inquieterà e stupirà.

Perché ho scritto questo libro?

Inizialmente il libro doveva essere un modo per esorcizzare il mio dolore per una relazione finita troppo presto. Mi sono trovato ad odiare l’abitudine di condividere una bella foto senza ricordarmi che quella persona a cui le mandavo non c’era più per me. Avrei preferito che quella bella montagna che stavo fotografando sovrappensiero sparisse del tutto, che non esistesse più, e… puff! La montagna sparì. Da qui i personaggi hanno assunto una propria personalità ed io mi sono limitato a seguirl

ANTEPRIMA NON EDITATA

Quando Fabio fece sparire la montagna, che si parava sullo sfondo davanti a lui, stava pensando un’altra volta a lei. Era ormai più di un mese che Valentina l’aveva lasciato, e ancora non capiva il perché. Non che non glielo avesse chiesto una cosa come centoquindici volte, ma ancora non gli si era impresso bene in mente. D’altronde era fatto così, lui. Se una cosa non gliela si spiegava dettagliatamente e precisamente, non era in grado di afferrarla con le mani della mente e appenderla all’ingresso della stanza dei suoi pensieri, come un monito che dicesse “le cose stanno così, fattene una ragione”. Ma secondo lui le cose non stavano ‘così’ perché questo ‘così’ lei non glielo aveva spiegato. Né dettagliatamente, né alla veloce o distrattamente. Semplicemente aveva deciso che con lui non voleva più starci e aveva preso le sue cose e si era diretta verso la porta di casa. O meglio, ci aveva accompagnato lui, visto che era casa sua. Da quel giorno Fabio faticava a dormire, faticava a uscire di casa e, cliché dei cliché, aveva perso l’appetito. Lui che si sbranava qualsiasi cosa ogni sera tornando a casa dal lavoro. E quando Fabio perdeva l’appetito allora c’era davvero qualcosa dentro di lui che non andava. Faticava persino a dare un senso alle giornate, perché un’altra volta, come già successo in passato, aveva concentrato tutto sé stesso, tutte le sue energie, in quella relazione. Era diventata, senza che lui se ne accorgesse, il centro della sua vita, se non la sua vita stessa, ed ora che gli era stata sottratta così bruscamente, non riusciva a capire come ricostruirsi la propria vita reale, come tornare a far parte del mondo vero. Perché, sapete, Fabio ha sempre immaginato le relazioni come una bolla, una sfera di un materiale simile alla plastica morbida, sottile ma isolante, che contenesse le due persone al suo interno. Quando conosceva qualcuno che gli piaceva, giorno dopo giorno Fabio tesseva intorno alla sua persona questo materiale isolante e comodo, forse per proteggere lei dal mondo esterno, forse per mettersi lui al centro di qualcosa di nuovo e bello, soltanto lui e la sua persona.

Continua a leggere

Continua a leggere

Dopo i primi tempi, sempre bellissimi e pieni di emozioni, passati dentro questa bolla Fabio tendeva a credere sempre più che il mondo reale fosse tutto la dentro, o peggio ancora, che era sempre stato quello il mondo reale e finalmente poteva farne parte, finalmente poteva respirare la vera aria pulita, quella dell’amore, quella che ti riempie i polmoni fino in fondo come il secondo tiro di sigaretta; il primo era quello che ti faceva stare male e tossire solitamente, dal secondo in poi il tuo corpo iniziava già ad abituarsi a quella nuova aria che immettevi dentro. Dentro quest’ultima bolla Fabio ci aveva messo davvero tante cose. A partire dall’equilibrio. Sì, si vantava addirittura con gli amici di quanto equilibrata fosse questa storia, che fosse quella giusta e finalmente equilibrata sotto ogni punto di vista. Non c’era un abuso di tempo, non si rubavano giornate a vicenda giusto perché bisognava stare insieme, ma se le regalavano perché volevano viversi. Sempre un pezzetto di più, si conoscevano giorno dopo giorno a una velocità che a lui sembrava quella giusta: né troppo lenta né troppo veloce. C’era poi la sessualità, che non aveva mai vissuto in un modo così libero e facile come con lei. Da quando era piccolo Fabio è sempre stato spaventato dal sesso, forse perché in famiglia non se n’era mai parlato troppo, o per chissà quale altro motivo Freudiano di cui era all’oscuro. Per lui il sesso era sempre stato un ostacolo che prima o poi si sarebbe presentato nella relazione piuttosto che un piacere da scoprire. E infatti le sue prime volte con diverse persone erano state dei mezzi fiaschi, ma una volta ingranato la marcia giusta trovava bene o male la strada, sempre però con un qualche freno a mano tirato. Con Valentina non aveva avuto freni di sorta, non se ne era imposti lui e non ci aveva neanche pensato. Riuscivano ad amalgamarsi perfettamente tra le lenzuola e la parte più bella di ogni rapporto sessuale con lei, per lui, era l’intrecciarsi delle loro mani oltre ai loro corpi. Per lui significava molto di più le mani di lei che stringevano le sue come a dire “non lasciarmi, restiamo qui per sempre” piuttosto che le gambe di lei che si avvinghiavano alla schiena di lui. Era fatto così Fabio, più romanticone che animale selvaggio. La loro bolla quindi si riempiva sempre di più di equilibri e amore e altre astrattezze che possono essere colte solo da chi le ha vissute. Iniziate a capire perché Fabio si trovava così bene dentro la sua bolla? Perché secondo lui il vero mondo stava là dentro? Fossimo nella sua mente vedremmo sfrecciare pensieri del tipo “Fuori di qua, nel mondo reale, cosa c’è di bello? cosa ci può essere di più bello oltre questo? Ho già tutto quello che mi serve qua dentro, fuori c’è così tanta sofferenza mentre io per una volta tanto sono felice.” Ma a prescindere dalla sanità o correttezza di questi pensieri (non siamo qui per giudicare Fabio su come affronta la vita e le sue storie) siamo arrivati al giorno in cui la bolla scoppia. O forse sarebbe meglio dire evapora, perché lo scoppio si porta dietro una deflagrazione, una reazione che si sente anche a chilometri di distanza, mentre invece qui non c’è stato niente del genere. Fosse stato così se ne sarebbe accorto, avrebbe colto qualche segnale dell’innesco che stava per accendere la bomba e sarebbe corso ai ripari. Invece la sua bolla è evaporata, silenziosamente, ma di colpo come uno scoppio. Niente segnali di avviso, niente rumori sospetti, o sarebbe il caso di dire umori sospetti. Senza troppe spiegazioni si è ritrovato alla porta di casa di Valentina con in mano la sua giacca e le sue ultime parole: “mi sono resa conto che una relazione non è quello che voglio dalla vita, voglio concentrarmi solo su me stessa e con te in mezzo non riesco a farlo. Voglio stare da sola.” Chissà quante volte avrete sentito parole del genere, e non immaginate quante volte Fabio ne ha dovute ascoltare di simili. Il problema non stava mai nell’ascoltarle ma nell’assimilarle e comprenderle. Il problema immediatamente successivo, forse il più grosso di tutta la faccenda, era l’ammettere che la sua bolla non era mai stata il mondo reale, ma solo un surrogato. E con che fatica l’aveva fatto in passato, e con che fatica doveva farlo di nuovo adesso. Tornare nel mondo reale è un po’ come uscire alla luce del sole dopo mesi di prigionia in qualche segreta sotterranea dove tutta la luce che vedi è quella della tua immaginazione. Gli occhi non sono più abituati neanche al più tenue barlume di un accendino, figuriamoci il dolore che si imprime nelle retine al primo sguardo al cielo limpido e fresco. È strano come una cosa così bella come i raggi del sole in una bella giornata estiva possano provocare dolore se non si è più abituati a vederli. Era assuefatto ormai dal sole artificiale che aveva costruito dentro la sua bolla. Giorno dopo giorno odiava ogni singola giornata di sole perché lui era triste e una bella giornata di sole non goduta era una giornata buttata. Lui odiava buttare le giornate, sapeva che il tempo era il dono più prezioso, ma in quel momento della sua vita non riusciva proprio a sfruttarlo. Si augurava ogni giorno che fuori della finestra la giornata sarebbe stata grigia e piovosa, così da fare pendant con il suo umore nero e burrascoso. Almeno avrebbe avuto una scusa per non vivere quelle ventiquattro ore, no? Avrebbe dato la colpa al tempo lasciandolo scivolare fino al giorno dopo. Un altro motivo importante per cui odiava le belle giornate, che ci porta al centro della nostra storia, era il fatto che quando viveva ancora dentro la bolla con Valentina, ogni volta che si trovava per strada coi propri amici, o magari sul tragitto casa lavoro, e vedeva un cielo particolarmente bello, striato da nuvole bianche come panna, con forme suggestive, scattava subito una foto per mandarla a lei, come a dirle “sto guardando il cielo, è molto bello e questo mi fa pensare a te”. E in risposta riceveva sempre una foto del cielo che vedeva lei in quel momento, come a dire “guarda, siamo sotto lo stesso cielo, ti penso anche io”. Quanti tramonti, quante lune, quante nuvole a forma di drago o macchina o creatura partorita dalla sua fantasia che si erano scambiati durante la permanenza nella loro bolla. Avrebbe potuto fare una mostra fotografica con tutte le volte che si erano detti in quel loro modo che si stavano pensando. Ecco perché faceva così male agli occhi guardare il cielo in tutte le sue forme e colori più belli. Più si presentava fotogenico, degno di un quadro, più faceva male agli occhi di Fabio. È per questo motivo che un giorno chiuse gli occhi mentre guidava per andare al lavoro e successe una catastrofe. No, non provocò nessun incidente stradale, anche se un qualche tipo di incidente si verificò. Forse si potrebbe classificare come cataclisma naturale, ma a memoria d’uomo non era mai successa una cosa del genere prima d’ora, almeno non che si sappia, e quindi non poteva essere veramente catalogato questo incidente. Stava percorrendo la solita strada dritta che lo porta a lavoro ogni giorno, con le solite montagne oltre l’orizzonte, così imponenti e così appuntite, quasi come la lama di un seghetto. Solitamente l’accoppiata di foschia e smog non le rendeva particolarmente visibili e ben definite. Sapevi che c’erano perché erano delle sagome scure indistinte sullo sfondo del tuo viaggio, ma difficilmente riconoscevi la neve bianca sulle cime o gli alberi verde scuro su tutta la spalla rocciosa. Quel giorno il cielo era così terso però, l’aria così limpida e leggera che aveva permesso a Fabio di vedere ogni singolo dettaglio delle montagne, seppur sempre lontane, ma erano come se qualcuno le avesse messe dietro a una lente che finalmente restituiva la vista a un miope. I colori erano tutti accesi, saturi, i contorni ben definiti come ricalcati da una matita dalla grafite dura. D’istinto Fabio prese il cellulare per fare una foto da mandare a Valentina. Era passato più di un mese e ogni tanto aveva ancora questi lapsus. Quando c’era qualcosa di veramente bello, che meritava di essere condiviso, automaticamente pensava a lei e senza accorgersene ripeteva i gesti di quando ancora stavano insieme. Come chi sta smettendo di fumare e sovrappensiero cerca sempre il pacchetto in tasca anche se sa che è vuota. Queste dimenticanze facevano male, erano la sofferenza vera e propria perché erano seguite dalla lucidità vera e propria. In quei momenti realizzava veramente che lei non c’era più, che non poteva più mandarle foto del cielo al tramonto o, come quella maledetta giornata, delle montagne così belle come mai le aveva viste. E allora di nuovo, un’altra volta, le lacrime affiorare brucianti, come fosse lava incandescente che scorre sul viso. Ecco di nuovo venire a galla l’odio per le belle giornate, perché che cosa erano a fare belle se non poteva condividerle con lei? Odiava il suo lavoro, che lo portava a percorrere quella strada e l’aveva portato a vedere quella montagna. Non era in sé, non ragionava, non capiva che qualsiasi cosa lo avrebbe portato a pensare a lei. Lui non se ne accorgeva ma avrebbe condiviso persino una carta di caramella gettata a terra. L’avrebbe vista con l’occhio di chi soffre, l’avrebbe attribuita a un qualche ricordo legato a lei, alla loro bolla, e avrebbe voluto condividerla con lei dando vita al solito processo automatico di sofferenza. Ma quel giorno purtroppo toccò alla montagna, l’incidente si verificò in dieci secondi, il tempo che lui strinse con forza gli occhi per non far traboccare altre lacrime incandescenti. Era furioso, era così triste, si sentiva straziato e strappato, da più di un mese conviveva con un vuoto all’altezza del petto, e veniva colmato solo da quelle lacrime salate e doloranti. Era stanco, era stufo, voleva che finisse tutto quel dolore, voleva che qualcuno lo estirpasse come si toglie una spina dalla mano che si è conficcata fino in profondità. Ma più di tutto odiava quella montagna. In quei dieci secondi di rabbia e odio e furore e tristezza e dolore in cui tenne gli occhi chiusi pensò a come sarebbe stata quella giornata se solo la montagna di fronte a lui fosse stata vaga come tutti gli altri giorni. Fosse stata nascosta dal solito velo di foschia non ci avrebbe badato più che in qualsiasi altro momento. Ma qualcuno quel giorno aveva deciso che lui doveva vederla stagliata chiaramente sulla sua strada, che avrebbe pensato a lei e avrebbe sofferto ancora. Si sentiva preso in giro. Desiderò con tutto sé stesso che quella montagna non esistesse più, che sparisse di colpo dalla sua strada, che non tornasse mai più a perseguitarlo. Sentì un sonoro pop come dentro la sua testa, come quando ti si stappano le orecchie per la pressione sott’acqua. Si sentì gli occhi risucchiare dentro la testa, come se qualche strano abitante del suo cranio avesse deciso che gli servivano e che se li potesse portare all’interno della sua casa. Questa sensazione durò un attimo, ma a Fabio parve protrarsi nel tempo per ore, come se fosse in un’altra dimensione. Di colpo come tutto era iniziato cessò. Riaprì gli occhi perché tamponare l’auto davanti era l’ultimo problema di cui aveva bisogno, e le lacrime avevano smesso di scorrere. Si sentiva un po’ più leggero, non bene, attenzione, perché Fabio stava bene solo con Valentina, ma si sentiva meglio. Ci mise ancora qualche secondo per capire che cosa stonasse però adesso nella strada che aveva di fronte. Avvertiva che c’era qualcosa fuori posto ma subito non riusciva a capire che cosa. Il traffico aveva iniziato a rallentare e dopo poco si ritrovò fermo imbottigliato in una lunga coda di macchine. Come tutti gli altri conducenti davanti e dietro di lui scese dall’auto, non capendo cosa stesse succedendo. Poi lo vide. La sua bocca si spalancò e non riuscì a respirare. Non poteva essere vero, doveva essere o impazzito o addormentato al volante e quindi era tutto un sogno. Ma continuava a sentire odori e rumori intorno a lui, quindi doveva essere sveglio. Vedeva il panico e l’incredulità negli occhi delle altre persone. La montagna era sparita.

2025-12-15

Aggiornamento

Grazie di cuore a Calogero Giuffrida di Comunicalo.it per il bellissimo articolo che ha scritto per “E la montagna sparì” https://comunicalo.it/2025/12/15/libri-e-la-montagna-spari-il-debutto-letterario-di-fabio-virzi-tra-dolore-metamorfosi-e-mistero/

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Brividi solo con l’anteprima, non vedo l’ora di leggerlo tutto!

Aggiungere un Commento

Condividi
Tweet
WhatsApp
Fabio Virzì
Fabio Virzì, classe 1995. Nasco a Rivoli in provincia di Torino e divento un operaio presso un'azienda aerospaziale, ma la passione che mi alimenta fin da quando ero un bambino mi porta in posti ben più lontani di quanto lo potranno mai fare gli aerei che produco a lavoro: la scrittura. Mi nutro di parole, sia lette che scritte, e da esse nasce il mio primo approccio alla scrittura, prima con i testi delle canzoni, per poi arrivare al mio primo romanzo "E la montagna sparì." Amo leggere e divorare interi romanzi di fantascienza e fantasy, evado dalla realtà grazie a ciò che leggo e scrivo, e altre volte invece è solo grazie a questi fiumi di parole che riesco a stare meglio in quell'uragano di avvenimenti che chiamiamo vita. Spero di riuscire a fare evadere o vivere un po' meglio chiunque vorrà leggermi, scegliete voi ciò che più vi serve.
Fabio Virzì on Facebook
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors