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Obscurus Caelestis – Mirea

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Consegna prevista Agosto 2026
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In seguito ad un incidente letale, Mirea si risveglia nell’oltretomba. Trasportata da una forza che non riesce a controllare, si ritrova a marciare insieme ad altre persone verso una banchina fatiscente sulla riva di un fiume nero.
Quando arriva al cospetto dei demoni incaricati di decidere le sorti delle anime marcianti, Mirea cerca di riprendere il controllo di sé, poiché sa quale destino l’aspetta.
Con l’aiuto di un’energia a lei estranea, Mirea si libera dal giogo che la trattiene, ma la fuga la porta all’incontro con Caronte.
Il traghettatore di anime, desideroso di visitare la terra, le propone una possibilità di salvezza dal suo destino, ma in cambio Mirea dovrà prendere il suo posto.
Isolata tra le ombre degli Inferi, Mirea fa la conoscenza di Morte, il cupo mietitore, che diventa la sua ancora di salvezza dalla solitudine e non solo.
Nel frattempo, Caronte vive la vita che ha sempre sognato sulla terra. Tuttavia, la sua mente torna a Mirea. Si incontreranno di nuovo?

Perché ho scritto questo libro?

Potrei dire che, essendo una lettrice accanita di libri fantasy, un giorno ho semplicemente voluto scrivere un mio libro.
Ma la verità è molto più complicata: io non ho mai trovato un posto “giusto”. Mi sono sentita sempre fuori luogo, come se questo mondo enorme non avesse spazio per me. Avevo sempre la costante sensazione di inciampare su orme lasciate lì per me, ma molto più grandi rispetto ai miei piedi.
E quindi ho deciso di crearmi il mio mondo. Un mondo fatto su misura per me.

ANTEPRIMA NON EDITATA

È dura accettare il fatto di essere morti.

Ora so perché stavo piangendo. Ero andata a casa del mio fidanzato per fargli una sorpresa, dato che il mio lavoro mi portava via tanto tempo e lui se ne lamentava sempre. Ero entrata con la mia copia delle chiavi e mi ero tolta le scarpe per non far scricchiolare le assi del parquet.

Ero così emozionata. Avevo aperto la porta della sua camera con un gran sorriso stampato in faccia, ma quello che avevo trovato me lo aveva spento immediatamente.

Essere tradita non è mai una bella cosa, ma trovarselo davanti è quasi distruttivo.

Mi ricordo perfettamente tutti i sentimenti che ho provato: il dolore, che sembrava quasi strapparmi il cuore dal petto, seguito da una ceca disperazione, e la voglia di andarmene il più lontano possibile da quella scena disgustosa.

È buffo. Ora che mi sono resa conto di essere morta, quel dolore che sembrava insormontabile mi sembra una sciocchezza.

Il resto non lo ricordo bene, ma a questo punto è palese: sono uscita e ho preso la macchina, correndo a tutta velocità nonostante il temporale. Devo aver preso un’altra auto, o è lei che ha preso me. E sono morta. Come si dice: “oltre al danno, anche la beffa”.

E adesso sono qui, con un corpo che ha le stesse capacità motorie di uno zombie in un film horror da quattro soldi e una mente che cerca di trovare un senso logico ad una cosa che non può essere spiegata.

I miei pensieri vengono interrotti da una figura scura e incappucciata che mi si avvicina lentamente. I miei occhi (l’unica parte del corpo che riesco a controllare) la scrutano, e forse tradiscono la mia paura.

La figura si fa ancora più vicina, fin quasi a toccarmi la fronte con il cappuccio. Sembra che non ci sia niente dentro. Emette un rantolo da chissà dove, e una folata gelida mi investe le guance. Poi si allontana, fluttuando a pochi centimetri dal terreno.

Presa com’ero dai miei pensieri, non mi ero accorta che ci siamo fermati vicino a quella che ha tutta l’aria di essere una banchina di un porto. Le sfere luminescenti si riflettono lievemente sulla buia superfice dell’acqua a pochi metri da me. Guardo in lontananza, ma data la scarsa illuminazione, non si capisce dove finisca l’acqua e inizi il cielo. Anzi, non sono neanche sicura che ci sia, un cielo.

L’unica cosa che si distingue nell’oscurità, è una barchetta di legno ormeggiata al molo: è piccola, forse rotta, e non ha neanche i remi. Ondeggia piano e costantemente, cullata dai pochi movimenti che increspano appena la superficie dell’acqua.

Poco dopo la fila ricomincia a muoversi, stavolta più lentamente, e noto che tutte le persone (compresa me) si mettono di fronte ad una piccola baracca che prima non avevo notato. Una figura identica a quella che mi si era avvicinata poco prima conduce una persona alla volta all’interno di quella piccolissima costruzione.

È il turno di un ragazzo, forse poco più grande di me, ma dal suo aspetto si capisce che non deve aver avuto una bella vita. Si infila all’interno della casetta e si gira verso la folla.

D’un tratto una luce divampa dalle assi del pavimento e lo avvolge totalmente. E lì, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, sento una voce. Se il mio corpo reagisse a qualcosa, ora sarebbe percorso dai brividi.

Il ragazzo piega la testa all’indietro, e i suoi occhi diventano bianchi e luminosi.

«Ho rubato per pagarmi la droga. Sono un tossico da quando ho sedici anni, e ho rapinato e ucciso poveri negozianti per procurarmi i soldi e farmi.»

La voce è spaventata, quasi come se fosse costretto a pronunciare quelle parole.

Finita la confessione, la luce si affievolisce fino a scomparire, e il ragazzo torna ad essere il solito corpo vuoto e immobile.

La figura incappucciata gli si avvicina e sussurra qualcosa. Il ragazzo si volta, lo guarda senza vederlo davvero, dopodiché si incammina e raggiunge la banchina vicino a me. E si tuffa.

Lancia un urlo agghiacciante, ma non riesco a vederlo. Lotto con tutta me stessa per far sì che il mio corpo si avvicini al bordo del molo, ma invano.

Lo vedo poco dopo galleggiare, trasportato verso il mare aperto. Il suo corpo ormai non c’è più: rimane solo una sagoma bianca e incorporea che viene trasportata chissà dove da una crudele marea.

Al posto degli occhi, due buchi neri. La bocca spalancata in un urlo ormai silenzioso.

Non ci vuole molto prima che sparisca nel buio di un orizzonte invisibile.

Il terrore mi afferra da dentro. Non voglio fare quella fine!

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Grazie ai ricordi che ho riacquistato, so bene che la mia vita è stato un susseguirsi di errori e cadute, che quasi sicuramente mi condurranno dentro quell’acqua torbida.

Tento di ribellarmi con tutte le mie forze, dentro di me urlo e tiro calci e pugni, ma per quanto ci provi, il mio corpo continua la lenta camminata verso il patibolo che ha l’aspetto di una casetta di legno, non più grande di una cabina telefonica.

Il tempo passa, scandito dalle persone che marciano verso il loro destino. Chissà se anche loro stanno provando quello che provo io, se stanno tentando di liberarsi da quella morsa invisibile.

Ormai siamo rimasti in pochi, forse una decina: tra poco sarà il mio turno del “giudizio”. Prima di me ci sono ancora un uomo e una donna.

È incredibile: non ho mai pensato a cosa ci fosse dopo la morte, ma quelle poche volte che mi soffermavo a rifletterci, di sicuro non immaginavo che saremmo stati smistati su un molo all’interno di una cabina di legno marcio.

O forse questo è il purgatorio, e ogni volta assume un aspetto diverso.

La donna prima di me viene accompagnata all’interno della cabina. La luce la avvolge e lei assume un’espressione serena.

«Ho fatto due lavori per vent’anni per mantenere le mie figlie. Ho avuto un marito a cui sono stata devota e che ho amato molto. Spero solo che le mie figlie e i miei nipoti non soffrano troppo per la mia scomparsa, che trovino la pace.»

La luce diventa più intensa e quando si spegne, la donna è scomparsa. Sono contenta per lei. Credo sia stata una donna con un gran cuore, non meritava di finire in mare.

È il momento. Le mie gambe mi conducono davanti alla baracca, e la figura incappucciata mi porta dentro. Ho così tanta paura.

La luce divampa intorno e dentro me, così intensa che posso quasi toccarla. La mia bocca inizia a parlare, anche se dentro non riesco più nemmeno a pensare.

«Ho studiato per diventare avvocato difensore. Volevo aiutare le persone in difficoltà, perché quando ero piccola anch’io avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse, ma non c’era nessuno per me.

Sono stata violentata da alcuni ragazzi ubriachi quando avevo dodici anni, e da allora sono caduta in depressione per due anni, così profonda da spingermi a bere e a drogarmi, fin quando non ho tentato il suicidio.»

E questo è tutto. La luce si spegne e il mio corpo torna in stato catatonico, ma dentro di me tremo.

La figura incappucciata mi fissa per qualche secondo, come se fosse indecisa sulla sentenza. Poi solleva un dito scheletrico, puntando l’acqua.

Vorrei piangere, ma non posso fare neanche questo. Il mio corpo si avvia verso la sua inevitabile e orrenda fine, mentre io guardo impotente.

Sono quasi arrivata sul bordo ormai, quando i miei occhi si posano sulla piccola imbarcazione attraccata lì.

Sali.”

Una voce diversa dalla mia si fa strada nella mia testa, e il mio corpo si ferma di colpo.

Sali sulla barca.”

La voce è imponente, fredda. Tremando, provo ad alzare una mano. Quando la vedo davanti ai miei occhi, sento la mia bocca allargarsi in un sorriso. Alzo anche l’altra e le strofino tra loro, poi me le passo sul viso. Tatto.

Sali sulla barca, prima che sia tardi.”

Per un attimo mi dimentico tutto: la morte, il posto orrendo in cui mi trovo, la sentenza che mi è stata data. Persino la voce nella mia testa.

L’unica cosa che conta è il controllo del mio corpo, che da troppo tempo non avevo più. Provo a fare due piccoli passi e poi a fermarmi. Sorrido.

Ma la mia gioia ha vita breve.

Mi volto e guardo la figura dietro di me, che quando capisce ciò che sta succedendo, emette un sibilo e mi vola incontro, con le mani ossute rivolte in avanti.

Sali sulla barca. ORA!

Senza pensarci due volte, inizio a correre sulla banchina. La figura mi ha quasi afferrata, posso avvertire il suo sibilo gelido dietro la mia schiena.

Faccio un salto e atterro a piedi pari sulla barca. Un alone nero avvolge tutto intorno a me.

La figura incappucciata viene sbalzata lontano, per poi scomparire in una nuvola di cenere.

Sento una forte energia fluire dentro di me, potente come un fiume in piena. Non ho mai provato una sensazione così. Sento di poter frantumare montagne, distruggere interi paesi solo con il tocco della mia mano.

L’oscura nebbia si dissolve in fretta così come è apparsa, e io mi guardo intorno spaesata: sono sulla barca ancora attraccata, ma le figure incappucciate non ci sono più. Mi affaccio dal bordo e mi specchio nell’acqua buia: i miei capelli si sono allungati di almeno venti centimetri, e un mantello nero mi avvolge tutto il corpo. A parte questo, sembro sempre la stessa.

Già, ma io non mi sento la stessa.

Per la prima volta da quando mi sono svegliata in questo luogo di morte, avverto un formicolio d’eccitazione lungo tutto il corpo.

«Ti piace?»

Faccio un salto all’indietro e per poco non cado dalla barca. Un uomo apparso dal nulla mi fissa e sorride, in piedi sulla banchina.

«Allora? Ti piace?»

Non rispondo. Lo guardo, terrorizzata all’idea che sia venuto per finire il lavoro delle figure incappucciate.

«Non temere, se avessi voluto farti del male, ti avrei fatto gettare in acqua dai Morenti, invece di spingerti a salire sulla barca.»

«Eri tu! Nella mia mente, intendo.»

La mia voce trema, ma non saprei dire se per paura o per l’adrenalina che ora mi scorre nelle vene.

«Finalmente una frase di senso compiuto. Finora ho sentito solo i tuoi ingarbugliati pensieri.»

L’uomo sale sulla barca e si siede, le gambe allungate sul bordo e le mani incrociate dietro la testa.

Ora che è così vicino posso osservarlo meglio: la sua pelle è stranamente cerulea ma scura, e come me ha capelli corvini che creano un contrasto chiaro-scuro. Sono legati in una coda di cavallo, e la barba è rasata perfettamente sulle guance e intorno alle labbra carnose.

Il suo fisico è asciutto e tonico, ma non esageratamente muscoloso.

Ma ciò che mi colpisce di più sono gli occhi: rossi fuoco, con piccole fiamme che danzano intorno alla pupilla nera. Ipnotizzanti, penetranti, profondi. Bellissimi.

 

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Gaia Raggi
Mi chiamo Gaia, ho 33 anni e vivo in una piccola cittadina chiamata Cave, in provincia di Roma.
Attualmente lavoro come segretaria per un’azienda, dove faccio assistenza clienti e tutto ciò che riguarda il back office.
Adoro cantare, prendo lezioni da un anno e faccio parte di una band. Adoro anche fare trekking boschivo: lì i miei pensieri trovano pace. Essendo una vera nerd, mi piacciono i film fantasy (il mio preferito è Il signore degli anelli) e “nerdare” sulle varie console. E, naturalmente, adoro scrivere e leggere.
All’età di 12 anni mi sono innamorata del mio primo libro fantasy, un amore che da quel giorno non è mai passato.
Ho divorato i fantasy più disparati, e più andavo avanti più sognavo una libreria sempre più grande, di quelle che si vedono solo nei film, desiderando di vivere un’avventura come quelle che leggevo pagina dopo pagina, parola dopo parola.
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