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Alle quattordici e quarantacinque di giovedì 10 gennaio 2008, Gian, un ingegnere elettronico di cinquantadue anni, CEO presso la sede italiana di una grande multinazionale, viene licenziato.
Sono bastate nove parole per cambiargli la vita. Adesso trascorre le sue giornate nell’ossessione di trovare un nuovo lavoro; tra e-mail senza risposta e colloqui inconcludenti, vicino al fallimento e alla depressione, troverà soprattutto in sua moglie, Valérie, e nei suoi figli la forza per rialzarsi.

INTRODUZIONE
Mi piace scrivere, mi è sempre piaciuto.
Fin dalle scuole medie, ho sempre adorato i compiti in classe di italiano, la prova consisteva nello
svolgere un tema su un argomento che ti dava il professore. E io potevo sbizzarrirmi, dando sfogo alla mia
fantasia. Finite le medie, ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono laureato in ingegneria elettronica.
Quindi, anche se adoravo l’italiano e in particolare
la storia, ho frequentato delle scuole dove le materie scientifiche erano preponderanti. Questo perché,
fin da ragazzino, sapevo di voler fare l’ingegnere e,
andando avanti in questo libro, si capirà perché. Pertanto, la mia passione per la scrittura, e soprattutto
per la lettura, l’ho coltivata a lato di quella che era la
mia vita quotidiana. Leggere, per me, è sempre stato
un piacere che mi concedevo e che tuttora mi concedo
appena ho un po’ di tempo libero.
Detto questo, non sono uno scrittore e, ovviamente, non mi reputo tale: non ne ho la tecnica, né la preparazione. Diciamo che sono un dilettante.Continua a leggere
Continua a leggere

Non so neanche se, quanto ho scritto nella sequenza di pagine che segue questa breve introduzione
si possa chiamare libro. Malgrado tutti gli sforzi che
ho fatto, sicuramente a causa dei miei limiti, tuttavia
non riesco a trovare un’altra parola per definirlo. Forse potrei usare racconto, ma associo a questa parola
qualcosa di fantasioso, di non reale. Mentre quello
che ho scritto è tutto fuorché fantasioso. È tutto vero,
assolutamente reale.
Potrei utilizzare il termine manoscritto ma anche
questa parola non va bene: se guardo la definizione
letterale, non l’ho certamente scritto a mano!
Per comodità e semplicità, o soprattutto per mancanza di alternative, lo chiameremo libro, anche se, lo
ripeto, non sono certamente uno scrittore.
E allora perché lo hai scritto, mi chiederete voi.
Domanda più che legittima, alla quale spero di rispondere in queste poche righe di presentazione al
resto del contenuto.
La prima ragione per la quale un giorno decisi di
mettermi a scrivere queste pagine la definirei quasi terapeutica. Ero in un periodo assai difficile della
mia vita. Avevo perso da mesi il mio lavoro, che avevo
sempre fatto con grande impegno e dedizione e che
mi aveva dato grandi soddisfazioni. Non avevo nessuna prospettiva reale di trovarne un altro e avevo la
sensazione che il mondo mi avesse completamente
dimenticato, voltandomi le spalle.
In certi momenti mi sentivo veramente disperato.
Quando decisi di descrivere quello che era successo
e quello che provavo, mi pervase subito un senso di
sollievo: mettere su un foglio bianco, o su uno schermo del computer, le mie sensazioni, le mie angosce,
le mie preoccupazioni, mi aiutò ad affrontarle meglio.
Descriverle e imprimerle su qualcosa, poterle rileggere quando volevo, mi è servito ad andare avanti e
a combattere la disperazione e lo sconforto che mi
prendeva in quei momenti.
La seconda ragione è che, come ho detto all’inizio,
mi è sempre piaciuto scrivere. Non pretendo assolutamente di farlo bene, come i grandi scrittori, anzi. Ma
mi aiuta a comprendermi meglio, e questo non è poco.
Mi renderebbe felice se la lettura di queste pagine riuscisse a far emergere che dietro ogni persona
si cela un’anima, un insieme di ricordi, di esperienze
positive e negative, di fatti successi, di incontri, di affetti, e che la miscela di tutte queste cose contribuisce
a creare e formare un individuo. Se la lettura di queste
pagine riuscisse a far capire che non si può mai giudicare un altro individuo solo basandosi su quello che
si vede o si sente in un dato momento, ma che dietro
ogni individuo c’è sempre un vissuto.
Se, in conclusione, quello che ho scritto facesse
capire che ogni persona è molto di più di quello che si
vede in una certa circostanza e, molto spesso, diversa
da quello che ci appare. Soprattutto, se aiutasse a capire che non si può incensare o condannare un essere umano solamente in base alla posizione lavorativa
che ha o in base all’auto con cui si sposta.
Ebbene, se questo avvenisse ne sarei veramente
felice.
Come ha detto qualcuno certamente più importante di me: “Il successo non è definitivo e l’insuccesso non è fatale. L’unica cosa che conta davvero è il
coraggio di continuare”.

“Non è mai una questione
della grandezza di una
nave che determina il suo
destino ma la capacità del
suo capitano a individuare
le mete lontane e arrivarci.
Buona regata…!”
A. Reza Arabnia

1 . GENNAIO 2008 .
NOTIZIA SHOCK
“Stefano, we decided to change the CEO of Italy.”
Bastarono queste semplici nove parole, pronunciate dal figlio del proprietario dell’azienda per la
quale lavoravo da cinque anni, per cambiare radicalmente la mia vita.
Erano le quattordici e quarantacinque di giovedì
10 gennaio 2008. Lui era arrivato con un volo privato
dalla Germania, sede centrale della società, per una
riunione che era stata programmata a fine dicembre.
Si trattava del classico incontro che si tiene periodicamente tra l’amministratore delegato, detto anche
CEO, e l’azionista, o proprietario come in questo caso.
Si discute dei risultati economici, dei piani di sviluppo, di azioni da implementare e di strategie.
Avevo partecipato a decine di riunioni di questo
tipo. Sono momenti assai importanti nella vita di ogni
azienda. È normale avere un minimo di inquietudine o di agitazione; sarebbe grave affrontarle con indifferenza o distacco. Invece, quel giorno, ero un po’
troppo agitato: l’istinto mi diceva che c’era qualcosa
di diverso nell’aria.
In effetti la riunione durò pochissimo, giusto il
tempo per consentire al mio interlocutore di pronunciare quelle poche parole che, tradotte in un italiano
sintetico ma efficace, vogliono dire: sei licenziato!
Quando si intraprende una carriera manageriale
si deve mettere in conto che un’eventualità di questo
tipo possa accadere. Più sei in alto e più è facile essere cacciato. Tutti lo sanno, io lo sapevo. Ma quando
mi dissero le famose nove parole, fu come ricevere un
pugno nello stomaco. Un pugno sferrato dal Tyson dei
tempi migliori.
Dopo quella frase introduttiva, il figlio del proprietario dell’azienda fece un discorso che io sentii
ma che compresi a tratti: l’impatto della frase iniziale
fu devastante, non ero di certo nelle migliori condizioni per sostenere una discussione di quel tipo, in
inglese per di più.
Ricordo che disse che avevano apprezzato enormemente il lavoro che avevo fatto (ma allora perché
mi vuoi mandare via?), che avevano un’altissima considerazione e stima di me (ma allora perché vuoi mettere un altro al mio posto?) ma che l’azienda (il quartier generale in Germania) aveva deciso di cambiare
la strategia in Italia e che io non ero il manager più
adatto per realizzarla in quanto si passava da un piano di sviluppo e di investimenti, che era quello portato avanti da me, a un altro molto più conservativo.
La strategia! Con questa parola che vuole dire
tutto e niente allo stesso tempo, si giustifica qualunque cosa, qualunque azione. Ho l’impressione che, nel
business, quando si è a corto di argomenti validi, ci
si rifugi nel porto sicuro della strategia: con quella si
spiega tutto, o per lo meno ci si prova.
Dopo qualche secondo di smarrimento, però, riuscii a riprendere il controllo della situazione.
«Avete già stabilito con chi sostituirmi?» chiesi
conoscendo perfettamente la risposta: se si decide di
cambiare l’amministratore delegato di un’azienda è
perché si sa già con chi sostituirlo.
«Certo, domani annunceremo a tutto lo staff la
tua partenza e presenteremo il nuovo amministratore
delegato. Sarebbe molto gradita anche la tua presenza
per poter trasmettere un messaggio positivo e di continuità a tutti i collaboratori.»
Malgrado il tremendo colpo, il mio primo pensiero fu, come sempre, per l’azienda e l’impatto nei
confronti del personale con cui lavoravo da cinque
anni. Così acconsentii alla richiesta del mio capo: «Va
bene. Inoltre ci sono alcune trattative con dei potenziali clienti che dovrei chiudere in questi giorni, alcune visite programmate da tempo. Ritengo abbastanza
importante che sia io a finire queste attività per non
allarmare il mercato».
«Sono d’accordo. Ovviamente tieni informato il
tuo successore.»
«Ovviamente…»
A quel punto, però, un leggero senso di nausea cominciò a farsi sentire.
«Credo sia meglio che io vada a casa. Ci vediamo
domani mattina» dissi.
«Okay, ci vediamo domani mattina» rispose.
Alle quindici e dieci di quel giovedì di gennaio del
2008 uscii dal mio ufficio per andare a casa e, mai
come in quel caso, andare a casa era l’espressione più
giusta e indicata.
Mi sentivo un groppo in gola, non riuscivo ancora
a realizzare quello che stava succedendo. Mi avvicinai
alla mia auto come un automa, trascinato dalla forza
dell’abitudine. Aprii la portiera e mi misi al volante.
Non è possibile, non è possibile… continuavo a ripetere dentro di me. Guidai fino a casa e ancora oggi mi
chiedo come sia potuto arrivare a destinazione senza
incidenti: non ho nessun ricordo di quel viaggio che,
seppur non troppo lungo, mi portò dentro Milano.
Arrivato a casa mi sedetti sul divano e accesi la televisione. Gli occhi guardavano il video senza vedere
le immagini, le mie orecchie non sentivano le parole.
Dentro la testa rimbombavano ancora le nove parole:
“Stefano, we decided to change the CEO in Italy”, sei
licenziato!
Sei licenziato! Sei licenziato!
Stava iniziando un incubo.
Verso le diciotto arrivò mia moglie insieme al piccolo Mathieu di quasi un anno, il nostro piccolo tesoro.
Tutti i giorni, uscendo dal lavoro, la mia chérie
passava dall’asilo nido a prendere il nostro cucciolo
e insieme tornavano a casa. Normalmente arrivavano
prima di me, credo non sia mai successo che io sia rientrato dal lavoro prima di loro.
Quel giorno, invece, io ero già a casa, seduto sul
divano a guardare la televisione. Questa è stata la
scena che si presentò a mia moglie quando entrò nel
nostro bell’appartamento in affitto vicino a San Siro.
Passato il primo attimo di stupore esclamò: «E tu
cosa ci fai a casa a quest’ora?».
«Oggi sono stato licenziato.»
«Licenziato? E perché?»
«Lo sai come sono le grandi aziende, le multinazionali. Vogliono risultati sempre migliori, e poi hanno deciso di cambiare strategia in Italia…» Sapevo benissimo di non essere stato molto convincente.
Per qualche minuto, che mi sembrò qualche ora,
mia moglie stette zitta, pensierosa. Ho sempre apprezzato in lei una rapidità incredibile nel capire le
cose, nell’afferrare immediatamente il significato di
una situazione. In questo caso, anche per lei fu necessario un po’ più di tempo per rendersi conto pienamente di ciò che voleva dire quello che avevo appena
annunciato.
Finalmente si decise a parlare: «Suppongo sia con
effetto immediato?» mi chiese.
«Praticamente sì. Devo chiudere un paio di trattative importanti, fare degli incontri con dei clienti
già pianificati e passare le consegne al mio successore che domani verrà presentato. Penso non più di due
o tre settimane. A fine gennaio sarò sicuramente a
casa» risposi.
«Ho capito. Un periodo di riposo ti farà bene dopo
tutto il lavoro di questi anni. Potrai stare vicino a Mathieu che comincia a camminare e pensare un po’ a te
stesso. Inoltre c’è un’altra cosa che devi considerare…»
«Che cosa?» chiesi con una certa apprensione.
«C’è che loro ti possono licenziare, ma io non ti licenzio, né adesso, né mai.»
Mi commossi, e subito pensai: Sono un uomo fortunato. Malgrado tutto, sono un uomo molto fortunato.

06 dicembre 2018

Aggiornamento

Intervista all'autore a "Vallestories": http://https://www.youtube.com/watch?v=qoYLr0s7iYs
05 ottobre 2018

Aggiornamento

Un caro saluto a tutti voi,
domani mattina, 6 ottobre, a Radio 105 sarò ospite della trasmissione Weekend 105 condotta da Dario Spada e Valeria Oliveri per presentare il mio libro "1690 passi".
La mia intervista è prevista dalle ore 10 alle ore 11.
Quindi sintonizzatevi su Radio 105!

Un abbraccio, Stefano
15 maggio 2018

Grazie!

Carissime sostenitrici e carissimi sostenitori,
innanzitutto vi ringrazio per aver contribuito alla realizzazione di questo mio sogno, ovvero di vedere pubblicato il mio libro.
Da Bookabook avete certamente appreso che in questo momento il libro è in fase di editing e stiamo lavorando per dare la veste definitiva al manoscritto.
Spero davvero che questa attività si concluda in tempi veloci, compatibilmente con la qualità che si vuole ottenere.
Nel frattempo sto cercando di raggiungere il nuovo obiettivo che Bookabook mi ha dato, ovvero le 350 prenotazioni entro metà luglio. Se anche questo obiettivo fosse raggiunto, Bookabook organizzerebbe una campagna di marketing e di pubblicità mirata al mio libro. Sarebbe davvero una bella cosa!
Pertanto vi chiedo, sperando di non farmi detestare troppo, di condividere "1690 passi" tra i vostri conoscenti e amici in modo da incrementare il numero dei sostenitori e tentare di arrivare al famigerato numero di 350.
Grazie ancora per il vostro meraviglioso supporto e un abbraccio ideale a tutti voi.
Stefano

Commenti

  1. G.B.

    (proprietario verificato)

    Stefano racconta bene e fa venire voglia di conoscere le persone che descrive.
    Ti chiedi per tutto il libro perchè “1690 passi” e alla fine scopri che c’entrano con la sua felicità….

  2. (proprietario verificato)

    Una storia vera, scritta di pancia e senza filtri su un grande problema dei nostri giorni: l’improvvisa disoccupazione in età avanzata. Quando pensi di non essere più utile al mondo rinasci, con un umiltà e dignità quasi introvabile ai nostri giorni. Una lettura veloce, scorrevole, adatta a tutti. Consigliatissimo! Grazie Stefano, una gran lezione di vita, ne farò tesoro.
    Donatella Polari

  3. (proprietario verificato)

    Bravo Stefano, davvero una bella iniziativa. Ci vuole coraggio ad aprirsi agli altri e raccontare con umiltà una storia come questa. Ma il coraggio, l’umiltà, la riscoperta dei valori semplici della vita sono cose di cui credo abbiamo oggi tutti un tremendo bisogno. Grazie per ricordarcelo con questo tuo libro a cui auguro di cuore tanta fortuna e che ho appena acquistato con gran piacere. Un abbraccio. Guido Moscheni

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Gianstefano Zunino
nasce nel 1956 a Rossiglione, nell’entroterra ligure, da una famiglia di contadini. Compie i suoi studi a Genova, dove si laurea in Ingegneria elettronica. Dopo alcuni anni trascorsi a lavorare in Inghilterra, torna in Italia dove continua la sua carriera in varie aziende e multinazionali. A quarant’anni è nominato Amministratore Delegato, ma appena può si ritira nella cascina dove è nato a fare il contadino, a contatto con la natura e gli animali. Dopo 1690 passi (bookabook, 2018) Bivio è il suo secondo romanzo.
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