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Bankabbestia

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Bankabbestia è la storia di una banca che frana e si trascina dietro una città. È la storia di risparmiatori che vedono polverizzati i risparmi di una vita in una sola notte. È la storia di bancari a cui viene tolta la dignità, vilipesi, additati come rapinatori e spergiuri dai familiari e amici più stretti, mentre attorno banchieri ladroni e controllori conniventi continuano a banchettare sui resti di un territorio devastato nelle sue fondamenta. È una storia di relazioni che si sfasciano e che rinascono sulle ceneri di Ferrara, la cui mortifera resilienza è l’unica garanzia di sopravvivenza alle calamità naturali e sociali. È la storia di uno squasso tellurico che distrugge la rete di protezione sociale del risparmio accantonato dai nonni per i nipoti, sempre più precari, sempre più incerti, sempre più soli. È la storia della gente di Ferrara, di Jesi, di Arezzo, di Chieti, di Vicenza, di Montebelluna, di Siena. Ma è anche una storia di colpi di scena, di audaci triangoli Ferrara-Roma-Bruxelles, di giardini segreti e inaccessibili, di sindacalisti riluttanti e avvocatesse singolari, di persone disperate, di persone che non si arrendono.

MARCO FERRARESI
(PROFESSIONAL RECUPERO
CREDITI IN BANCA PADANA)
Sapevamo di essere in vigilanza rafforzata.
Sapevamo di avere l’occhio degli ispettori puntato addosso.
Per la precisione, li avevamo letteralmente
in casa. Ma il nuovo direttore generale della Banca
Padana – un ragazzo ottimista, piacevole e politicamente corretto:
si sarebbe detto un progressista, a
sentirlo parlare – aveva passato le ultime due giornate
di lavoro a incontrare tutti i colleghi della rete
commerciale e quelli degli uffici centrali per rassicurarli
sul fatto che i conti erano sotto controllo; che,
anzi, la banca aveva chiuso con il risultato migliore
degli ultimi quattro anni; che gli organi di vigilanza
si erano mossi per una speciale e malevola “attenzione”
nei nostri confronti, meritevoli del medesimo
sarcasmo che molti genitori contemporanei riservano ai
professori dei loro figli: antiquati, bacchettoni
e stronzi – mentre, naturalmente, i propri figli sono,
al massimo, delle simpatiche canaglie.Continua a leggere
Continua a leggere

In due giorni aveva tenuto qualcosa come dodici incontri
con impiegati, quadri e dirigenti. Un vero
e proprio road show, punteggiato da una serie di slide
contenenti dati di bilancio e dichiarazioni rilasciate ai
giornali, nelle quali gli ispettori della Banca Centrale
venivano apostrofati come tromboni bolliti, con una
sorta di adolescenziale e leggiadra furia iconoclasta.
Aldilà della curiosità gossippara su come facesse a reggere
certi ritmi (le ipotesi giravano tutte attorno a sistemi
chimici per accumulare dopamina nelle sinapsi),
e delle perplessità mormorate a bassa voce sull’opportunità
di sfottere a mezzo stampa la Banca Centrale, in
quei due giorni il nuovo direttore generale sembrò
realizzare un piccolo capolavoro di comunicativa aziendale.
La gente si sentì mediamente sollevata, alcuni ebbero
addirittura un sussulto d’orgoglio, e il suo attivismo
ebbe l’indubbio effetto di rialzare il morale delle truppe
in maniche di camicia e tailleur. Poi c’erano alcuni tra
i più esperti, avvertiti o informati tra i colleghi (gente
troppo scafata o troppo vicina alla stanza dei bottoni
per bersela) che ridacchiavano a bassa voce di questo
ottimismo profuso a piene mani, facendo gli scongiuri
affinché la baldanza del capo non portasse troppo male.
Tuttavia, nessuno appariva veramente preoccupato.
Non più del solito, almeno.
Vero, la banca andava male da tempo. Vero, c’erano
crediti pari a metà del capitale – erogati per edificare
grandi lotti di villette, per costruire misteriose
navi, per ristrutturare grandi complessi alberghieri e
per sostenere la cementificazione postmoderna della
città – il cui rientro appariva avvolto nell’indetermina-
tezza. Ma, in fondo, erano appena tre anni che non si
pagavano premi di risultato, e il fatto di avere la Banca
Centrale in casa era considerata una sorta di garanzia
contro rovesci peggiori: i battibecchi tra direzione,
consiglio di amministrazione e ispettori erano vissuti,
quindi, come un corollario inevitabile del gioco di ruolo
– cattivi contro buoni, stronzi contro simpatiche canaglie.
Un popolo profondamente basso padano, come
quello dei miei colleghi e dei nostri clienti, abituato a
un immoto trascorrere del tempo caratterizzato dalla
totale mancanza di colpi di scena, si fidava del proprio
ancestrale sentimento d’indifferenza verso le cose del
mondo, convinto che, per assurdo, nemmeno un terremoto
avrebbe avuto la forza di sbriciolare la città,
figuriamoci quattro ispettori romani.
Durante il giorno, la guardia di un ferrarese è
alzata come quella di un pugile pigro che tenta di
difendersi con indolenza dagli innumerevoli colpi
dell’avversario: l’autovelox nascosto tra le volute di
foschia, il ciclista che ti taglia la strada – nonostante
una ciclabile naturale che perimetra la città, molti
ciclisti pretendono di dominare l’asfalto, strappandolo
alle auto con l’arroganza di uno yorkshire che
abbaia contro un pitbull –, l’ottuso funzionario del
comune, le chiamate ossessive dei gestori telefonici,
il tanfo minaccioso del petrolchimico nella conca, la
minaccia incombente del Moloch che lo contiene, il
tuo uomo che ti mente, la tua donna che ti tradisce
dentro uno degli infiniti giardini segreti, l’avvocato
che ti dice che la prossima udienza è fra un anno,
l’impiegata CUP (Centro Unico Prenotazioni) che
ti comunica che il primo buco per la visita è fra due
anni (col ticket), due giorni in libera professione e il
nuovo polo ospedaliero T-Rex con le indicazioni per
orientarsi nel megalabirinto ancora scritte a mano
su fogli formato A4.
L’abitudine è di stare in guardia. Il motivo è geografico,
territoriale, atmosferico: se sei nato nella città murata e
sei rimasto a vivere qui, diffidi e vuoi solo essere
lasciato in pace; vuoi fare le cose con i tuoi tempi, che
poi sono i tempi atavici di tuo nonno che aveva venti ettari
di terra, ma tu, che sei il nipote, non ce li hai più. Tu
lavori in una banca dove tuo nonno teneva i soldi, forse,
e quello che senti non è più la fortuna di lavorare lì, ma
la fatica di sopportare i vecchi o i bottegai del centro che
si lamentano delle condizioni economiche. Il bancario
ferrarese è un sicario del ladro, come gli ebraici iscarioti
cui veniamo accomunati dai clienti, involontari e coloriti
storiografi delle origini dei prestatori di denaro a
usura: a sì di làdar! Ma è un’imprecazione di prammatica,
rassegnata. In realtà i nostri clienti non se ne vanno.
Piangono, frignano, si lamentano, ma sono fedeli.
Il ferrarese è così indolente perché la sua città
un tempo era come New York – diciamo come il Greenwich Village
– ma parliamo di quattrocento anni fa.
Poi, l’ultimo signore, Alfonso, non lasciò figli legittimi
e il papa dell’epoca se la riprese senza torcere un capello a
nessuno, facendone un granaio molto lucroso
ma di periferia. Un feudo.
Una caratteristica del feudo, che lo distingue dalla signoria,
è il rapporto di vassallaggio, una relazione
personale di reciproca fedeltà tra suddito e padrone:
un rapporto privato, non pubblico come quello da cui,
per amore o per forza, deriva il potere della signoria.
Ed è proprio questo il tratto distintivo che sembra
inchiodato nell’anima degli abitanti. Nonostante tre
secoli di sfolgorante dominazione estense – una casata di
longobardi trasferitisi prima in Veneto e poi da
noi –, a segnare il temperamento del ferrarese sono
rimasti una pigra e furbesca indole postrinascimentale
all’accordo di servaggio privato e un’atavica abitudine
alla rendita di posizione che ti rende allergico ai ritmi
della produzione longobarda, per farti, invece, molto
più affine a un terrone; non certo nella rozza accezione
geografica di qualche razzista da due soldi, quanto
nel senso proprio di latifondista terriero o amico del
medesimo. Se sei un feudatario o un vassallo, troverai
i tuoi valvassori; se non lo sei, troverai il tuo vassallo e
se proprio non sei particolarmente ambizioso, diventerai un
valvassino. Quel che importa è non essere un
servo della gleba.
Quando cala nella conca la nebbia lugubre della
notte, la guardia si abbassa e l’atavica indolenza della
popolazione delle paludi prende il sopravvento. E
il sonno si fa immemore e greve, un “posar le poltre
membra”, a volergli conferire una dignità ariostesca.
Questa notte, invece, incredibilmente, l’aria è tersa
– una rarità, da queste parti. Una sera di maggio
che arriva dolce come una tarde spagnola, dopo un
giorno lungo e torpido. In primavera ti arrivano queste
ondate oleose di torpore, diverso da quello ovatta-
to che ti culla quando fa freddo. La natura chiama la
tua energia, vorrebbe iniettarti il suo languore e la sua
lussuria, ma il torpore ti avviluppa e ti svuota le gambe,
non sei ancora pronto, impigliato nelle reti letargiche di
un gelido, interminabile inverno. In certi rari
giorni del maggio ferrarese vorresti correre nudo in
faccia alla natura che ti chiama, ma il corpo, dilavato
dai mesi lividi e cinerei, è una terracotta sbiavda, e i
bioritmi hanno bisogno di qualche giorno per adattarsi. Il
sonno che arriva alla fine di queste giornate non
è meno delizioso di quello invernale: è più leggero,
come le coperte meno spesse che hai appena messo
sul letto, ma è gustoso e pieno di un languore speciale.
Tranne qualche cane randagio, siamo ormai tutti nel nostro
letto, nell’oblio della notte tiepida di un
quartiere, di una città, di una provincia che dorme.
All’improvviso, nel buio, si ode uno sbatacchiare ritmico.
Qualcosa che batte contro qualcos’altro, come
quando fuori infuria una tempesta di vento, ma questo
pandemonio è dentro la casa ed è forte, lungo, crescente.
A questo punto, un pugno sullo sterno mi informa che non
sto sognando e che il fracasso è diverso e
oscuro, una presenza aliena che squassa la casa. Diego è in
piedi sulla soglia di camera sua e urla, Alice è
schizzata dal letto e sta correndo verso di lui. Io scappo
dallo stesso letto e grido per casa: «Adesso finisce adesso
finisce adesso finisce». Più che un pronostico è un
ordine, e, infatti, quello finisce mentre io grido ancora
per coprire il baccano d’inferno della terra.
Ognuno ha avuto il suo boato personale quella
notte. Il nostro è stato quello delle ante scorrevoli
dell’armadio che venivano sbattute avanti e indietro
dentro la loro guida da una bestia senza nome nascosta dietro i vestiti.
Dopo, naturalmente, non abbiamo più dormito.
Abbiamo guardato Facebook tutti insieme davanti
allo stesso PC. È stata l’unica volta in cui un social
network mi ha fatto sentire meno solo: di solito accade
l’esatto contrario. Le persone hanno iniziato a
postare le foto di alcuni edifici dopo la scossa,
soprattutto di chiese. Scorrendole, la sensazione di pericolo
scampato si è lentamente trasformata in sgomento; al
primo chiarore dell’alba abbiamo realizzato che era
successo qualcosa di grosso. Noi eravamo stati fortunati,
ma eravamo ufficialmente fragili come mosche,
in balìa di un mostro del sottosuolo, capace, dopo
quattrocento anni di sonno, di risucchiarci a migliaia,
con uno sbadiglio, dentro le sue fauci spaventose.
Da quella notte abbiamo iniziato a perlustrare con
lo sguardo i muri, a esaminare le fessure nel tentativo
di capire se erano nuove o se non le avevamo mai notate,
a percepire rumori e vibrazioni, vere o presunte,
senza più chiudere occhio. Se non sei morto sotto le
macerie della tua fabbrica o se non sei rimasto senza
tetto come i miei colleghi di Mirandola e Finale (i
più fortunati dei quali hanno passato la notte dentro
la tenda montata a fianco della loro casa crepata, con
la terra che tremava sotto i loro piedi), hai la fortuna
di assaggiare comodamente il sapore peculiare del
terremoto: una catastrofe dal retrogusto persistente,
che ti fa stare all’erta come una sentinella disarmata,
ventiquattr’ore su ventiquattro.

18 novembre 2018

Evento

Argenta (FE) Bankabbestia all'interno dell'esposizione Own Now, dipinti di Paolo Pallara Bankabbestia Own Now
14 dicembre 2018

Evento

Ferrara Factory Grisù In occasione di "Autori a corte 2018" Nicola Cavallini ha presentato Bankabbestia. Autori a corte 2018 Bankabbestia.
12 novembre 2018

La Nuova Ferrara

Su La Nuova Ferrara il resoconto della presentazione presso la Feltrinelli di Ferrara con Patrizio Bianchi, Assessore Regione ER, professore universitario, ex rettore Unife.
21 ottobre 2018

Radio Fly Arezzo

Il video dell'intervista in occasione della presentazione di Bankabbestia presso l'Edison Bookstore di Arezzo, domenica 21 ottobre.  
20 ottobre 2018

Radio Sound Codigoro

A questo link il podcast dell'intervista a Radio Sound Codigoro.
01 ottobre 2018

Aggiornamento

Nella classifica dei più venduti a IBS Libraccio Ferrara Bankabbestia è al secondo posto classifica dei più venduti a IBS Libraccio Ferrara
28 settembre 2018

Evento

Ecco le foto e un articolo della presentazione presso la libreria IBS Libraccio di Ferrara. presentazione presso la libreria IBS Libraccio di Ferrarapresentazione presso la libreria IBS Libraccio di Ferrara autore                   articolo presentazione IBS Libraccio di Ferrara
16 settembre 2018

Il Resto del Carlino Ferrara

Una recensione del libro Bankabbestia è uscita sul giornale Il Resto del Carlino di Ferrara: il resto del carlino una recensione del libro Bankabbestia
28 settembre 2018

Evento

Venerdì 28 settembre, Ferrara, libreria IBS Libraccio Presentazione del libro Bankabbestia presentazione del libro Bankabbestia
20 luglio 2018

Ferraraitalia

Sul quotidiano online Ferraraitalia.it è uscita una recensione in anteprima di Bankabbestia, romanzo di Nicola Cavallini.

Commenti

  1. saraossi0

    (proprietario verificato)

    Ho vissuto in prima persona il terremoto (quello vero) dell’Emilia, e ho vissuto dall’interno il terremoto finanziario, politico, mediatico che ha investito la banca della mia città, flagellando nel profondo, ma soprattutto nel portafoglio, amici, parenti, colleghi, conoscenti. E ho vissuto sulla mia pelle lo sconquasso psicologico che questo terremoto ha lasciato nelle coscienze di ciascuno. Nessuno escluso.
    Tante volte ci siamo detti: ‘Dovremmo scrivere un libro, per raccontare l’assurdità di ciò che è capitato.’
    Nicola l’ha fatto e, per l’ironia e la diplomazia che lo contraddistinguono, sono convinta che alla fine della lettura questo libro mi avrà stappato un sorriso, un ricordo, uno spunto di riflessione, mi avrà fatto imprecare, mi avrà forse lasciato un po’ di amaro in bocca e magari mi avrà anche fatto scendere qualche lacrima.
    Ecco perché non vedo l’ora di leggerlo.

  2. (proprietario verificato)

    Ho vissuto e sto vivendo il lutto di questa città, le sensazioni provate nel leggere l’anteprima sono esattamente le stesse che ormai accompagnano ogni nostra giornata da troppo tempo….non vedo l’ora di poter leggere il resto.

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Nicola Cavallini
Nicola Cavallini, avvocato, bancario e sindacalista, è nato e vive a
Ferrara. Dopo La testa tra le mani (2006) e L’energia del padre (2011),
"Bankabbestia" è il suo terzo romanzo.
Nicola Cavallini on Facebook
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