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Diario di un condannato a morte

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“Cara Lisa, mancano solo dieci giorni.
Sai già che hanno ucciso il mio vicino, Elmer, cinque giorni fa.
Ora mi hanno spostato nella sua cella: quando uccidono una persona, ci spostano tutti di una cella, fino ad arrivare alla numero uno.
È una cella sfortunata: pochi ne escono vivi!”

Diario di un condannato a morte racconta gli ultimi otto anni di vita di William Van Poyck, detenuto nel braccio della morte della Florida, tra il 17 aprile 2005 e il 12 giugno 2013, giorno della sua esecuzione tramite iniezione letale. Il libro, partendo dalle lettere che William ha inviato alla sorella Lisa, mette a nudo tanti episodi di vita nel braccio della morte, portando alla luce maltrattamenti, condizioni estreme, privazioni di diritti e abusi di potere difficilmente immaginabili per un lettore “libero”. Le considerazioni di William non sono mai banali e ci conducono in un mondo parallelo e nascosto dove i detenuti, alle prese con la costante paura di morire, sono costretti a trovare un senso alla loro vita “a tempo determinato”.

 

La recensione di Ilenia Zodiaco

“Diario di un condannato a morte” è la raccolta della corrispondenza – selezionata, tradotta e curata da Alessandro Piana –  tra l’americano William Van Poyk, colpevole di omicidio e condannato alla pena capitale, e la sorella, Lisa. Nove anni di lettere dal braccio della morte – un microcosmo alienante e crudele – al mondo esterno.

Il tema non è nuovo: la natura troppo arbitraria della pena di morte in America, nonché le condizioni disumane in cui sono tenuti i prigionieri, sono questioni etiche ampiamente dibattute. Eppure questo non ci impedisce di rimanere colpiti dall’intensità e dall’autenticità della voce che si fa sentire in queste lettere.

Le parole di William ci sfidano in prima istanza a livello intellettuale e morale: ci spingono a interrogarci su che tipo di giustizia possiamo ottenere perpetuando la violenza; sul paradosso dell’imperativo “uccidere per punire chi uccide” e infine ci fa mettere in discussione l’efficacia stessa della prigionia. Le lettere di William, tuttavia, agiscono a un livello più profondo. Infatti non possiamo dimenticarci che quest’uomo non è semplicemente un personaggio di finzione, ma una persona realmente esistita. Ce lo ricorda continuamente nei suoi messaggi alla sorella, portando alla luce il suo quotidiano, scandito da attività monotone ai nostri occhi, ma che per un condannato a morte assumono tutt’altro senso.

Trascorriamo molto tempo con William, un uomo che non nega le sue colpe, ma allo stesso tempo non ha ceduto alla rassegnazione. Infatti presta il suo aiuto legale agli altri detenuti nel braccio della morte, legge, medita, e soprattutto scrive. Scrive tantissimo. Per lasciare un segno, per farsi compagnia, per dare significato e dignità alla sua vita, per mantenere vivo il legame con ciò che resta della sua famiglia. E benché le sue lettere non l’abbiano salvato dalla pena di morte, non sono state vane. Una lettura consigliata a chi è capace di capire che dietro un prigioniero c’è sempre un essere umano in cui identificarsi.

 

 

WILLIAM VAN POYCK

William “Bill” Van Poyck nasce il 18 settembre 1954 a Miami (Florida) e trascorre i primi anni della sua esistenza come tutti i bambini di quell’età, giocando all’aperto ed esplorando i luoghi circostanti. A fine 1956 sua madre Phyllis, infermiera, viene trovata morta per avvelenamento da monossido di carbonio nell’abitazione di una vicina, anch’essa deceduta.

A causa delle difficoltà familiari dovute alla morte della madre, a undici anni viene mandato alla Youth Hall, un centro educativo; l’anno successivo viene poi trasferito alla Kendall House, un altro centro educativo gestito da suore. Due anni dopo viene nuovamente spostato per problemi caratteriali nella famigerata scuola per ragazzi di Okeechobee, in Florida, diventata tristemente famosa nel corso degli anni per numerose storie di stupro, tortura e omicidio.

Nel gennaio del 1972, all’età di diciassette anni, William viene condannato all’ergastolo per una rapina a mano armata in cui nessuno è rimasto ferito. Trascorre i successivi quindici anni in varie prigioni del sistema carcerario della Florida, studiando legge e diventando noto all’interno del circuito criminale per l’aiuto legale fornito agli altri detenuti.

Dopo quindici anni di detenzione, William viene rilasciato per buona condotta.

In seguito a una promessa fatta al compagno di cella James O’Brien durante il periodo di detenzione, William Van Poyck progetta il piano per la sua fuga dal carcere.Il 24 giugno 1987, durante il trasporto di James O’Brien verso una clinica esterna, Van Poyck e un complice, Frank Valdes, aggrediscono le due guardie all’interno del furgone, assalendole e sparando tre colpi contro una di loro, Fred Griffis, che muore all’istante.Van Poyck e Valdes cercano di scappare con una Cadillac, dando origine a un inseguimento della polizia. Dopo qualche minuto, Valdes perde il controllo del mezzo e sbatte contro un albero. I due vengono arrestati sul posto e all’interno della loro automobile vengono trovate quattro pistole, incluso il revolver di proprietà della vittima.

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Nel 1988 William Van Poyck viene condannato a morte per l’omicidio di Fred Griffis. William sostiene che il colpo mortale sia stato sparato dal complice; nel corso degli anni, il fatto che William non sia l’effettivo assassino viene ammesso e riconosciuto dalla Corte. Anche Wanda Valdes, moglie di Frank, in una dichiarazione giurata rilasciata agli avvocati di William, affermerà che fu suo marito a uccidere Fred Griffis.

Nel 1999 un gruppo di guardie della Prigione di Stato della Florida aggredisce e uccide Frank Valdes nella sua cella. Nel corso della successiva indagine, in cui non sono stati trovati colpevoli, William viene trasferito temporaneamente nel braccio della morte in Virginia per la sua incolumità.

In Virginia William comincia a scrivere e pubblica due romanzi (Il terzo pilastro della Sapienza e Quietus) e la sua autobiografia, A Checkered Past, che ha vinto il primo premio all’International Book Awards Digest 2004 dedicato agli scrittori autopubblicati. Negli anni successivi William pubblica diversi racconti brevi, per i quali vince alcuni premi letterari.

Durante gli anni di prigionia nel braccio della morte, William intrattiene una fitta corrispondenza con la sorella Lisa: quelle lettere sono state dapprima raccolte da quest’ultima nel blog Death Row Diary e ora tradotte, rivisitate e riunite in questo libro.

La condanna a morte di William viene eseguita il 12 giugno 2013.

2005

17 APRILE 2005

Cara Lisa,

qui, in questo “paradiso artificiale” chiamato Prigione di Stato della Virginia, ho appena finito di piluccare la mia cena composta da spaghetti scotti, carote bollite, pane e succo di mela, e sono disteso sulla mia cuccetta a osservare i raggi del sole che entrano dalla stretta feritoia orizzontale della mia cella scivolando inesorabilmente lungo il muro. Anni fa ero solito segnare i raggi sulla parete con una penna per catturare l’inesorabile arco delle stagioni, fino a quando anche questa attività si è trasformata in un altro, inutile, promemoria della mia vita che scorre. Sono passati quasi diciotto anni da quando sono stato arrestato e più di sedici anni da quando sono stato condannato a morte: chi ha bisogno di tenere traccia di tutto questo?

In ogni caso mi sto rilassando e sto godendo della relativa solitudine (ovvero nessuno che urla, sbatte, tira calci alla porta o allaga la propria cella). Cerco di capire come trascorrere il resto della mia serata. Leggere? Scrivere? Portare avanti i miei procedimenti legali? TV? Radio? Pulire la cella? Meditare? Allenarsi? Guardare il muro?

Una ridotta gamma di scelte, non credi? Be’, bisogna arrangiarsi con quello che si ha!

Alcuni detenuti qui spendono tutto il loro tempo libero a guardare i cartoni animati e le soap opera. Se vivi chiuso in una scatola abbastanza a lungo e ti immergi in questa routine forzata, la blanda e monotona quotidianità può distruggerti, cancellando i ricordi di cosa significa essere liberi, fino a quando il tuo unico obiettivo diventa quello di arrivare alla fine della giornata. Ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno la tua mente cercherà di convincerti che la scatola in cui abiti è tutto ciò che conta e tutto ciò che c’è, fino a quando, se la lasci fare, comincerai a credere che sia effettivamente vero. Ci vuole impegno per andare oltre questa esistenza vuota e priva di significato: più di quanto molti detenuti riescano a fare…

Comunque, come vedi, ho deciso di scriverti.

Qui nel braccio della morte c’è un sottile clima di malinconia: cinque o sei dei ventitré detenuti hanno esaurito le loro opzioni legali, il che significa che la loro vita sta per concludersi a breve, essendo le loro esecuzioni imminenti e inevitabili. Qui in Virginia prendono molto sul serio il fatto di uccidere la gente: il processo di esecuzione è una macchina ben oliata che macina senza sosta e a grande velocità, senza voltarsi indietro.

Altri Stati, invece, hanno garanzie procedurali di base che permettono ai detenuti di sollevare obiezioni per utilizzare prove di recente scoperta, come per esempio la prova del DNA. La Florida, per esempio, guida la nazione per numero di esecuzioni sospese, la maggior parte delle quali avviene dopo dieci o quindici anni trascorsi nel braccio della morte.

In Virginia, invece, le sentenze vengono eseguite molto prima che qualsiasi nuova prova venga scoperta (sarei già morto almeno tre volte se il mio caso fosse di competenza della Virginia!). Qui la macchina della morte va avanti indisturbata, senza un singhiozzo. A differenza della Florida e della maggior parte degli altri Stati in cui vige la pena di morte, in Virginia pochissimi detenuti sopravvivono oltre i cinque anni, e praticamente nessuno ha mai ottenuto una sospensione dell’esecuzione o qualsiasi tipo di provvedimento una volta che la condanna a morte è stata firmata e decisa.

Sono qui da cinque anni e mezzo e, a eccezione di tre persone, sono sopravvissuto a tutti quelli che erano qui quando sono arrivato. Nei miei primi dodici mesi hanno ucciso quattordici detenuti, tra cui due ragazzi che erano minorenni quando hanno commesso i loro crimini. Ognuno di loro è stato incatenato e spinto fuori di fronte a me (tutte le celle qui guardano verso l’interno in una zona comune aperta), per essere condotti verso la “casa della morte”, a Greensville1

Bene, la prossima settimana inizia il draft dell’NFL e spero che i Dolphins facciano delle scelte sagge. Sto dando al nuovo allenatore, Nick Saban, il beneficio del dubbio. Il mio istinto mi dice che lui sarà esattamente ciò di cui i Dolphins hanno bisogno.

Okay, per ora è tutto da questa piccola parte di mondo. Abbraccia i cani da parte mia!

A presto,

Bill

1 Il Greensville correctional center è un luogo di detenzione situato presso la piccola cittadina di Jarrat, in Virginia, all’interno del quale è presente la camera di esecuzione.. Il processo di esecuzione qui è molto efficiente e collaudato!

21 APRILE 2005

Cara Lisa,

sono appena tornato dal “cortile” (un termine improprio, in quanto la nostra ricreazione esterna consiste nell’essere messi in una serie di “gabbie recintate” all’aperto, grandi più o meno come le nostre celle) e sono di buon umore. Il tempo era bellissimo: quasi ventuno gradi! Ho gettato il pane alla banda di piccoli passeri che sembrano sempre essere lì ad attendermi: sono convinto che mi conoscano di vista e che sappiano che sto per nutrirli. Ci sono anche tre o quattro grandi corvi che si fanno vedere ogni tanto; quando compaiono, i passeri sono costretti ad andarsene! I corvi sono troppo grossi e violenti per loro…

Ho passato le due ore di cortile parlando con Bill, il mio vicino: è un ex colonnello dell’esercito americano. Il suo caso è molto insolito e intrigante; raramente dico questo di persone che incontro nel braccio della morte, e certamente non lo dico con leggerezza, ma sono abbastanza sicuro che Bill sia totalmente innocente. Qualsiasi persona che esamini obiettivamente il suo caso arriverebbe ad avere il mio stesso pensiero. È molto fortunato in quanto ora è rappresentato da un prestigioso studio legale di Seattle, chiamato Preston Gates and Ellis, dove il “Gates” è Bill Gates Senior, il padre di quel Bill Gates. Se Bill avesse avuto avvocati di qualità al suo processo, non sarebbe nemmeno arrivato qui nel braccio; spero solo che non sia troppo tardi per lui.

Ora mi sto rilassando, in attesa che arrivi il nostro vassoio della cena: ho sentito che stasera si mangia hot dog, finalmente!

È interessante vedere quanto un paio d’ore di cortile possano rendermi felice. Certo, non ci vuole molto per rallegrarmi da quando sono chiuso qui dentro; la vita si riduce ai piaceri più semplici, siano essi una giornata di sole, la brezza fresca, un uccello che cinguetta o i pini che ondeggiano in lontananza. Dopotutto, a parte il fatto che lo Stato sia fortemente determinato a uccidermi, non ho molte altre preoccupazioni: nessuna rata del mutuo da pagare, nessuna difficoltà ad arrivare a fine mese, nessuna ora di coda nel traffico, nessuna lamentela per il lavoro o per il capo. Quindi, in fin dei conti, tutto è bilanciato. Qui, come ovunque, c’è un certo equilibrio da trovare e mantenere.

Pensavo di essere abbastanza informato su questo tipo di cose, ma sono rimasto sorpreso nel leggere di un incidente avvenuto nel 1958: un B-47 ha accidentalmente lasciato cadere una bomba atomica in un campo rurale in South Carolina. Una parte di questa bomba di quattro tonnellate è esplosa, ferendo una famiglia, distruggendo la loro casa di campagna e gran parte degli edifici circostanti. Per fortuna, però, il nucleo centrale della bomba è rimasto sull’aereo. La bomba è caduta mentre un membro dell’equipaggio stava allentando una cinghia e ha accidentalmente colpito il pulsante per lo sblocco di emergenza. Questo episodio curioso serve solo per dimostrare che non importa quante precauzioni si prendano, l’errore umano può sempre cambiare l’esito di ogni cosa. Anche se, in primo luogo, verrebbe da chiedersi perché stessero tenendo legate delle bombe nucleari con delle semplici cinghie…

Il mondo intero ha saputo subito dell’incidente e i russi hanno prontamente sottolineato che, se ci fosse stata una vera esplosione atomica, probabilmente ci sarebbe stata una rappresaglia degli Stati Uniti contro l’URSS, perché noi americani avremmo senza dubbio creduto di essere stati attaccati da loro (considera che eravamo in piena Guerra Fredda, per cui non c’è nulla di cui stupirsi!). Ci pensi? Un olocausto nucleare causato, in ultima analisi, dall’aver allentato la cinghia sbagliata? Folle!

Scusami, non volevo annoiarti! Chiudo qui e ti invio la lettera. Dimenticavo, ho ricevuto le foto che mi avete inviato, tra cui quelle della tartaruga Toby! La casa sembra molto bella!

Con affetto,

Bill

PS: Hai mai guardato Extreme Makeover Home Edition? Lo mandano in onda su ABC ogni domenica sera; si tratta di un programma in cui un’impresa di costruzioni trova una famiglia molto meritevole e bisognosa e costruisce loro una casa nuova in sette giorni. È davvero il programma più bello in TV, e ti sfido a guardare un’intera puntata senza piangere! Fammi sapere se lo guardi!

30 APRILE 2005

Cara Lisa,

è sabato mattina presto: ho appena finito di fare colazione (un panino con uova e un po’ di gelatina) e mi sto preparando a una lunga giornata di lavoro legale.

A questo proposito, ieri ho finito di leggere le centotrentanove pagine della recente decisione della Corte Suprema della Virginia di sostenere la condanna a morte di John Allen Muhammad, conosciuto come il “cecchino di Washington D.C.”, che risiede nella cella numero uno. Forse ricorderai che anche il suo complice minorenne, Lee Boyd Malvo (colui che ha effettivamente premuto il grilletto, almeno nell’omicidio per cui sono stati dichiarati colpevoli) è stato condannato, ma “solo” all’ergastolo. Questi due individui hanno commesso in totale sedici sparatorie e dieci omicidi, ma il processo capitale riguarda solo un particolare omicidio.

C’è una vecchia massima che dice: “I casi peggiori rendono peggiore la legge”; nel contesto delle Corti d’appello significa che in casi particolarmente eclatanti o efferati vi è un impulso, spesso irresistibile, a piegare le regole e cambiare la legge e i fatti in modo da ottenere il risultato desiderato. Questo comporta diversi problemi, dato il sistema giudiziario americano: oltre alla disonestà intellettuale, infatti, quando una Corte trova un’altra interpretazione alla legge, le conseguenze ricadono su molti altri casi.

La decisione d’appello su Muhammad è un riflesso di questa massima: la legge dello Stato della Virginia afferma esplicitamente che, al fine di ricevere una condanna a morte, è necessario essere il vero assassino. Per esempio, io non dovrei nemmeno essere nel braccio della morte, se il mio crimine fosse avvenuto in Virginia. In questo caso, comunque, Muhammad non era il vero assassino. Ma, visto che questo è un caso di alto profilo (e certamente era stato ampiamente premeditato) era prevedibile che la Corte Suprema della Virginia avrebbe finito per trovare qualsiasi cavillo legale e/o interpretazione semantica necessaria per sostenere questa condanna a morte. È esattamente quello che hanno fatto. La Corte ha infatti dichiarato che “la legge, in realtà, non significa quello che sembra voler dire: ovvero, una persona può essere il vero assassino senza essere il vero assassino”.

La misura in cui la Corte ha fatto di tutto per adattare le definizioni della legge ai fatti particolari di questo caso sarebbe comica, se le conseguenze non fossero così tragiche e gravi; tra l’altro, tre dei sette giudici della Corte Suprema, che è politicamente molto conservatrice, hanno dissentito. Ora che la Corte ha “aperto le porte”, allargando la definizione della legge su ciò che costituisce un “vero assassino” fino a comprendere quelli che in realtà non hanno ucciso, lo Stato della Virginia cercherà di adottare la pena di morte in molti altri casi i cui imputati finora erano chiaramente non ammissibili per una condanna capitale.

Non so se hai seguito la recente ondata di rapimenti e omicidi di bambini in Florida (bambine rapite, violentate e uccise da pedofili già condannati che vivevano nel vicinato). È una vecchia storia. Se c’è una cosa che ho imparato dai miei trentacinque anni (e oltre) tra carcere e riformatorio, è che i pedofili non cambiano mai. Queste persone sono letteralmente “tarate” in modo diverso. Un ladro può svegliarsi un giorno e decidere di cambiare, di trasformare la sua vita. Un pedofilo non può farlo. Al giorno d’oggi la maggior parte delle persone sta cominciando a riconoscerlo, ma non riesco a capire il motivo per cui sia passato così tanto tempo e perché i tribunali e i legislatori siano stati così riluttanti ad affrontare questo argomento.

Lo sai, sono stato condannato al carcere a vita quando avevo diciassette anni per una rapina in cui nessuno è rimasto ferito. Mi è bastato restare in prigione per poco tempo per imparare quello che tutti i detenuti sanno intuitivamente: i molestatori di bambini ottengono ogni concessione disponibile e sono regolarmente condannati a libertà vigilata o periodi molto brevi di detenzione. Come la maggior parte delle persone, detesto i pedofili e nei primi anni di prigione mi ha molto amareggiato quello che ho percepito come un modello diffuso di clemenza accordata a tutti i molestatori di bambini. Mentre stavo scontando i miei primi cinque, sei, otto, dieci anni, ho visto alcuni pedofili entrare, uscire, rientrare, uscire di nuovo, più e più volte. Ogni volta ottenevano un trattamento gentile dai procuratori, giudici e funzionari della prigione. Questo fatto è sempre stato così evidente e diffuso che mi è venuto il sospetto che ci sia una lobby segreta di pedofili all’interno del sistema di giustizia penale. Sembra pazzesco, ma non riesco a spiegare altrimenti quello di cui sono stato personalmente testimone anno dopo anno. Ti svelerò il messaggio che io e tutti gli altri detenuti abbiamo capito, forte e chiaro: i cittadini della Florida (che parlano attraverso i legislatori e i giudici) curano molto di più il denaro e la proprietà rispetto ai loro figli. Se in Florida compi una rapina, ottieni l’ergastolo (o novantanove anni, un’altra delle condanne preferite qui), ma se invece violenti i bambini, va tutto bene.

Non riesco a esprimere tutta l’amarezza che provo leggendo queste notizie. Lasciare liberi i pedofili è un insulto alla decenza. Poi il pubblico esprime stupore e shock quando uno dei ragazzi abusati cresce e inizia a sparare alle persone…

Mi fermo qui. Sono stato fin troppo cupo e me ne scuso.

Mantieni la testa alta e sorridi sempre, almeno tu!

Con affetto,

Bill

11 MAGGIO 2005

Cara Lisa,

credo di poter annunciare in tutta sicurezza che la primavera è finalmente arrivata anche qui! Poche centinaia di metri al di là del recinto c’è un albero esile e molto alto; ogni inverno, da un giorno all’altro, perde improvvisamente tutte le sue foglie e il risultato è un insieme di rami diradati e morenti. Ha davvero un aspetto dimesso e ogni volta penso che stia per arrivare la sua ora. Poi, arrivata la primavera, fiorisce di punto in bianco: un giorno sono fuori nel cortile e l’albero è nudo, il giorno successivo è verde e folto. Va avanti così da più di cinque anni e ogni volta che quest’albero fiorisce si tratta, per me, di una riaffermazione della bellezza della vita…

A proposito del cortile: non ci sto andando da un po’, perché siamo stati chiusi in cella per una settimana. Il direttore ha bloccato l’intero carcere per la “settimana in onore dei dipendenti”, in modo che tutti potessero partecipare a una serie di feste e pic-nic. Sono anni che le guardie non ottengono un aumento, quindi credo che questo sia un tentativo da parte sua di compensare questa mancanza…

L’altro giorno una donna di nome Piper Rountree è stata condannata al carcere a vita, con l’ammissibilità della libertà vigilata tra quindici anni, in seguito alla condanna di omicidio di primo grado per aver sparato al marito nel cortile di casa. Piper è originaria del Texas, ed era divorziata dal marito che invece viveva qui in Virginia. Per un motivo ancora non chiaro, Piper, con una parrucca e una carta d’identità falsa, è arrivata in Virginia, ha aspettato in agguato e ha ucciso l’ex marito nel vialetto di casa sua. Poi è tornata in Texas, lasciando dietro di sé una lunga lista di prove. Al di là di come sia andata, quello che voglio far notare è che questo è un omicidio a sangue freddo, calcolato e premeditato. Eppure lei riceve una condanna a vita e potrà beneficiare della libertà vigilata tra quindici anni! Nel frattempo, persone che hanno commesso omicidi molto meno gravi di questo (o che non ne hanno commesso alcuno, come nel mio caso) sono invece nel braccio della morte.

Il caso di Piper illustra in maniera chiara la natura arbitraria della pena di morte in America. Il fatto che un assassino riceva una condanna a morte è davvero una questione di fortuna, di geografia e/o di chi sia il procuratore di Stato, piuttosto che delle circostanze del reato. In ogni grande prigione degli Stati Uniti ci sono detenuti “liberi” (ovvero non nel braccio della morte) colpevoli di reati molto più orrendi di quelli commessi da alcuni dei miei compagni. Conosco la storia di un giovane ragazzo in Florida che ha ucciso cinque persone a sangue freddo e non è nel braccio; un altro tizio qui in Virginia ha ucciso sei persone e non è nemmeno stato condannato all’ergastolo. Quando si fa parte del sistema, come lo sono io da molti anni, si fa presto a cogliere le incongruenze e si vede quanto la scelta di chi condannare a morte sia del tutto arbitraria. Chi pensa che giustizia sia stata fatta sta prendendo in giro se stesso. La si può chiamare in molti modi, ma “giustizia” non è uno di questi.

È mezzanotte passata e qui hanno spento le luci. Devo chiudere in fretta. Scusami tanto…

Con affetto,

Bill

10 ottobre 2018

Il Dubbio

In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte Il Dubbio pubblica alcune delle lettere più toccanti contenute in Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana. Il Dubbio pubblica alcune delle lettere più toccanti contenute in Diario di un condannato a morte
10 ottobre 2018

Trimestrale Amnesty International

Sul trimestrale di Amnesty International la segnalazione di Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana che ha ottenuto il patrocinio Amnesty.   Amnesty International Diario di un condannato a morte
29 settembre 2018

DirittiUmani.it

Sul blog DirittiUmani.it Ezio Savasta recensisce il libro Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana.
02 luglio 2018

Scaffali da riscrivere

Sul blog Scaffali da riscrivere la recensione di Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana.
27 giugno 2018

L’Espresso

Sul blog online Libertà civili de L'Espresso Patrizio Gonnella, presidente della Coalizione italiana per i diritti e le libertà civili nonchè dell'associazione Antigone, recensisce Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana.  
11 giugno 2018

Scuola filosofica

Su Scuolafilosofica.it la recensione del volume di Alessandro Piana Diario di un condannato a morte.  
31 maggio 2018

Presentazione “Diario di un condannato a morte”

Le segnalazioni su Il Giorno e TuttoMilano in occasione della presentazione di Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana.   Il Giorno e TuttoMilano in occasione della presentazione di Diario di un condannato a morte Il Giorno e TuttoMilano presentazione di Diario di un condannato a morte
11 maggio 2018

Mondo Fox

Su Mondo Fox la giornalista Elisa Giudici segnala Diario di un condannato a morte di Alessandro Piana tra i libri da non perdere di maggio 2018.

10 libri (e qualche fumetto) da non perdere a maggio 2018

21 aprile 2018

Presentazione

Sabato 21 aprile alle ore 21.00 Diario di un condannato a morte verrà presentato per la prima volta presso la Libreria Torriani, Via Antonio Brusa 8, a Canzo (CO). Vi aspettiamo numerosi!    

Commenti

  1. * DIARIO DI UN CONDANNATO A MORTE è un libro importante, perché anche se in Italia la pena di morte non c’è, è certamente diffusa la voglia che questa venga introdotta. Una conquista non è mai per sempre, va difesa. E poi naturalmente ci sono quei Paesi dove la pena di morte c’è, e questo libro può essere certamente tradotto (se non lo è già), e circolare.
    * DIARIO DUCAM è un libro interessante, perché non siamo abituati a pensare che un condannato a morte pensa, scrive, commenta la politica del suo Paese, studia Giurisprudenza, è addirittura ottimista . . . insomma è un Uomo !
    * DIARIO DUCAM è una denuncia della “fabbrica per uccidere”.
    Leggetelo !

  2. Alessandro Piana

    Amnesty International concede il patrocinio all’opera ”Diario di un condannato a morte” perché pone il tema della pena di morte con una operazione appassionata e partecipe, mostrandone la disumanità e l’impossibilità di una applicazione giusta.

  3. Alessandro Piana

    Mercoledì 11 Ottobre, “Diario di un condannato a morte” verrà presentato presso Ostello Bello, via Medici 4 a Milano, alle ore 19.30! Non mancate!

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Alessandro Piana
Alessandro Piana è nato nei dintorni di Milano nel 1989. Laureato in Ingegneria Gestionale, fa il programmatore di professione e lo scrittore per passione. Diario di un condannato a morte, una storia vera, rappresenta il suo esordio letterario .
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