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Fuori piove

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Umberto Angeli, archivista della buona borghesia bolognese, ha ucciso un insospettabile usuraio, liberando dalla morsa dei debiti molte persone. Reo confesso, ha pagato la sua pena scontando vent’anni di carcere. Ma il destino a volte può essere beffardo: dopo la scarcerazione e il ritorno in una Bologna ormai stanca e invecchiata, nella vita di Angeli si affacciano vecchi fantasmi e grandi misteri. Niente è scontato né assodato. Le cose non sono quelle che sembrano.

La storia di un’indagine interiore. Un carosello di ricordi e personaggi in cerca di perdono, un viaggio noir attraverso la memoria del protagonista.

PRIMA PARTE

1.

“Naturalmente li omini boni desiderano sapere.” (Leonardo da Vinci)

Per i più è solo polvere. Noncuranza. Solitudine. Confusione. Disinteresse. Silenzio. Potrei andare avanti all’infinito, affilando le parole, e cercare di radunare in unico puzzle gli sguardi e i pensieri di tutti coloro che sono passati da qui. Ne uscirebbe un quadro dalle forme contorte, assurde, eppure generose. Se non addirittura compiaciute. Perché io sono così: ora che tutto è passato, vivo senza pensieri. Libero di giorno. Leggero di notte. Svuotato. Narcisisticamente consapevole che in ogni caso ho fatto la cosa migliore.

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Così anche la polvere: la guardo con ammirazione per la sua capacità di aggregazione naturale. Si accumula per legge fisica e con il tempo assume un contorno diverso sui dischi e sui libri che ho lasciato sulla scrivania più di vent’anni fa. Rivederli ancora oggi, immobili ma vivi come allora, mi dà il gusto della memoria. Ecco. Ci sono: vorrei che la polvere fosse uno strato della mia vita. Se ne può andare con un colpo di panno, oppure incollarsi alla pelle per fermare il tempo.

Ho scelto la seconda possibilità: quella del ricordo. È la più intima forma di presente. Peccato che sia ormai alterata dagli anni. Ma questa è la mia strada per l’immortalità.

Quando sono tornato a Bologna, qui nel mio appartamento all’ultimo piano di via Marsala 45, la prima cosa che ho fatto è stata spalancare le finestre della cucina e controllare se l’acqua uscisse ancora dai rubinetti. Avevo la gola secca per l’ubriacatura di ricominciare a dare luce agli occhi. Che spettacolo i nostri tetti rossastri, fatti con quei coppi forti e irregolari che difendono la civiltà dalla barbarie del cemento.

Vent’anni… erano vent’anni che non accarezzavo l’infinito. Ho sempre pensato che era una fortuna vivere quassù, in alto, lontano e vicino allo stesso tempo dalla città e dalla confusione della gente, nelle quali mi piaceva confondermi.

Non avere un’identità riconoscibile e riconosciuta è stata sempre la mia àncora di salvezza, anche in carcere, dove resta vivo soltanto il tempo dell’orologio scandito dai cambi turno, il pranzo, la conta e l’ora d’aria. È un tempo tanto definito quanto irreale. Implacabile. Imperturbabile. Lì il tempo non pensa a te e tu non pensi al tempo, ma solo al mondo del fare quotidiano. Per sopravvivere a te stesso e agli altri.

Ogni volta che guardavo oltre le sbarre, pensavo a chi avevo lasciato e dimenticato. A chi avevo abbracciato l’ultima volta, prima di suonare alla caserma dei carabinieri di Porta Lame.

Ho sempre pensato che la mia detenzione fosse una forma di solitudine ricercata, marcata e scandita dagli eventi. Se non mi fossi costituito, nessuno sarebbe arrivato a me. Nemmeno il più abile degli investigatori. Di Umberto Angeli non c’era traccia. Se non nel marcatempo dell’Archivio di Stato, sezione Ricerca araldica, dove ho lavorato per trent’anni.

Suonano alla porta.

«Sì… sì… Arrivo!»

«Dottor Angeli… Bentornato a casa. Quando ho sentito aprire gli scuri ho subito pensato a lei. Mi scusi, non volevo…»

Mario Marchesi, uomo di musica che da sempre divide con me il pianerottolo, non era per niente imbarazzato. Anzi. Credo aspettasse un momento del genere da un pezzo, forse da quando i giornali tor-narono a parlare di me, annunciando la scarcerazione e riportando alla luce quel 10 gennaio del 1989.

«Prego, si accomodi. Non faccia caso alla confusione, ma sa come sono andate le cose. Se le va…» gli indicai la vecchia poltrona in cuoio e gli feci cenno di sedersi.

Accettò, accarezzando dolcemente la polvere per farsi un po’ di spazio.

«Dica, Marchesi, come se la passa?»

Mi guardava con un’attenzione densa di aspettative, come quella che si riserva al direttore d’orchestra pochi attimi prima dell’ouverture.

Non riusciva a distogliere gli occhi dalle mie mani, che giocherellavano con il bordo calcareo del bicchiere.

«Ha sete? Gradisce un po’ d’acqua?»

«Grazie. Sì. Del rubinetto va bene. Lo sa… è migliorata. Forse usano meno cloro. Oppure è merito del depuratore che abbiamo montato pochi mesi fa dopo una riunione di condominio infuocata.»

Marchesi seguì ogni mio movimento. Quando gli porsi il bicchiere lui mi strinse la mano con forza.

«Quello che è successo è successo. Ma mi tolga una curiosità: per-ché è tornato qui? Non ha timore che la gente…»

«Senta, Marchesi, io non ho nulla da rimproverarmi. Ho ucciso. Ho pagato. Sto bene. Mi conceda quest’onda di cinica franchezza: non poteva che andare così. Se le persone continueranno a ricordarmi per ciò che ho fatto, pazienza. L’importante è che io non sia pentito di aver tolto di mezzo quell’uomo. Non mi prenda per un pazzo san-guinario, sa molto bene che uno della mia indole non sarebbe mai arrivato a quel punto se non fosse stato necessario. Ma le assicuro che quando l’ho ammazzato ho avuto la stessa identica sensazione di quando tolsi la carta da parati dal soggiorno. Ricorda? Era grigia e appiccicosa, piena di umidità. Uno schifo. Be’, quella mattina di vent’anni fa è andata allo stesso modo. Ho provato soddisfazione nel vederlo cadere a terra.»

«Capisco… capisco» annuì Marchesi, facendo dei piccoli anelli con le dita sui braccioli della poltrona. «Ma quello che non mi spiego è perché si è costituito. Avrebbe potuto essere un uomo libero. Non c’era alcun indizio a suo carico. Perché ha confessato?»

«Di certo non per avere uno sconto di pena, e nemmeno per otte-nere clemenza e comprensione. Semplicemente per onore della ve-rità. Non ho mai avuto coraggio nella mia vita. Mi sono sempre rifu-giato nella mediocrità. E poi lo scatto di orgoglio, conscio di aver fat-to la cosa giusta. Dio mi perdonerà, tanto è il suo mestiere.»

Guardo al di là dei vetri e fuori piove.

2020-10-23

Radio SanLuchino

Ritornare in radio per presentare il mio esordio con il noir è stata un'emozione grandissima. Grazie a Bruna Zamboni e a tutto lo staff di Radio Sanluchino, storica emittente radiofonica di Bologna, per la bellissima chiacchierata. Un'ora intensa, fatta di ricordi e promesse per il futuro. Con "Fuori piove" e bookabook protagonisti.
2020-10-23

Radio SanLuchino

Venerdì alle 10.30 sarò in diretta da Radio Sanluchino, storica emittente bolognese, per presentare il mio "Fuori piove", noir in salsa petroniana. Grazie a Bruna Zamboni e a tutto lo staff della radio.

Commenti

  1. Fuori piove è un noir che appassiona. Non solo per la trama, gli intrighi e i personaggi, ma anche e soprattutto per lo stile e la descrizione degli stati d’animo di chi abita questa fetta misteriosa di Bologna. Insomma, l’autore riesce a catturare con ritmo, le parole diventano una fotografia. Così il lettore entra nella storia subito e, pagina dopo pagina, si ritrova a esserne protagonista. Da non perdere

  2. (proprietario verificato)

    Il noir di Luca è da leggere tutto d’un fiato, non dà tregua. L’indagine diventa un tutt’uno con i ricordi, lasciando il lettore senza fiato. Il ritmo del cronista di nera è il filo conduttore di tutto il romanzo: sinceramente lo consiglio, è un noir da non perdere. E poi i particolari, le luci e ombre di Bologna… Cari amici lettori non potete perderlo.

  3. Complimenti Luca per aver iniziato questa “avventura” coltivando e colmando il desiderio di raggiungere sempre nuovi obiettivi. Uno dei “lavori” più piacevoli è leggere, ed avendo la passione per i gialli, noir, thriller, sicuramente acquisterò il suo libro. I libri sono storie di persone, che dal profondo fanno emergere tutta la loro fantasia, creatività e passione, che questo nuovo inizio sia il seguito di una lunga collana di volumi da collezionare!

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Luca Borghi
Bolognese di nascita, “senza fissa dimora” per lavoro. Giornalista professionista, con la cronaca nera nel DNA e un sogno nel cassetto: rifugiarsi tra le montagne del Trentino. Da quasi trent’anni, consuma le suole delle scarpe per raccontare attraverso i segmenti della carta stam- pata, della televisione, della radio e dell’agenzia le pagine più importanti di un’Italia fatta di persone, storie nascoste tra le pieghe della vita e misteri. Appassionato di trekking e di cucina, non può fare a meno dei suoi due cani. Fuori piove rappresenta il suo esordio con il genere noir.
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