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La Gabbia

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Pierpaolo è un regista in crisi: il successo gli ha voltato le spalle e ora, schiavo dei dolori del suo passato, trascorre le giornate immobile davanti al computer. I dolori di Silvia, invece, vivono tutti nel presente: giovane promessa della danza classica, ha smesso di ballare dopo un tragico incidente, accontentandosi di sopravvivere alla monotonia dei giorni.
Silvia e Pierpaolo sono due spiriti affini, due vite spezzate che non sanno più come affrontare il futuro. Ma sono anche due anime destinate a trovarsi e il loro incontro, avvenuto per caso, sarà l’inizio di un percorso di rinascita, un cammino alla scoperta di se stessi e del loro passato per cercare di uscire dalla gabbia che li separa dal mondo.

 

CAPITOLO UNO
2016
«Cos’è?»
«Bevi.»
1988
«Che succede?»
«Non lo so.»
«Abbracciami.»
«Ti amo.»
«Ho paura.»
«Sono qui io.»
1992
«Ti avevo chiesto solo una cosa!»
«Smettila.»
«Perché?»
2018
«Sei pronta?»
«Un minuto ancora…»
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CAPITOLO DUE
2018
Vedo sempre due donne in quel bar. Non so chi siano, né
come si chiamino. Ma ho capito che si incontrano ogni mercoledì alle dodici e mezzo.
La bruna prende un caffellatte macchiato caldo, la bionda
una spremuta di melograno. Accompagnano le bevande con
un croissant al miele, che dividono.
Non si chiamano mai per nome.
Ho lavorato di fantasia e ho deciso che la bruna si chiamasse Virginia e la bionda Nicoletta.
Virginia è più giovane. Lo capisco dagli occhi chiari ancora
vivi. Nicoletta ha l’aria stanca, invece.
Si incontrano ogni mercoledì alle dodici e mezzo.
L’ho già detto.
La chiacchiera di oggi è più frettolosa del solito, hanno iniziato con qualche minuto di ritardo.
Sempre lo stesso scambio di battute.
«Come sta?» domanda Virginia.
«Uguale. Come sta?» risponde Nicoletta.
«Uguale.»
Poi si immergono in un momentaneo e interminabile silenzio.
Il rombo delle tazzine, il taglio secco del cornetto che va in
frantumi.
«Non sono di buona qualità» sento commentare da una delle due. Non riesco mai a capire chi lo dica perché sono troppo
concentrato a guardare le loro mani.
Hanno delle belle unghie. Virginia qualche anello in più.
Pensandoci, mi rendo conto che a questo punto abbasso la
testa sul mio caffè americano. Come un rito.
È freddo. Lo faccio diventare sempre freddo.
La gente mi guarda di sbieco, non capisce perché un italiano possa preferire un americano a un espresso.
A me, l’espresso fa venire il mal di pancia. Anche Virginia lo
beve lungo, il caffellatte macchiato caldo.
E quando il melograno non c’è, Nicoletta ordina semplicemente dell’acqua.
Non so nemmeno perché continuo a guardarle. Perché non
si rendono conto della mia presenza?
Ho sempre creduto che il mio portatile potesse dare nell’occhio. Invece, è una discreta copertura. Anche per il mio caffè
americano.
«Novità?» è sempre Virginia. Leggo una speranza nel suo
sguardo.
«No. Tu?» fa Nicoletta, rinseccolita.
Ora Virginia scuoterà la testa.
Nicoletta la guarda. Perché non scuoti la testa?
Vibra il cellulare di Virginia.
Nicoletta apre gli occhi.
Virginia sorride e inspira.
Che succede? Non capisco.
«Vieni con me?» chiede Virginia. Perché?
Nicoletta esita. Virginia ha già il cappotto tra le mani.
Si alza. Come? Adesso?
Vorrei rimanere e sedermi accanto a Nicoletta. Virginia se
ne sta andando.
Non ce la faccio.
Sento i piedi in un quadrato di cemento. Ma è ancora umido.
Potrei muovermi.
Ok, la seguo.

CAPITOLO TRE
2018
«Moyna?»
Quel nome rimbombò nel negozio come fosse un richiamo
animale.
Una cliente, con in testa ancora dei grossi bigodini, guardò incuriosita e si protese verso destra, in direzione di una seconda.
«Chi è quella?»
«Non lo so.»
L’acconciatrice urlante aveva stretto a sé una donna dall’aspetto poco curato. Aveva addosso un paio di jeans larghi e
degli stivali. Una grossa camicia.
«Che ti è successo?» domandò.
«Mi fai i capelli?» ricambiò Moyna, con un filo di voce.
Pierpaolo rincorreva Virginia. Seguiva il riverbero dei suoi
capelli scuri e corti, sopra l’ampia casacca grigia e i pantaloni
svasati sulla caviglia.
La giovane svoltò a destra, appena dopo il bar.
Pierpaolo non sapeva nemmeno perché stesse continuando
a muovere i piedi. Si rese conto di essere talmente piatto da
aver bisogno delle increspature degli altri per incresparsi a
sua volta.
Passava la maggior parte delle sue giornate in quel bar a bere
caffè e scrivere. Se ne rese conto quando attraversò la strada
dietro alla recalcitrante Virginia. Non si accorse nemmeno che
il semaforo pedonale era già divenuto arancio.
Affrettò il passo per imitazione. Virginia non aveva messo il
cappotto. Pierpaolo tremava.
Era talmente privo di creatività che aveva cominciato a fantasticare su Virginia e Nicoletta.
Era molto che non scriveva qualcosa di interessante. La
voglia di provarci gli era passata all’ennesima critica di Porcheddu. “Non è che sia molto interessante” gli aveva sentito
dire. E se Porcheddu diceva che non era interessante, il suo
spettacolo non valeva niente. Avrebbero seguito tutti Porcheddu.
Girando a sinistra per un’ultima volta, prima di rendersi
conto di dove fosse, si stizzì all’idea di quanto il panorama teatrale contemporaneo dipendesse da voci occhialute che sputavano veleno. Non era solo colpa di Porcheddu, certo. Anche
Prato c’era andato giù duro, dicendo che ciò che esprimeva
poteva essere “raccontato in modi diversi”. E via la sfilza di
possibilità.
Pierpaolo aveva perso il sonno dietro Porcheddu, Prato e gli
altri come loro. Tanti caffè americani e la schermata biancastra del suo computer.
Dimenticò per un momento cosa stesse facendo, fino a
quando non urtò contrò qualcosa.
Alzò lo sguardo. I disastrosi pensieri sulla sua carriera registica gli avevano fatto perdere d’occhio Virginia.
Provò a ricercarla con lo sguardo. Contro cosa aveva sbattuto i piedi?
Un tombino. Niente di importante.
L’ospedale.
Era arrivato in ospedale e Virginia era dentro.
Corse verso il padiglione centrale, ma non la vide.
Porcheddu e Prato gli avevano fatto perdere anche un probabile spunto creativo, oltre che un particolare interesse
umano coltivato per settimane.
Avrebbe voluto conoscere di più della storia di Virginia, per
rubarne e scriverne. Magari producendo qualcosa di interessante, raccontato diversamente.
Salì le scale verso il primo piano, ma Virginia non c’era.
L’ospedale era enorme.
Come avrebbe potuto chiedere informazioni?
Maledetti Porcheddu e Prato.

20 Dicembre 2017
Vi sono piaciuti i teaser del libro "La Gabbia" di Armando di Lillo? Allora non perdetevi gl iarticoli in merito al libro e agli attori ingaggiati per i teaser! Di seguito il link: https://bit.ly/2oQILXu
08 Novembre 2017
Su youtube potete trovare i teaser per "La gabbia" realizzati dall'autore Armando Di Lillo! https://bit.ly/2hdKAHE
25 Gennaio 2018
Tutto quello che avete sempre voluto sapere (ma che non avete mai osato chiedere) su La Gabbia a questo link: https://vimeo.com/252385781

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Armando Di Lillo
ARMANDO DI LILLO, scrittore, attore e regista di origini campane, si trasferisce giovanissimo a Roma dove studia Cinema, Televisione e Produzione Multimediale e si laurea con il massimo dei voti. Autore di altri due thriller psicologici, arriva alla stesura de La Gabbia nel 2018. Attualmente si divide tra Roma e Edimburgo, svolgendo le sue attività lavorative in entrambe le città.
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