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Quella notte in montagna

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Un incontro casuale riaccende il forte legame che Claudio e Anna avevano instaurato in una notte piena di stelle. Nel frattempo, però, la vita è andata avanti: una relazione per lei, gli amici per lui, l’università per entrambi. Come si fa a riprendere il filo di un amore mai iniziato? Claudio è insicuro, è spaventato, sia dal rifiuto, sia dall’idea di essere accettato e amato. Anna è indecisa: il suo ragazzo è una delusione, ma quanto può fidarsi di Claudio e delle sue incertezze? Rimanere nel limbo dell’amicizia e rimandare la decisione sembra una buona idea, fino a quando la situazione non sfugge al loro controllo, facendoli precipitare in un baratro. L’amore sarà in grado di salvarli?

CAPITOLO UNO

In bilico sul baratro, Claudio era sul punto di precipitare. Sotto ai suoi piedi, il nulla. Era in cima a un palazzo altissimo, aggrappato con le mani tremanti al cornicione; in basso, a cinquanta metri di distanza, il traffico scorreva veloce, indifferente, frenetico. Sembrava che nessuno si fosse accorto di lui. Un vento gelato e malvagio lo faceva dondolare pericolosamente. Aveva i brividi di freddo, ma non poteva mollare la presa. Le dita cominciavano a cedere piano piano. Non voleva morire. Non a vent’anni, non con tutta la vita davanti. Il cemento del cornicione gli stava graffiando le mani. Doveva resistere. All’improvviso sentì un rumore di passi e guardò in su: una figura si stagliò contro il cielo. Sembrava una ragazza; non riuscì però a distinguere chi fosse: il sole era esattamente dietro di lei e gli impediva di vedere il suo volto con chiarezza. Sentì il cemento scricchiolare. 

«Aiutami, ti prego!»

La ragazza non rispose. Si limitava a guardarlo. Perché non interveniva? A che stava pensando? Chi era? Una mano scivolò e lui cacciò un urlo di paura. Anche la ragazza gridò. Ora restava disperatamente aggrappato alla vita con la sola mano sinistra.

«Ti prego!»

La ragazza sembrò sul punto di aiutarlo. Allungò la mano verso di lui, senza parlare. Stava tremando. Aveva quasi raggiunto il suo polso, ma si fermò. Ritrasse la mano di scatto, come se qualcosa le avesse fatto cambiare idea. Sembrava singhiozzare. Il mignolo e l’anulare scivolarono. Restavano solo l’indice e il medio a tenere Claudio appeso al cornicione.

«Perché? Perché non mi aiuti?»

Lei fece nuovamente per porgergli la mano, ma ormai era troppo tardi. Anche le ultime due dita cedettero. Claudio chiuse gli occhi e trasse un lungo respiro mentre precipitava. Era finita. Ancora pochi istanti e l’asfalto gli avrebbe spezzato la schiena.

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Claudio si svegliò di soprassalto. Era stato solo un incubo. Si era addormentato sul divano guardando il calcio in TV. Sentiva il cuore battere a mille, e ogni respiro rincorreva affannato il precedente per non essere lasciato indietro. Si passò una mano tra i capelli e cercò di riprendere la calma. Si sentiva inspiegabilmente stanco, le gambe molli come avesse corso per chilometri. Spense il televisore e andò in bagno a farsi una doccia gelata, che ebbe l’immediato effetto di risvegliargli le membra intorpidite e fargli tornare la voglia di uscire. Era sabato sera, e lui e i suoi amici avevano deciso di andare a una festa di paese non lontano da casa. Abitavano a Fossano, una piccola città sonnolenta del Piemonte meridionale, dove c’era sempre poco movimento e mai nulla da fare: i divertimenti dovevano andare a cercarli, e spesso le feste dei paesini di campagna erano il meglio che la zona avesse da offrire. D’altronde, si ballava gratis e scorrevano fiumi di birra: cosa chiedere di più? Scese in strada e si diresse verso il bar dove avrebbero fatto pre-serata. Era ancora maggio, ma il caldo sembrava quello di metà luglio. Si fermò davanti al locale, nascosto tra le vie più dimenticate della città vecchia, un cubicolo con pochi tavoli mai veramente puliti e un costante odore di birra e di uomini sudati. Non sapeva bene perché si ostinassero ad andare ogni santo sabato in quel posto all’apparenza così sgradevole, ma l’abitudinarietà si era appiccicata loro addosso già da molto tempo e il barista, un uomo rude con barba e bandana, li riempiva di sconti come premio alla loro fedeltà. Mise il piede sulla soglia e tese l’orecchio: come previsto, sentì il rumore dei suoi amici provenire dal tavolino di sempre, nell’angolo di sempre, vicino al quadro di sempre, una vecchia copertina incorniciata di Playboy dell’epoca in cui le donne posavano con il costume intero. Si rivolse al barista, che lo salutò con un grugnito.

«Oreste, mi fai una media bionda?»

Altro grugnito, che stava a significare: “Vai, te la porto al tavolo”.

Al solito tavolo, seduti in cerchio, vide i suoi amici. Erano un manipolo di ragazzi tanto diversi tra loro da dare la sensazione d’essersi trovati per caso e di essere rimasti incollati per una forza misteriosa. Erano quattro: Pietro, Massimo, Samuele e Stefano. Passavano le serate a esercitarsi nella nobile arte del cazzeggio, e si aiutavano nell’impresa di non fare mai niente di particolare, nell’attesa di diventare qualcosa, o qualcuno. Si avvicinò al tavolo con passo lento, facendo strisciare per qualche metro la sedia di metallo che aveva afferrato in corsa e buttandocisi sopra a peso morto. 

«Ehi, stronzi. Che si dice in città?» 

Massimo gli porse il pugno: «Ciao, Cla! Tutto a posto? Caldo per stasera?».

«Mah, a dirtela tutta non so. Sono uscito di casa un po’ spento. Ho paura di non essere tanto in forma.»

«Dai, tranquillo, ci mettiamo mortali e vedi la serata che facciamo.»

Pietro non sembrava molto contento. A quanto pare era ancora scottato dall’esito della lite furibonda per assegnare il ruolo dell’autista, che lo costringeva a una noiosissima sobrietà. 

«Dici così solo perché tanto guido io. Com’è possibile che tocchi sempre a me?»

«Ancora con ’sta storia, Pit? È il tuo turno e non si discute più. Anche perché ormai abbiamo bevuto tutti e l’unico in condizione di prendere la macchina sei tu.»

«Che palle. Devi sempre mettere bocca su tutto?»

«E tu devi sempre lamentarti di tutto?»

«Be’? Se qualcosa mi dà fastidio lo dico.»

«Il problema è che pretendi di averla sempre vinta tu. Non è così che funziona. Non comandi tu.»

«Ma non comandi nemmeno tu.»

«Ragazzi, avete rotto il cazzo. Se dovete litigare andate a farlo da un’altra parte.» Samuele si era alzato in piedi per attirare la loro attenzione. «Possibile che debba sempre farvi smettere io? Siete dei bambini.»

Claudio sorrise. I ragazzi sembravano carichi; avrebbe fatto bene a svegliarsi anche lui e a dimenticare l’incubo di poco prima: si prospettava una grande serata. Chiamò il barista e cambiò l’ordine: al posto della birra chiese un Sex on the Beach, petizione accompagnata da un grugnito di approvazione.

2021-11-29

Aggiornamento

Buongiorno a tutti! Ieri "Quella notte in montagna" ha raggiunto l'obiettivo delle 200 copie, e sarà pubblicato. Lasciando da parte la mia contentezza, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto la campagna, a partire dalla mia famiglia e dai miei amici, che mi hanno sospinto fin dal giorno uno; ma anche coloro che, non conoscendomi o conoscendomi poco, hanno deciso di aiutare il progetto a vedere la luce. Potrà sembrare troppo quello che sto scrivendo e poca cosa il traguardo raggiunto, ma l'emozione che sto provando da ieri sera va al di là della pubblicazione, e ha a che vedere soprattutto con tutto l'affetto dimostrato! Ora restano ancora 30 giorni per provare a raggiungere altri obiettivi, aspettando il giorno in cui finalmente il libro sarà in mano vostra. Ancora una volta, grazie!

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Marco Ferrero
Nasce a Cuneo il 16 giugno 1998 e cresce a San Biagio di Centallo, nella campagna piemontese. Frequenta il liceo scientifico a Fossano, per poi iscriversi alla facoltà di Ingegneria meccanica presso il Politecnico di Torino. Negli anni si appassiona alla letteratura, soprattutto a quella latinoamericana, nella quale trova i suoi principali punti di riferimento: Gabriel García Márquez, Mario Vargas Llosa e Julio Cortázar.
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