Prima, chissà quando, 2
Lei si guarda velocemente tutt’attorno.
Guarda i mobili, le linee eleganti delle forme. Respira il profumo discreto delle stanze, accarezza con gli occhi il profilo dei quadri, delle porte che si aprono sulle pareti.
Mai più, si dice. Non verrò mai più, non sarai mai più mio. Ripensa al momento in cui l’ha acquistato, quell’attico. Bellissimo, meraviglioso, nel posto più esclusivo della città. Era stato il suo rifugio. Da tutto, da tutti. Ma casa sua, no, non era stato mai. Eppure adesso lasciarlo le fa male. Non avrà più un posto dove tornare.
La sua solitudine le si staglia chiara, perfetta e assoluta. Come aveva potuto lasciare che finisse così? Non era tanto il modo in cui era finita, quanto il fatto che non fosse stato per sua scelta. Quanto che lei si trovasse lì solo perché chi l’aveva battuta era anche ciò che più aveva amato. A tradirla era stata lei stessa. Mai più si ripeterà, si dice. Mai più lascerò che accada.
Di nuovo, per un attimo, il pensiero di un’altra vita possibile la lancia a costruire mondi paralleli. Se avesse detto, forse. Se avesse fatto, forse. Ma aveva detto e fatto altro. E lei ora era lì, adesso. Sospira. Non è più il tempo dei ripensamenti. Ciò che era stato e ciò che era stata lei sino a quel momento finiva lì. Ciò che sarebbe stato poi non era in grado di dirlo. Si avvia verso la porta, passa davanti al magnifico specchio all’ingresso. Si guarda. Non si riconosce.
Va bene così. Farò in modo che nessun altro ci riesca, pensa aprendo la porta e lasciando che si chiuda alle sue spalle.
11 luglio 2010 – ore 17.30
L’aria dentro il bar è fresca e profuma di birra. Sa di piccoli piaceri e di certezze. Sa di solido, come i muri spessi e vecchi che racchiudono il locale. Le piace. E magari è ovvio, dato che è suo. Ma evidentemente piace anche ai clienti, visto che ci stazionano ore sebbene non sia certo l’unico bar in paese. Nella sala vicina gli avventori commentano un servizio calcistico alla tv; stasera sarà tempo di finale, chissà che partita stanno facendo rivedere. Altri se ne stanno tranquilli a bere e fumare fuori, sotto la tenda, al riparo dal sole cocente. Ma perché non se ne vanno da qualche parte, pensa mentre finisce di sistemare i bicchieri dietro il bancone, è domenica, è estate. Cazzo ci fanno al bar, anche se è il mio.
La tenda di bambù ondeggia e tintinna lievemente all’ingresso di un uomo. Ciao Ester, lo sente salutare. Me la dai una birra? Piccola!
Ciao Sauro, saluta lei di rimando, mentre sta già armeggiando alla spina, nemmeno tu al mare?
Lui sposta con la mano i capelli dalla fronte, si siede al banco, sorride, no, dice, ci sono stato ieri, oggi sono qui solo per te! Sei contenta? conclude, ridendo, prendendole la birra dalle mani.
Lei sbuffa. Che palle che sei Sauro, gli dice con voce annoiata, trovatela davvero una donna, altrimenti il testosterone in eccesso rischia di ammazzarti.
Sauro ride sonoramente. Dal bancone, Luigi lo stuzzica tranquillo. Che cazzo c’avrai da ridere! Hai fatto la collezione dei due di picche, e ancora ridi? Adesso Sauro ride un po’ meno, e lei un po’ di più.
‘Fanculo, Luigi, fa al tizio, il tono noncurante di chi non se la prende, anche te ti ci metti!
Ma gli brucia, invece. E tanto. È da quando è arrivata in paese che va dietro a Ester. Come tutti gli altri, del resto, quanti anni sono che è qua? Sette, otto? Parecchi, comunque. Niente, mai un cazzo di niente. Che sia lesbica? Non è possibile che se ne sia stata tutti quegli anni senza un uomo, bella com’è.
La tenda si scosta di nuovo, decisa, e una luce insopportabile irrompe e tradisce il fresco del locale. Istintivamente lei socchiude gli occhi, inclina il capo a decifrare di chi sia la silhouette sulla soglia, immobile, la sua ombra lunga sul pavimento. È un uomo, e sembra avere qualcosa in mano e qualcos’altro in spalla. Il caldo già si insinua fino al bancone.
Scusa, gli dice, se devi entrare fallo, ma lascia la tenda, che entra un caldo terribile. Come se non se ne fosse accorto prima, il tizio lascia la tenda; lentamente si incammina verso di lei, e finalmente gli occhi di Ester, riabituati alla luce all’interno del bar, riescono a distinguerne i lineamenti.
Lo guarda e subito, senza una ragione, le viene in mente una delle scene iniziali di Rambo, col tizio che, zaino in spalla, torna dal Vietnam e scatena la guerra nel paesello. È vestito con abiti di due taglie più grandi. Ha occhiali da sole piantati in faccia, capelli un po’ lunghi sulle spalle, l’aria quasi confusa. Non sembra pericoloso come Rambo, ma l’aspetto del reduce sembra averci preso casa, da lui.
Lei si asciuga le mani, lui è al bancone adesso, e quello che ha in mano è il suo cartello, quello che lei ha appeso fuori tempo fa con la scritta cercasi addetti al bar. Il tizio si toglie gli occhiali, sembra un po’ stranito. Si guarda intorno. Guarda lei, la gente, i muri, come se non capisse bene dove si trova.
Tutto bene? Chiede lei, che questo suo scrutare la inquieta.
Lui smette di guardare in giro, le porge il cartello che tiene in mano. Sono qui per questo, dice lentamente. Lei resta a osservare lui con il cartello in mano, senza prenderglielo, sospettosa.
Cerca lavoro? Gli chiede.
Lui guarda quel che ha tra le mani, come se se ne fosse reso conto solo ora. Guarda il tizio appoggiato al bancone, che a sua volta lo guarda male, e poi sì, cerco lavoro, dice fissandola per un attimo negli occhi, abbassandoli un attimo dopo, come a volersi nascondere. Infine il suo sguardo incrocia Luigi, e lì sembra definitivamente fermarsi.
È un tipo strano. Avrà la sua età, circa. Ha mani curate. Difficile che abbia mai fatto il barista. È un bel ragazzo, anzi, un bell’uomo. Almeno crede. È che non riesce a definirlo, a inquadrarlo. Quel che è certo e che sua voce è… bella, e per un momento le ha fatto lo stesso effetto di un fuoco d’artificio a un bambino di due anni. Lui e Luigi si stanno ancora guardando, senza parlare.
Vorresti fare il barista? Gli chiede lei.
È strano, continua a pensare, è adulto. E questi sono i lavori che in genere cercano i ragazzetti, quelli che hanno bisogno di qualche soldo e intanto studiano, cercano qualcosa di meglio. Lui sembra davvero fuori target. Sta ancora guardando Luigi. Che sembra nervoso.
Inaspettatamente l’uomo la apostrofa con un tono amaro. Avete già trovato? Chiede, se è così va bene, ma magari allora è meglio se togliete il cartello.
Fa per andarsene, lei scuote la testa. Intanto il bar è mio, quindi lascia stare il plurale. E no, ancora niente, non ce n’è molta di gente che voglia fare il barista.
Sauro sbotta. Ma se sono due mesi che la gente viene a chiedere!
E allora diciamo che quelli che sono venuti non mi andavano bene! lo fulmina lei. Fa una pausa. Il bar è mio, Sauro, scandisce lei, gelida, Se mi va, domande ne faccio io.
Ester sente la sua voce parlare prima ancora di aver dato l’ordine al cervello. Se proprio ti interessa il posto ti dico come funziona, gli fa.
Lui accenna di sì con il capo.
Ok, continua lei. Paga bassa ma regolare. Apriamo dalle sei a mezzanotte. Turni sulle sei ore a regime. La chiusura è il mercoledì. Una, due settimane di prova. Pagate. Ferie come da contratto a rotazione con gli altri bar. È tutto.
Lui di nuovo resta zitto, di nuovo fa solo cenno di sì con la testa. Perché lei sente un sollievo enorme che le libera il petto? Eppure lo sa anche lei che non va così un colloquio di lavoro. Inizi domani, gli dice ancora, invece di dirgli scusa da dove vieni? Si apre alle sei. Del mattino.
Ok? conclude, con una strana ansia che le accelera il respiro.
Lui si rimette gli occhiali, riprende la sacca, posa il cartello. Accenna un saluto, a dire a domani, va verso la tenda, la scosta.
Prima di andarsene si volta ancora. Da quanto tempo è tuo? Le chiede, riferendosi al bar.
Una decina d’anni, risponde lei dopo qualche secondo, come se ci avesse dovuto pensare.
Lui sembra rifletterci, poi lascia che la luce se lo inghiotta e che la tenda risuoni a cascatella dietro di sé.
Improvvisamente Luigi scende dallo sgabello, sembra avere una gran fretta di andarsene. Fammi il conto bella, dice, devo andare. Lei gli porge lo scontrino, lo osserva mentre apre portafogli, paga e se ne va, senza quasi salutare.
Che gli è preso a Luigi? chiede Sauro, ma già ecco che se ne frega, batte le mani, dammi un’altra birra, chiede! Ah, no, anche una risposta, una sola.
Lei va in automatico alla spina, gli serve la birra, poi sembra ricordarsi. Che risposta, fa.
Il nome, sibila lui quasi rabbioso. Cazzo nemmeno il nome gli chiedi?
Lei si accorge che è vero. Ma quella soddisfazione a lui col cazzo che gliela dà. Lo guarda decisa.
Fatti gli affari tuoi, Sauro, risponde, fredda. È da quando ho aperto il bar che dico a tutti la stessa cosa. Questa è l’unica regola da rispettare, con me. Tutti amici ma ognuno a casa propria, nel suo letto. Con chi gli pare. Se non ti va la porta è quella, portati via. È chiaro? Io non rompo i coglioni a nessuno di voi, qua, del paese. Maschi, femmine e cantanti. A nessuno. Vedete di non romperli a me. Te lo ripeto: è chiaro?
Lui prende la birra, scuote la testa, e in silenzio si piazza anche lui davanti alla tv, furente. Brutta puttana, pensa. Tanto lo trovo il modo di farti abbassare la cresta, vedrai se non lo trovo.
Lei torna a sfaccendare intorno alla lavastoviglie. E poi, continua dopo un po’, senza parlare, riprendendo il filo di un discorso che dentro non le si era mai interrotto, nemmeno lui ha chiesto il mio.
Chimena Palmieri
😀
Ciao Lorenza, ti ringrazio per le parole che hai avuto nei confronti di Raval: mi fanno davvero un gran piacere, era così che speravo andasse.
Ma sopratutto, Norma, ti prego:non lo fare mai più!!! Ho rischiato davvero il coccoloni leggendo le mie parole dette da un altro, e solo dopo aver visto i messaggi ho capito che quella Norma eri tu! ^__^
Grazie, comunque, a tutte e due per il vostro apporto alla discussione.
Norma
Prima che Lorenza si chieda chi io sia e che a Chimena venga un accidente: sono una collega d’ufficio, che stamani l’ha ascoltata dire più o meno queste parole guardando il commento e proponendosi di rispondere.
Quando sono entrata sul sito e ho visto che non lo aveva ancora fatto, non ho resistito.
Scusatemi se ho causato problemi.
Lorenza
Lette le prime 27 pagine, che hanno creato una grande suspance, si resta ora in attesa, trepidante, di poter leggere il seguito, con tutti gli onori del caso. A me la storia ha subito intrigato , facendomi vivere su diversi livelli, le emozioni dei protagonisti.