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Senza passato

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Brando fissa un bicchiere vuoto, mentre i resti del ghiaccio sciolto prendono la forma degli spettri che infestano la sua mente. Il sapore indelicato dell’Amaro del Capo gli infiamma la gola e l’eco di quello sparo torna a fargli salire le lacrime agli occhi. Come fosse stato ieri. Gli errori di una vita infelice sfilano davanti ai suoi occhi, danzando nella penombra di un bar dimenticato da Dio come piccoli demoni capricciosi che non vogliono saperne di andarsene via. Intanto a casa c’è Alyssa che lo aspetta, in attesa di risposte. Il gioco d’azzardo, l’alcol e quel terribile segreto: è davvero giunto il tempo di fare i conti con il passato?

1.

«Gino, dammene un altro.»Brando era appoggiato al bancone del bar Fiorini da qualche ora, o forse qualche giorno. Non se lo ricordava quasi più: il tempo in quel buco di merda aveva un modo tutto suo di scorrere.Davanti a lui, sul legno ingiallito dal tempo e dalla scarsa cura diun proprietario quasi sempre indifferente a ciò che succedeva all’interno del suo bar, un bicchierino vuoto. C’era ancora un cubetto di ghiaccio: male. Significava che l’Amaro del Capo era andato giù troppo in fretta, e che sarebbe risalito in modo altrettanto veloce nel giro di qualche ora.

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«Prima pagami gli altri quattro, stasera non voglio problemi.» Gino non voleva mai problemi.Brando tirò fuori il portafogli consumato dalla tasca sotto lo sguardo inespressivo del barista, che lo guardava dall’alto. Dentro c’erano dieci euro, gli ultimi dell’ultimo stipendio ricevuto alla Rosa Blu. Quella stronza di Eleonora lo aveva cacciato come fosse stato un appestato.«Brando, vattene. Non sei presentabile e sei anche in ritardo. Ma quanto hai bevuto?» I lineamenti di Eleonora, solitamente morbidi e caldi, erano induriti dal furore.«Senti Eleonora, mi dispiace, ero a un funerale e ho fatto tardi. Lo sai che ci tengo a questo lavoro.» Ma nel momento stesso in cui quelle parole gli uscirono di bocca, Brando si rese conto che quella cazzata era talmente enorme che nessuno avrebbe potuto crederci.«Ma chi vuoi prendere per il culo? Non te ne frega nulla di questo lavoro, è la terza volta in un mese che arrivi in ritardo e hai pure bevuto. Il servizio è iniziato da un’ora e io ormai mi sono organizzata. Vattene a casa e, per favore, non tornare più. Ti farò avere lo stipendio dell’ultimo mese.» Ovviamente Eleonora non aveva tutti i torti: di quel lavoro a Brando non fregava nulla, gli importava solo di portare a casai quattro spicci necessari a tirare avanti. E poi aveva pure bevuto. E ovviamente non era stato ad alcun funerale: non gli restava più nessuno da seppellire. No, aveva passato tutta la giornata al Fiorini, nella sala interrata, a giocare a poker. E la partita era pure andata male: a un passo dal piazzamento a premio, Brando era uscito con coppia d’assi. Buttato fuori da quel pallone gonfiato di Ceredo, che nella vita aveva avuto più culo del principe di Inghilterra: figlio di Omar Ceredo, proprietario della più grande azienda della vallata, quella che dava da mangiare a buona parte delle famiglie della zona, era il ragazzo più invidiato del paese. A diciotto anni andava in giro con un Mercedes nero coi fari azzurrini, sempre con quel suo ghigno da padrone del mondo stampato in faccia. Poi l’università privata in Svizzera e il matrimonio con una bionda da urlo che sembrava uscita dalla televisione. Ma questo non bastava: aveva pure culo quando si trattava di sedere al tavolo da poker. Brando era convinto diaverlo battuto, almeno quel giorno. Questa è la mia rivincita,aveva pensato. Ma lo stronzo, K e Q in mano, aveva chiuso una scala al river, con buona pace del suo tris d’assi. E tanti cari saluti ai cento euro dell’iscrizione e ai mille del primo premio. Che poi, che cosa se ne facesse un figlio di papà come lui di quegli spiccioli restava un mistero per Brando.«Per favore, Eleonora, non lasciarmi a casa: sai che ho bisogno di un lavoro…» A Brando non restava che una carta da giocarsi: quella della compassione. Eleonora Razzi, infatti, era una persona altruista e sempre pronta a dare una mano. Era una volontaria della protezione civile di Colle del Vento e cercava sempre di aiutare i ragazzi in difficoltà dandogli lavoro nel suo ristorante. Era una di quelle persone che cerca sempre di vedere il buono negli altri e che gode nell’offrire possibilità di redenzione a sbandati e disperati.«Mi dispiace Brando, ma io gestisco un ristorante, non faccio beneficenza.»Nei suoi occhi comparve un lampo di tristezza mentre pronunciava quelle parole. Così dure, così poco da lei. Ma inevitabili e necessarie, almeno in quel caso.La Rosa Blu era il ristorante migliore di Colle del Vento e dintorni, lo avevano fondato i nonni di Eleonora e lei lo gestiva da quando la madre aveva perso le rotelle con l’arrivo della vecchiaia. Era una donna molto gentile e affascinante, nonostante i cinquant’anni suonati. Si curava molto ed era sempre attenta ai dettagli, sia sul lavoro che quando si trattava della sua persona. I lunghi capelli castani erano lisci come spaghetti e sempre in piega, anche alla fine del servizio. I clienti adoravano il suo modo di fare cortese e il suo bell’aspetto e spesso gli uomini le lasciavano mance robuste. Lei dal canto suo faceva di tutto per piacere e non si tirava indietro anche nelle situazioni più maliziose. Aveva un carattere aperto e solare e due enormi occhi verdi con i quali riusciva a ipnotizzare chiunque. Quella sera, però, di quel viso così dolce e di quel carattere affabile ed espansivo nonsi era visto nulla. Brando aveva iniziato a lavorare alla Rosa Blu non più di qualche mese prima, ma come al solito aveva rovinato tutto. Colpa di uno stile di vita malsano a dir poco: poker, macchinette, Gratta e Vinci, Lotteria, alcol e pochissimo rispetto verso se stesso lo avevano trascinato nel baratro. Anche se aveva trent’anni, non era ancora in grado di tenersi un lavoro per più di qualche settimana, e ogni volta che veniva cacciato si trovava a guardarsi allo specchio e odiarsi un po’ più del giorno prima.«Ho dieci euro Gino, fatteli bastare.»Il barista lo guardò con un misto di pena e disprezzo appena percettibile, ma prese i soldi senza fiatare. A Gino non piaceva discutere. A Gino non piaceva nulla.Nel portamonete c’erano altri tre euro, maper loro era in programma una diversa destinazione. Brando si alzò dallo sgabello traballante dopo aver pagato e si diresse verso l’uscita. Accese una sigaretta ed entrò nella sala slot. Detestava quel posto. Detestava quelle cazzo di macchinette infernali, ma non riusciva a starci lontano. Aveva iniziato a giocarci a diciotto anni e da allora non era ancora riuscito a darsi un freno. Aveva perso da tempo il conto dei soldi che ci aveva buttato dentro.Forse oggi me ne andrei in giro in Ferrari.Inserì prima la moneta da due euro: niente. Diede un bacio a quella da un euro e tirò la leva. 7, 7…Dai che stasera si fa cassa. … Q, J.Niente da fare. Altri tre euro da aggiungere alla montagna di soldi che aveva buttato nel cesso in quella sua miserabile esistenza.

09 giugno 2020

Aggiornamento

"Il Resto del Carlino" oggi scrive della nostra campagna, che sta andando benissimo! L’obiettivo è sempre più vicino: insieme ce la faremo.
05 giugno 2020

Aggiornamento

Dopo meno di 24 ore dal lancio della campagna abbiamo già superato le 100 copie pre-vendute: un risultato incredibile. E la stampa romagnola non ha fatto mancare il proprio supporto dedicando diversi articoli alla campagna di Senza passato. Speriamo di risentirci presto per altri aggiornamenti.

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Andrea Robertazzi
è nato a Forlì nel 1993 e, dopo essersi diplomato al liceo classico e laureato in Giurisprudenza, ha conseguito un master in Sport management presso il MasterSport institute e l’Università di Parma e San Marino. Lavora come giornalista ed esperto di comunicazione in ambito sportivo. La sua citazione preferita è Homo faber fortunae suae.
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