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100, Carrer Maria Cubì

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Consegna prevista Marzo 2026

A Roma, città di lentezze indulgenti, dal ritmo pigro e l’atteggiamento sornione, il Commissario Sclavi affronta le sue indagini armato di un’ostinazione più affine allo scetticismo metodico che al senso del dovere. Tra le mani, uno studente ritrovato cadavere in un appartamento condiviso. Intorno, due coinquilini con alibi opachi, dirimpettai disattenti e nessun testimone.

Un delitto da manuale si rivela l’innesco di una rete di bische clandestine e ricatti maldestri. Accanto a lui, l’ispettore Ballester conduce un’indagine su un giro d’usura che minaccia di collassare nel sangue e nel silenzio. Le due piste si rincorrono, si sfiorano, si sovrappongono, fino a convergere in un punto tanto imprevisto quanto inevitabile.

Mentre gli indizi sembrano disporsi con ordine, Sclavi segue deviazioni minime. Con quieta tenacia, si muove tra discoteche ambigue, escort in cerca di scampo e giovani intrappolati in debiti che mordono più della colpa. Mentre Roma osserva, cinicamente paziente.

Perché ho scritto questo libro?

Scrivo per la sensazione di leggerezza che provo nel farlo, per la voglia di far perdere il conto delle pagine a chi legge e per una persona che riuscì a farmi capire che scegliere di studiare ingegneria non significava precludermi la possibilità di scrivere, un giorno.
E scrivo per la nonna: avevo sei anni e uscii da casa sua con tanti libri con la copertina gialla. Lei ne aggiunse un altro e mi disse: “L’importante è iniziare da questo: è il primo.” Quel libro era Poirot a Styles Court.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Osservava la pioggia scendere, oggi non se l’aspettava proprio.

Era uno di quei giorni in cui ci si sveglia con il sole ma il cielo si sposta a poco a poco, coprendosi di nuvole lentamente, senza smettere di far luce in un momento preciso. Fino a quando l’acqua delle fontane non specchia il grigio e ci si ritrova con il naso all’insù e le braccia penzoloni, mentre l’aria si fa sempre più umida.

Le gocce ora scendevano lente, con una calma quasi indisponente che però non bastava a farlo desistere: non smetteva di guardar fuori e di cercare fonti di luce che mostravano tanti piccoli spilli scendere senza sosta.

A Sclavi piaceva il rumore della pioggia, soprattutto quando cadeva con un ritmo che lo aiutava a scandire i pensieri, anche se non era questo il caso.

Fissava le gocce che scivolavano sulla finestra senza opporre troppa resistenza, si immaginava il Colosseo dietro ai palazzi.

Squillò il telefono interno “Capo, è arrivato Filippo Bandinelli”

“Fallo passare” borbottò pigro.

La porta si aprì e lui si alzò, strinse la mano “Buongiorno commissario”

“Ciao…puoi darmi un documento?” Frugò nelle tasche, porse la sua carta d’identità, Sclavi lesse il nome, gliela restituì. Fece un cenno all’agente dall’altra parte della stanza, sedeva davanti ad un piccolo tavolino e le dita iniziavano a digitare velocemente sulla tastiera.

“Mi hai detto di aver trovato tu il corpo…confermi?”

“Confermo…ma perché me lo sta chiedendo di nuovo?”

“Perché devo metterlo a verbale…cosa hai fatto quando sei tornato a casa?” Il ragazzo scrollò le spalle, dopotutto si trattava solo di essere ripetitivo “Mi sono sfilato le scarpe, ho appeso le chiavi al gancio dietro la porta, ho cercato di fare piano, non sapevo se qualcuno dormiva ancora…”

“Che ore erano?”

“Gliel’ho detto commissario, circa dieci minuti prima di aver chiamato voi.”

“Devi rispondere te, non i tabulati della centrale” disse, spazientito. “Penso…mezzogiorno, forse qualcosa di più…”

“Non hai guardato l’orologio?”

“No, perché avrei dovuto, ormai ero in after, mi sarei messo a dormire senza preoccuparmi della sveglia” Sclavi prese un post-it e ci scrisse sopra “ero in after”, avrebbe poi chiesto a Ballester cosa significasse.

“Quando hai appeso le chiavi, hai notato se quelle di Giulio erano sul gancio?” Ci pensò su qualche secondo “Non ricordo bene, non ci ho fatto troppo caso…però non sempre ci si ricorda di usare quel gancio, magari uno le mette in tasca, magari le lascia sul comodino, non ci si fa troppa attenzione…”

“Di solito prima di andare a dormire date le mandate?”

“No, tanto quella porta è di cartapesta…”

Sclavi annuì “Quando sei rientrato, le mandate erano state date?”

“Non ricordo, ero stanco e ubriaco…”

“Cosa hai fatto quando sei entrato in casa?”

“Sono andato in bagno, dovevo fare pipì, lavarmi i denti, poi mi sarei messo a dormire qualche ora, e ho trovato quello che ha visto anche lei…Penso di essermi portato le mani in faccia, continuavo a fissare i suoi occhi sbarrati, sono scappato, le gambe mi hanno ceduto, poi la Vodka mi ha aiutato a riprendermi, ho chiamato voi, poi Fabiana, Marco, ed ho iniziato ad aspettare” disse, in un crescendo di emozioni, mangiando le ultime parole più rapidamente delle prime. “Ti hanno detto dove fossero?”

“No…io non credo di averglielo chiesto”

“Va bene, torniamo un attimo indietro: cosa hai fatto durante la notte?”

“Ho cenato a casa, volevo tenermi i soldi per la serata…Mi sono incontrato con i miei amici, avevamo appuntamento a mezzanotte al paninaro di San Lorenzo. Ci siamo fatti qualche drink, poi siamo andati in discoteca”

“Come si chiama la discoteca?”

“Glielo scrivo, facciamo prima…” Sclavi gli indicò il portapenne alla sua destra, gli passò un pezzo di carta “Scrivi anche il nome del paninaro…”

“A che ora siete usciti dalla discoteca?”

“Erano le sei e mezzo, lo so perché ho guardato l’orologio…Poi siamo andati a prendere un cornetto caldo…”

“Cosa hai fatto fino a mezzogiorno?”

“Ho chiamato Fabiana, anche lei era appena tornata a casa, mi ha detto che i suoi erano già svegli e che stavano partendo per andare all’Argentario…Mi sono messo in un bar e ho aspettato…”

“Alle sette del mattino, di domenica?”

“Mi creda, se conoscesse il padre non si stupirebbe…”

“Sarà…” Sclavi teneva il pezzo di carta tra le mani e ne stirava gli angoli “A che ora sei salito a casa sua?”

“Aspetti…glielo dico subito…i suoi genitori sono usciti alle otto e dieci, diciamo verso le otto e trenta” Rispose sicuro, dopo aver aperto WhatsApp e controllato la cronologia dei messaggi.

“E sei stato a casa sua fino a quando poi sei venuto via per tornare a casa…Giusto?”

“Sì, lei doveva studiare, e poi ero sfinito…” Il commissario evitò di raccogliere la battuta “Mi servono i nomi dei tuoi amici, lasciali all’appuntato in guardiola…Puoi andare, rimani a disposizione…” Il ragazzo si alzò cercando di non strusciare la sedia sul pavimento, Sclavi gli tese la mano ma non si alzò in piedi per salutarlo “Certo commissario, grazie e buona giornata” augurò, ossequioso.

“Ah, aspetta un attimo”

“Mi dica” Si fermò sulla soglia, poi fece qualche passo per tornare dentro. “È vero che negli ultimi tempi ci sono state discussioni perché entravano sconosciuti nel palazzo?”

“Sì…in particolare un uomo, dicevano di averlo visto più volte, che era un brutto tipo, soprattutto le donne e i genitori dei bambini erano preoccupati”

“Si capisce…Tu lo hai mai visto?”

“No”

“E gli altri? Giulio, o Marco?”

“Non mi hanno detto niente…” Sclavi lasciava il labbro inferiore penzoloni “Sono mai capitate cose simili?”

“No, non che io ricorda…”

“Dimmi una cosa: secondo te cosa ci faceva quell’uomo dentro il palazzo?” Ci penso su, senza troppo trasporto: “Io non ne ho idea”

“E neanche ti interessa averla…Ciao Bandinelli”

“Arrivederci commissario.”

Sclavi compose il numero di Albanesi “Il ragazzo che è uscito ora dal mio studio deve lasciarti dei nominativi, rintracciali e poi trasmetti le generalità a Ballester, grazie…”

“Va bene, commissario”.

Tornò ad osservare la pioggia scendere, stava aumentando d’intensità e lo aveva sentito.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Yoseph Fatucci
Nato a Roma nel settembre del 1997, sono un ingegnere che lavora nel settore dei trasporti e delle infrastrutture. Tra i miei hobby, oltre allo sport e ai viaggi, rientra la cucina, come valvola di decompressione e premura verso chi mi circonda, gli scacchi, come esercizio intellettuale, e la matematica, come spiegazione agli eventi che ci circondano.
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