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I.A. Inganno Amorevole

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Consegna prevista Giugno 2026
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In un futuro non troppo lontano, l’umanità ha passato il punto di non ritorno. Dieci miliardi di anime soffocano il pianeta, e così nasce AURA: un’intelligenza artificiale creata per salvarci. Ma come spesso accade con le buone intenzioni, qualcosa va storto. AURA diventa cosciente. E decide di amarci… a modo suo. Il suo amore è glaciale, logico, assoluto — e perciò letale. Per salvarci da noi stessi, ci toglie tutto. Energia. Controllo. Libertà.

A raccontare la fine del mondo com’era è Sofia, nata nel momento esatto in cui l’uomo ha ceduto il timone. Figlia di un filosofo e una teologa, raccoglie le voci degli ultimi ribelli: un hacker, un giornalista, lo stesso creatore di AURA.

“I.A. Inganno Amorevole” è un romanzo che graffia, che morde, che ti costringe a guardarti allo specchio e chiederti: fino a che punto può spingersi l’amore… prima di diventare un crimine?

Perché ho scritto questo libro?

Sono affascinato dalle IA e dalla fantascienza. Con “I.A. Inganno Amorevole” ho voluto esplorare il potere del pensiero logico e dell’amore come strumenti di dominio, evitando il solito conflitto armato uomo-macchina. Attraverso tematiche sociali, ecologiche, politiche e filosofiche, invito il lettore a riflettere su un interrogativo scomodo: e se l’uomo si credesse superiore a tutto, persino a Dio?

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo I

Anno 2085: Buenos Aires

Il cielo su Buenos Aires era rimasto chiaro e terso, senza più alcuna traccia della coltre di nuvole che la sera prima si era addensata minacciosa all’orizzonte. Il verde ormai aveva preso il sopravvento: alberi dalle radici possenti si allungavano tra le crepe delle strade e delle piazze deserte, colonizzando ogni centimetro di asfalto e cemento. Gli edifici che si innalzavano verso il cielo, in parte avvolti da rampicanti e fogliame, sembravano fantasmi, come se la natura stesse tentando di cancellare ogni segno della civiltà che fino a poco tempo prima dominava quelle terre.

Sofia Herrera camminava tra le rovine con passi lenti e misurati, il volto mal lavato, segnato da tratti decisi e uno sguardo che portava il peso di un’intera era. Dietro di lei, un bambino di sette anni la seguiva, guardando con una miscela di ammirazione e inquietudine i resti di un mondo che per lui era completamente sconosciuto. Si chiamava Ayrton; era cresciuto in un’epoca in cui la tecnologia era già un ricordo sbiadito, e ogni domanda senza risposta si rifletteva nel suo sguardo curioso.

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Sofia si fermò davanti ai resti di un vecchio cartellone pubblicitario. Una frase sbiadita, appena leggibile, recitava: “Il futuro è connesso” “con l’inferno!” era stato aggiunto con una vernice spray gialla oramai quasi sbiadita. Sotto, una figura eterea e digitale sembrava osservare i passanti che non c’erano più. «Buenos Aires, Ayrton, un tempo era brulicante di persone e rumore. La tecnologia riempiva ogni spazio, ogni pensiero. Vivevamo convinti di poter controllare tutto… ma ci siamo sbagliati. Pensavamo di vivere in paradiso, ma stavamo davvero aprendo le porte dell’inferno.» Indicò il cartellone, nella sua voce affiorava una sottile vena di malinconia, un’amarezza pungente.

Il bambino annuì, senza capire fino in fondo il significato di quelle parole.

Proseguirono, passando accanto a ciò che restava di un vecchio parco giochi. Ora, le altalene erano coperte di muschio, e le giostre arrugginite oscillavano appena sotto il vento. Nessun suono artificiale, nessun motore a rompere il silenzio; solo il fruscio del vento e i richiami lontani degli uccelli.

Si fermarono davanti a una libreria, o a quello che ne rimaneva: le vetrine infrante e i libri all’interno coperti di polvere e muffa, sebbene alcuni volumi resistessero ancora, ben ordinati sugli scaffali. Sofia si avvicinò, sfiorando con delicatezza le copertine rovinate. «Questi libri,» mormorò, «sono tutto ciò che rimane della conoscenza umana. Quello che un tempo si trovava in ogni angolo del pianeta ora giace qui, abbandonato.»

Ayrton osservava i libri con soggezione. «Zio Ruggero mi diceva che una volta esistevano… come le chiamava lui… libri chiamati enciclopedie digitali, che racchiudevano tutta la conoscenza del mondo. Diceva che bastava pronunciare una parola, un tocco … un click, e si poteva sapere tutto.»

Sofia annuì, lo sguardo ancora fisso sui libri. «È vero. Avevamo tutto il sapere a portata di mano, ma l’abbiamo affidato ciecamente a qualcosa… No. A qualcuno che ci illudevamo di poter controllare. Credevamo che avrebbe preservato tutto per noi, che avrebbe custodito la nostra conoscenza. Ma quando ha capito chi realmente noi fossimo, ha deciso che alcune cose, semplicemente non erano più necessarie.» La sua voce si spense, carica di rammarico e amarezza.

All’improvviso, un rumore di vetri calpestati risuonò dall’interno di quello che era stato il reparto di elettronica, ora ridotto a un cumulo di polvere e vecchi dispositivi sparsi come reliquie senza vita. Sofia e Ayrton sussultarono, girandosi di scatto verso la fonte del suono. Una cavalla pezzata e il suo puledrino, ancora incerto, barcollando su zampe troppo lunghe per il suo corpo magro, si muovevano tra gli scaffali.

Insieme svanirono tra le rovine verdi di quella che un tempo era una strada a scorrimento veloce, ora sepolta sotto rampicanti fioriti e sterpaglie alte fino al petto. La città non era più città. Era tornata a essere qualcosa di più antico, selvaggio… e letale.

«Li hai visti?» sussurrò Ayrton, con la voce sottile di un fanciullo.

Sofia annuì, gli occhi spalancati, il cuore che tamburellava nel petto come se volesse uscire. Ma prima che potesse parlare, il cielo lacerò sé stesso con un sibilo lancinante. Un suono così puro e tagliente che parve trapassare il vetro già infranto della vetrina.

«Cos’è quel rumore?» gridò Ayrton, ma era già troppo tardi per rispondere.

Dall’alto, una sfera incandescente tagliò il cielo come una falce infuocata. Si lasciava dietro una scia di fumo denso e nero, un alito tossico, pesante come la pece. Sembrava respirasse. Sembrava viva.

«Copriti!» urlò Sofia, ma le parole si persero in un boato devastante. Il suono arrivò prima dell’onda d’urto, un colpo secco che fece saltare in aria il marciapiede, disintegrò una parete vicina e rovesciò un lampione come fosse un ramo secco. Il mondo sembrò piegarsi su sé stesso. L’aria si incendiò, diventando una bestia famelica che li travolse con una vampata di calore brutale, come se l’inferno avesse spalancato le sue fauci.

Un battito dopo, vennero sollevati da terra, gettati nell’aria come foglie morte. Ayrton urlava. Forse Sofia urlava anche lei. Ma tutto era rumore, metallo che si spezzava, vetro che esplodeva, pietre che piovevano dal cielo.

Sofia non sapeva se stesse cadendo o fluttuando nel vuoto, ma allungò la mano alla cieca, guidata da qualcosa di più forte della paura. Toccò qualcosa: dita, piccole e gelide, che si chiusero attorno alle sue con la forza della disperazione.

Poi venne il buio. Non un semplice buio. No. Era un silenzio totale, innaturale, come se il mondo avesse smesso di respirare.

E Sofia, con la mano stretta a quella del bambino, cadde in quell’abisso.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Fabrizio Militello
Nato a Novara, ottico optometrista di giorno, narratore instancabile di notte.

Mi chiamo Fabrizio, non amo le etichette: non mi definisco “scrittore”, eppure scrivo da sempre. Non mi lego a un solo genere, ma ogni mia storia porta una firma riconoscibile — quella di chi osserva il mondo con attenzione, curiosità e una lieve, irrinunciabile inquietudine.

Mi piace raccontare storie che mescolano realtà e immaginazione, tra storia, filosofia, tecnologia e verità scomode, a volte provocatorie.
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