Gianca, Alan, Sandro e Caio sono nati a Trieste. Figli di madri assenti, sono cresciuti nei quartieri popolari. In casa, niente è più definitivo del provvisorio, la rabbia si tramanda di padre in figlio come fosse un’eredità, i soldi non ci sono mai, la città è una gabbia piena di vecchi dalla quale fuggire e la musica metal diventa l’unica possibilità di riscatto da un mondo che vuole costringerli a fare solo un lavoro inutile. Calcare. Cronache da Nordest è suoni devastanti, alcol, concerti abusivi nelle grotte del Carso, Carabinieri, pentoloni di Grand Pumpel, retate della Finanza sulla spiaggia, serate da coma etilico e perquisizioni in piazza. È rabbia che vibra sotto pelle, con le spille da balia nelle guance e gli autofilettanti nelle orecchie. È la ricerca costante di qualcosa che nessuno sa cosa sia, ma che manca come l’aria.
rossignolimarco
I protagonisti di questo romanzo, che ha tutte le caratteristiche del romanzo storico, non sono i personaggi.
Il vero protagonista è un flusso impetuoso fatto di musica da sala prove e di concerti più o meno ufficiali, sesso consumato senza interesse nè passione e di tanto alcol consumato ossessivamente, come anestetico contro ansia, fastidio, irritazione.
I personaggi galleggiano trasportati in questo flusso, urtano tra loro, incrociano ostacoli, spariscono sotto la superficie e riemergono, tanto più sconvolti e irriconoscibili, quanto uguali a prima.
Decidono poco del loro destino e quando ci riescono lo fanno in maniera scomposta, ritrovandosi puntualmente al punto di prima, ancora più frustrati e insoddisfatti.
La loro forza è alimentata dai sogni di libertà e dal rifiuto di accettare il sistema, sistema da cui vengono regolarmente schiacciati a ogni tentativo di opposizione.
C’è poesia nella loro disperazione, una poesia maledetta che l’autore avrebbe potuto illuminare di più, spremere ancora i tessuti fatti di sofferenza, i personaggi avrebbero sicuramente dato e detto altro di loro.
Con dei personaggi più delineati ci si sarebbe addirittura potuti affezionare, sarebbero potuti restare maggiormente nella memoria visiva del lettore, diventare veri protagonisti, nonostante la loro impontenza di fronte ai loro destini e le loro miserie.
La città è la co-protagonista del romanzo, descritta con molta cura, riportando dettagli precisi, percorrendo vie e descrivendo palazzi, evocando sensazioni legate a clima, atmosfere, suoni, viste, apprezzabili da chi la città la conosce e la vive e stimolante per chi voglia farci un giro per la prima volta.
I dialoghi sono per la quasi totalità in dialetto triestino, scelta molto audace ma obbligata: i personaggi dell’epoca non si sarebbero potuti esprimere diversamente.
Leggendolo con regolarità ci si abitua, la musicalità del triestino entra in testa e la lettura diventa scorrevole.
La speranza è che l’autore decida di mettere su carta altre memorie e sensazioni della sua città di origine, dopo questa opera prima imponente, viste le oltre 400 pagine, e coraggiosa, viste le immagini crude e senza censura.
E’ un libro da comprare e leggere, con una storia che descrive anni per i quali sarebbe difficile dire “si stava meglio quando si stava peggio”, in una tendenza dei giorni nostri ad esaltare il passato nei confronti di un presente che ci sembra vuoto, specialmente quando la retorica investe e giudica le nuove generazioni.
Nelle prossime trame di Massimiliano Rotti ci sarà sicuramente ritmo, i personaggi daranno trazione alla narrazione, ci saranno meno giri a vuoto, augurandoci di trovare la stessa durezza calcarea, la stessa genuina sincerità, alleggerendo dove si può alleggerire e calcando dove si può CALCARE.