In un regno dove la morte non esisteva, un giorno il re smise di respirare. Nessuno sapeva cosa fare, cosa dire, come continuare a vivere. Fu allora che Bugnolo, il fedele consigliere, intraprese un viaggio alla ricerca dei Cinque Piccoli Becchi, misteriosi uccelli che custodiscono il segreto del dolore e del ricordo.
I Cinque Piccoli Becchi è una fiaba delicata e profonda, nata per parlare ai bambini — e a chi bambino lo è stato — di ciò che più ci spaventa: la perdita. Ma anche di ciò che resta, che trasforma, che accompagna. Un libro per spiegare la morte senza far paura, per dare voce all’assenza e insegnare che ogni addio lascia tracce da custodire.
Scritto con amore da un padre e tanatoesteta, questo racconto è una carezza per chi resta, e un modo semplice per aprire, insieme, una delle conversazioni più difficili. Con verità. Con dolcezza. Con speranza.
Perché ho scritto questo libro?
Ho scritto questa storia perché nel mio lavoro ho incontrato la morte centinaia di volte. E ogni volta mi ha insegnato qualcosa. Non l’ho mai vista come la fine, né l’ho vissuta solo come una perdita. La morte, per me, è un passaggio misterioso, un movimento silenzioso verso un luogo che non ha confini. Un luogo che non è “altrove”, ma è oltre i luoghi e dentro tutti i luoghi. È un ritorno. Un’espansione. Una presenza diversa. Chi se ne va, non sparisce.
ANTEPRIMA NON EDITATA
CAPITOLO 1 – LA MORTE DEL RE
Nel Regno della Luce, dove le giornate erano lunghe come i sogni d’estate e le notti non facevano mai davvero buio, tutti gli abitanti vivevano in pace, perché nessuno moriva mai. Il tempo scorreva lento e dolce come miele sul pane caldo, e i bambini crescevano senza mai vedere una lacrima vera. Gli anziani diventavano sempre più saggi, ma restavano tra i vivi, con occhi colmi di storie e mani che stringevano ancora forte. Nessuno conosceva la parola “fine”. Nessuno l’aveva mai detta. Nessuno l’aveva mai sentita.
Il re di quel regno si chiamava Codi, e aveva i capelli del colore del sole al tramonto. Quando parlava, la sua voce sapeva far sbocciare i fiori e calmare i venti. Era un re amato, non perché avesse poteri magici, ma perché il suo cuore era grande come la terra intera, e il suo sorriso sapeva curare più di mille erbe.
Al suo fianco c’era Bugnolo, un uccello cicciotto dalle piume scure, con occhi tondi e becco profondo. Era il consigliere del re, ma più ancora era il suo amico. Passavano ore e ore a parlare, a ridere, a guardare le stelle che non cadevano mai. Bugnolo annotava tutto in un diario, non per dovere, ma per amore. Annotava le battute del re, le sue strane invenzioni, le ricette che improvvisava, le parole che diceva a chi aveva paura. Annotava tutto, come se sapesse che, un giorno, qualcuno avrebbe avuto bisogno di ricordare.
Poi, in un giorno che sembrava uguale agli altri, il re non si svegliò.
Non fu un urlo. Fu silenzio. Un silenzio che si infilò tra le piume di Bugnolo e non volle più uscire.
Bugnolo provò a chiamarlo. “Codi,” disse piano, come se parlasse al vento. Ma il re non rispose. Aveva gli occhi chiusi, sereni. La bocca accennava appena un sorriso, come se stesse sognando qualcosa di bello. Ma non respirava. E questo, nel Regno della Luce, non era mai accaduto.
Bugnolo tremò. Non per il freddo, ma per qualcosa di nuovo. Qualcosa che faceva paura e non aveva nome. I medici vennero, i saggi consultarono le stelle, i poeti provarono a cantare, ma nessuno sapeva dire cosa fosse successo. Solo Bugnolo sapeva. Lo capiva nel profondo, anche se nessuno gliel’aveva insegnato: Codi era morto.
Ma nessuno voleva crederci.
La Regina Madre parlava di un incantesimo. Il Gran Ciambellano propose di aspettare sette giorni e sette notti, ché forse il re si sarebbe svegliato. I bambini lasciavano fiori accanto al letto, e le maestre li rassicuravano con bugie gentili. Nessuno nel regno conosceva la morte. Nessuno sapeva come affrontarla. Per questo, la negarono.
Bugnolo guardava tutto questo e sentiva il cuore stringersi. Era come se un temporale fosse scoppiato solo dentro di lui, mentre fuori il cielo restava limpido. Ma il suo cielo era nero. E nessuno lo vedeva.
“Codi non tornerà,” sussurrava tra sé. “È andato via davvero.”
E così, mentre gli altri aspettavano un miracolo, Bugnolo fece ciò che solo chi ama davvero sa fare: accettò la verità, e cominciò il viaggio per cercare il modo di spiegarla agli altri.
Volò via, con le piume pesanti come pietre, portando con sé solo il diario del re e una domanda che gli scavava dentro: come si insegna la morte a chi non l’ha mai conosciuta?
Non sapeva bene dove andare, ma ricordava una leggenda. Una storia antica che parlava di cinque piccoli uccelli, nascosti nei confini più remoti del regno, che custodivano i segreti del cuore. Erano chiamati i Cinque Piccoli Becchi, e ognuno di loro parlava una lingua che nessuno voleva imparare. Si diceva che chi li avesse incontrati, avrebbe scoperto come guarire dal dolore più grande.
E allora, Bugnolo si mise in viaggio.
Attraversò boschi di parole mai dette, scalò montagne fatte di ricordi e sorvolò fiumi che scorrevano al contrario. Incontrò creature strane, alcune gentili, altre mute. Tutte sembravano sentirlo, come se sapessero cosa stava cercando. Ma nessuna aveva la risposta. Solo il vento, a volte, sussurrava: “Continua. Non sei lontano.”
Nel primo villaggio che incontrò, le persone ridevano. Ridevano sempre. Anche quando si ferivano, anche quando perdevano qualcosa. “Qui non si piange,” dissero. “Fa male agli occhi.” Bugnolo cercò di parlare loro della morte del re, ma loro risero più forte. “Oh, sarà solo addormentato. Succede.”
Allora capì che il suo viaggio non era solo per portare un messaggio. Doveva anche conoscere lui stesso ogni fase del dolore, attraversarla e portarne un pezzetto agli altri. Non bastava sapere che il re era morto. Doveva sentire ogni battito di quel lutto, viverlo tutto.
Dormì sotto una quercia antica, e nei sogni vide il re. Era giovane, rideva, correva nei campi. “Torna, Codi,” gli gridava Bugnolo. Ma il re si fermava, guardava avanti, e diceva: “Tu devi andare, Bugnolo. Più avanti di me.”
Quando si svegliò, Bugnolo pianse. Non una lacrima, ma un fiume. Era come se il suo cuore si fosse aperto tutto d’un colpo. E in quel pianto, qualcosa si liberò. La paura fece spazio a una calma nuova. La verità, finalmente, aveva trovato posto.
Riprese il volo. Il cielo era ancora limpido, ma nel suo cuore c’erano nuvole. E andava bene così.
Perché, per la prima volta, non si sentiva solo.
E così iniziò il vero viaggio. Il viaggio verso la comprensione del dolore.
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