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Ciò che Virgilio ci nascose o Turno illustrissimo re di Ardea

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Consegna prevista Marzo 2026

Virgilio scrisse l’Eneide per dare ad Augusto una discendenza divina. Siamo sicuri, quindi, che il più famoso poeta latino ci disse tutta la verità?
“Ciò che Virgilio ci nascose o Turno illustrissimo re di Ardea” racconta proprio tutto ciò che Virgilio evitò di raccontare nella sua più grande opera.
In questo testo teatrale, l’autore propone una visione diversa e sconosciuta del mito della nascita di Roma, mettendo in luce gli aspetti più misteriosi delle origini dell’Impero Romano. Si racconta che Turno, re di Ardea, avesse promulgato una “legge della verità” in modo da scongiurare ogni possibilità che i troiani ricevessero informazioni.
Allora quali sarebbero state le vere origini della Città Eterna? Con questa nuova versione del mito, l’autore ci rivela le sue scoperte, mostrando una realtà mai comparsa prima nei libri di storia.

Perché ho scritto questo libro?

Come alcune tra le cose più belle, questo libro nasce per scherzo. In un’epoca in cui tutti cercano di ritagliarsi i loro spazi mostrando la loro immagine migliore – quella più seria – nessuno ha veramente il coraggio di riportare il mondo a ridere del passato a giocare con esso. Forse è proprio attraverso uno scherzo che si possono rivelare e mettere in mostra le cose più serie della vita.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prologo

In scena c’è già il Prologo, pronto a introdurre la tragicommedia.

PROLOGO

Oh! Che ardir, nello spettacolo

narrar le antiche verità!

Che la storia, la nobiltà

divengan vere per miracolo…

O teatro – che dir si voglia! –

che di finzion si fa il vassallo,

sì gli parlò e gli disse: “Fallo!”

ché il falso suo quivi si spoglia.

Della più antica Ardea è la storia,

sicché Turno, re di finzione,

di verità fece invenzione

e d’essa vi vuol dar memoria.

Ei promulgò una grave legge:

morte a chi si fa menzoniero.

Sicché, come verace siero,

la verità Ardea protegge.

Or, chi di Turno fu alleato

– Camilla, Latino, Ufente –

ed altri ancor di quella gente,

sotto a quella legge è poi stato:

Messapo, Tolumnio ed il Cinzio

furon fedeli fino all’osso

tal che si fe’ il miracol grosso;

ma uno ordì l’imbroglio: Mezenzio.

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Oh, se il re cadde di sua mano!

Turno re, pover’uomo accorto:

fu il Mezenzio che ti fe’ morto!

Sicché lo uccise Enea il troiano.

Ahimé, ho da dirvi una leggenda

ch’ebbe storia e costituzione

per l’ingegnarsi d’un buffone;

e perciò vi supplico ammenda.

Non lo so il nome a cui fa appello:

lo autor non me lo volle dire.

Chi chiede el farà imbestialire…

quello ha un diavolo per capello!

No, el non è un uomo qualunque…

Oilà! Ma ritorniamo al dunque.

Scuserete lo autor distratto

s’errò in le regole del genere,

ch’el chiede alle vostr’alme tenere

di guardar almeno il primo atto.

Se la Istoria vi par errata

domandatene impiccagione:

bugiardo fu con voi il coglione!

Questa Istoria non l’è mai stata!

Ma, se ve ne sarà il piacere

di seguitar fino alla fine,

lo autor, che sta in su le colline,

dirà il sapervi intrattenere

con favolacce scritte male

motivo di discesa inutile,

ché codesto è sì scritto umile

tal che si rida del banale.

El spera ossessionatamente

ch’abbia compiuto il bene a scrivere

battute che non fanno ridere

e ch’ognun si facci paziente.

Diede un nome a codesta farsa:

“Ciò che Virgilio ci nascose”.

Sembra chissà che grandi cose

ma sarà una commedia… scarsa.

Dite: preferite un nome altro?

“Turno Illustrissimo Re di Ardea”

ma non piace la rimā ardua;

serviva un nome un po’ più scaltro…

“Ma l’erba mala è buona al gregge!”

disse l’autor molto convinto.

Ma il linguaggio è un po’ troppo spinto,

parrà che parlino scorregge!

E tra questi maleodori

ora è l’ingresso degli attori

che allieteranno vossignori.

Prologo si inchina e si chiude il sipario. Ha inizio la tragicommedia.

ATTO PRIMO

L’atto primo si svolge nei pressi della sala personale di Turno, sul castello di Ardea. Intorno a mezzogiorno. Si apre il sipario.

Scena prima

Messapo, Ufente

Ufente si trova già in scena: è rimuginante e si muove per la scena per sciogliere i nodi dei suoi pensieri. Si trova verso la sinistra del palco. Viene raggiunto da Messapo, che lo chiama entrando in scena da destra.

MESSAPO

‘Tacci tua Ufe’, chi se rivede! Ma ‘ndo’ sei stato tutto ‘sto tempo, a fa’ li funghi?

UFENTE

A Messa’, nun cominciamo, eh! So’ stato da li legionari mia a faje impara’ a odia’ per bene ‘sti troiani fiji de bona madre! Te ‘nvece che stavi a pettina’ ‘e bambole?

MESSAPO

Avoja! E che bambole!

UFENTE

Sempre a scherza’ stai, eh? A proposito…

Ufente rimane in silenzio, come se si fosse perso nei suoi pensieri, preoccupato.

MESSAPO

Embè?

UFENTE

Ah! Sì, senti ma… te che ne pensi de ‘sta legge nova?

MESSAPO

Che ‘n me cambia ‘n cazzo! T’ho sempre detto ‘a verità io…

UFENTE

Eh, ho capito… Ma non so come fa’ coi marmocchi; mica je posso di’ che so fiji de mignotta pe’ davero!

MESSAPO

Eh, capirai! Era peggio che ce fosse n’antro padre!

UFENTE

Vabbè, ho capito: stai a cazzara’. Ai fiji mia stasera je insegno er rispetto d’a ‘a legge.

MESSAPO

E bravo Ufente mio!

UFENTE

Ao, senti ‘n’attimo. (a bassa voce) Fai er vago che ce sta Mezenzio: quello è stronzo forte! Se ce sente…

MESSAPO

E fidate! Quello non è più stronzo de me, tant’è vero che me chiamo Messapo!

Scena seconda

Mezenzio, Messapo, Ufente

Mezenzio entra in scena in modo irruento da destra, poi si ferma con un colpo di tacco dal colore militare.

MEZENZIO

Alt! Saluti cordiali et istituzionali!

MESSAPO

Ave!

UFENTE

Ave.

MEZENZIO

Promulgata senza deroghe la legge di rivoluzionario ingegno dell’Illustrissimo Re Turno, detta “legge del vero giudizio” dagli ambasciatori del Regno e “legge della vita illuminata” dai poeti del popolo! Esigesi l’assoluta osservanza di tale legge, pena la morte!

MESSAPO

Senz’altro, generale Mezenzio.

MEZENZIO

Ufente! Richiedo immediato ragguaglio sopra la nemica invasione dei figli di Troia.

UFENTE

Anzitutto s’ha da rispettare il nemico, genera’!

MESSAPO

Disgraziato! Porta rispetto, ché si sa che il generalissimo non si accorge delle cose che dice. Perdonatelo, generale, ché il perdono è il primo dovere di un buon comandante.

UFENTE

Ma statte zitto, a leccaculo! (facendo un gesto minaccioso verso Messapo)

MESSAPO

Nun me fa ‘ncazza’ che te spacco de botte, a Ufe’!

MEZENZIO

(dividendo Messapo e Ufente) Calmate i vostri animi, immediatamente! Ufente, avete ragione voi. Un nemico rispettabile sconfitto porta più onore in patria.

UFENTE

Vi ringrazio sommamente, generale. E per di qui sono le buone nuove: abbiamo assunto abbastanza milizie da poter sostenere ogni possibile escursione navale da occidente. A oriente le montagne e i venti sono propizi e faranno da fido scudo. A meridione e a settentrione, invece, vi sono tante masse di scimmie e bifolchi che quei buzzurri dei troiani penseranno di non essere neanche mai partiti.

MEZENZIO

Eccellente. Per domani vi condurrò dai miei plotoni per alternare il comando e l’ordine. (uscendo) Saluti istituzionali!

UFENTE

Ave.

MESSAPO

Ave.

Scena terza

Ufente, Messapo

UFENTE

E che t’avevo detto? Quello è stronzo forte!

MESSAPO

Te lo devo di’ pe’ legge: c’avevi ragione!

UFENTE

Mo che me dici così, te chiedo scusa pe’ prima. Ce sta la legge!

Ufente indica il proprio palmo come se fosse la stele sulla quale la legge era stata scritta.

Vabbè, comunque io ormai me ce sottometto – e vedo de preparamme er discorso pei marmocchi.

MESSAPO

Se te serve ‘na mano mandame un piccione, me raccomando! Se beccamo.

UFENTE

Grazie, Messa’. A più tardi. (esce a destra)

Scena quarta

Messapo solo

Messapo si muove rimuginante, quasi imitando lo stesso Ufente della prima scena, poi si siede.

MESSAPO

Dura ‘sta legge, ao… Tanto alla fine chi lo capisce se ‘sto a di’ er falso oppure no? Mo me tocca prega’ Iddio pe’ davero… Vabbè, che intanto ‘sti potenti fanno sempre quello che je pare… Però a ‘sto giro me fido, Turno è n’omo bono, de fero quasi, un re pure dentro ar core suo. Come lui ‘nc’è stato mai nessuno, eh! E poi m’ha sempre voluto tanto bene; sarà che ce vole rende’ tutti re co’ ‘sta verità, e almeno de capoccia ce sta a riusci’: co’ tutti ‘sti pensieri m’ha fatto senti’ i sacrifici che ha fatto in vita sua tutti in una botta. Ma come j’è venuta in mente ‘sta robetta nun se sa! Ammazza, oh…

Scena quinta

Camilla, Latino, Messapo

Camilla e Latino entrano da destra parlando dei loro fatti personali legati ai loro regni e alla possibile unione del popolo dei volsci con quello dei latini.

CAMILLA

(fermandosi improvvisamente) Messapo, non cialtroneggiate. Noi si va per la sala da pranzo.

MESSAPO

(alzandosi) Santi numi, Camilla! Siete entrata con forza nel senso di questa legge, voi!

CAMILLA

Altro: in senso più che assoluto. Era necessità d’ogni popolo riunitosi nel Regno di Ardea d’avere un sacro dogma di una tale levatura. Solo il Re Turno Illustrissimo poté ingegnarsi così eccellentemente in virtù di esso! Sia in Egli l’ammirazione tutta.

LATINO

D’ammirazione e stima a Egli Illustrissimo ne si deve un’infinità, ma mi viene il dubbio che sia fatta per difendersi dai troiani… piuttosto per difendersi dai regicidi!

CAMILLA

E ciò ne varrebbe altrettanto di ragione e virtù. Al fine di dare alla plebe una legge perseguente la Giustizia, per ignoranza estrema di loro, è concesso ai savi di mentire. Ma Turno, uomo illustrissimo e di genio unico e illuminato, sarebbe già sepolto con tanto di regi funerali se Egli avesse promulgata una mendace parola; è la legge, e la legge vige chiara e indiscussa.

LATINO

Oh, Camilla! Pare voi diciate il vero per istinto più che per legge! Tuttavia, io di una tale legge gradirei discutere.

MESSAPO

Quindi il vero è che è discussa o che è indiscussa? Mi dà ai nervi non capire… m’intendo di guerra, io, mica di morale!

CAMILLA

Messapo, non disperate: presto la verità vi darà corpo come mai successe in passato.

LATINO

Altroché! Difatti essa mi muove e tramite essa professo il mio cinismo. Riflettete, signori: Turno, Re Illustrissimo, oltre che di terra, di mare e di cielo, diverrebbe padrone anche di ogni testa, di ogni mente e pensiero, con questa sua “Legge della Verità”. E per legge, ohimé, sono obbligato a presentarvi queste mie istanze! Ma meglio sostenerne il diverbio nell’immediato, restando peraltro in vigor di legge, che tacerne e sopprimersi fino al tempo in cui si sarà già fatto troppo tardi.

CAMILLA

Svergognato d’un Latino! Da burino qual siete, vi par che io intenda meretrici per nutrici? Che io sia stolta come il più umile dei plebei? Resto esterrefatta.

MESSAPO

Cincischiate come bimbi! Orsù, signori, eccedete in amenità! Ne parleremo con garbo e rettitudine durante il pranzo.

CAMILLA

Accetto, ma biasimo. La verità è eterna, imperitura; non può essere oggetto di procrastinazione. Me ne vo’. (esce)

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Simone Geusa
Classe 2005. Studio alla facoltà di Lettere e Filosofia all'università La Sapienza di Roma. La scrittura per me non è una passione, ma una missione: quella di rivelare al mondo la verità del passato mostrando il mondo del futuro.
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