ché il falso suo quivi si spoglia.
e d’essa vi vuol dar memoria.
morte a chi si fa menzoniero.
la verità Ardea protegge.
ma uno ordì l’imbroglio: Mezenzio.
Oh, se il re cadde di sua mano!
Turno re, pover’uomo accorto:
fu il Mezenzio che ti fe’ morto!
Sicché lo uccise Enea il troiano.
Ahimé, ho da dirvi una leggenda
ch’ebbe storia e costituzione
per l’ingegnarsi d’un buffone;
e perciò vi supplico ammenda.
Non lo so il nome a cui fa appello:
lo autor non me lo volle dire.
Chi chiede el farà imbestialire…
quello ha un diavolo per capello!
No, el non è un uomo qualunque…
Oilà! Ma ritorniamo al dunque.
Scuserete lo autor distratto
s’errò in le regole del genere,
ch’el chiede alle vostr’alme tenere
di guardar almeno il primo atto.
Se la Istoria vi par errata
domandatene impiccagione:
bugiardo fu con voi il coglione!
Questa Istoria non l’è mai stata!
Ma, se ve ne sarà il piacere
di seguitar fino alla fine,
lo autor, che sta in su le colline,
dirà il sapervi intrattenere
con favolacce scritte male
motivo di discesa inutile,
ché codesto è sì scritto umile
tal che si rida del banale.
El spera ossessionatamente
ch’abbia compiuto il bene a scrivere
battute che non fanno ridere
e ch’ognun si facci paziente.
Diede un nome a codesta farsa:
“Ciò che Virgilio ci nascose”.
Sembra chissà che grandi cose
ma sarà una commedia… scarsa.
Dite: preferite un nome altro?
“Turno Illustrissimo Re di Ardea”
ma non piace la rimā ardua;
serviva un nome un po’ più scaltro…
“Ma l’erba mala è buona al gregge!”
disse l’autor molto convinto.
Ma il linguaggio è un po’ troppo spinto,
parrà che parlino scorregge!
E tra questi maleodori
ora è l’ingresso degli attori
che allieteranno vossignori.
Prologo si inchina e si chiude il sipario. Ha inizio la tragicommedia.
ATTO PRIMO
L’atto primo si svolge nei pressi della sala personale di Turno, sul castello di Ardea. Intorno a mezzogiorno. Si apre il sipario.
Scena prima
Messapo, Ufente
Ufente si trova già in scena: è rimuginante e si muove per la scena per sciogliere i nodi dei suoi pensieri. Si trova verso la sinistra del palco. Viene raggiunto da Messapo, che lo chiama entrando in scena da destra.
MESSAPO
‘Tacci tua Ufe’, chi se rivede! Ma ‘ndo’ sei stato tutto ‘sto tempo, a fa’ li funghi?
UFENTE
A Messa’, nun cominciamo, eh! So’ stato da li legionari mia a faje impara’ a odia’ per bene ‘sti troiani fiji de bona madre! Te ‘nvece che stavi a pettina’ ‘e bambole?
MESSAPO
Avoja! E che bambole!
UFENTE
Sempre a scherza’ stai, eh? A proposito…
Ufente rimane in silenzio, come se si fosse perso nei suoi pensieri, preoccupato.
MESSAPO
Embè?
UFENTE
Ah! Sì, senti ma… te che ne pensi de ‘sta legge nova?
MESSAPO
Che ‘n me cambia ‘n cazzo! T’ho sempre detto ‘a verità io…
UFENTE
Eh, ho capito… Ma non so come fa’ coi marmocchi; mica je posso di’ che so fiji de mignotta pe’ davero!
MESSAPO
Eh, capirai! Era peggio che ce fosse n’antro padre!
UFENTE
Vabbè, ho capito: stai a cazzara’. Ai fiji mia stasera je insegno er rispetto d’a ‘a legge.
MESSAPO
E bravo Ufente mio!
UFENTE
Ao, senti ‘n’attimo. (a bassa voce) Fai er vago che ce sta Mezenzio: quello è stronzo forte! Se ce sente…
MESSAPO
E fidate! Quello non è più stronzo de me, tant’è vero che me chiamo Messapo!
Scena seconda
Mezenzio, Messapo, Ufente
Mezenzio entra in scena in modo irruento da destra, poi si ferma con un colpo di tacco dal colore militare.
MEZENZIO
Alt! Saluti cordiali et istituzionali!
MESSAPO
Ave!
UFENTE
Ave.
MEZENZIO
Promulgata senza deroghe la legge di rivoluzionario ingegno dell’Illustrissimo Re Turno, detta “legge del vero giudizio” dagli ambasciatori del Regno e “legge della vita illuminata” dai poeti del popolo! Esigesi l’assoluta osservanza di tale legge, pena la morte!
MESSAPO
Senz’altro, generale Mezenzio.
MEZENZIO
Ufente! Richiedo immediato ragguaglio sopra la nemica invasione dei figli di Troia.
UFENTE
Anzitutto s’ha da rispettare il nemico, genera’!
MESSAPO
Disgraziato! Porta rispetto, ché si sa che il generalissimo non si accorge delle cose che dice. Perdonatelo, generale, ché il perdono è il primo dovere di un buon comandante.
UFENTE
Ma statte zitto, a leccaculo! (facendo un gesto minaccioso verso Messapo)
MESSAPO
Nun me fa ‘ncazza’ che te spacco de botte, a Ufe’!
MEZENZIO
(dividendo Messapo e Ufente) Calmate i vostri animi, immediatamente! Ufente, avete ragione voi. Un nemico rispettabile sconfitto porta più onore in patria.
UFENTE
Vi ringrazio sommamente, generale. E per di qui sono le buone nuove: abbiamo assunto abbastanza milizie da poter sostenere ogni possibile escursione navale da occidente. A oriente le montagne e i venti sono propizi e faranno da fido scudo. A meridione e a settentrione, invece, vi sono tante masse di scimmie e bifolchi che quei buzzurri dei troiani penseranno di non essere neanche mai partiti.
MEZENZIO
Eccellente. Per domani vi condurrò dai miei plotoni per alternare il comando e l’ordine. (uscendo) Saluti istituzionali!
UFENTE
Ave.
MESSAPO
Ave.
Scena terza
Ufente, Messapo
UFENTE
E che t’avevo detto? Quello è stronzo forte!
MESSAPO
Te lo devo di’ pe’ legge: c’avevi ragione!
UFENTE
Mo che me dici così, te chiedo scusa pe’ prima. Ce sta la legge!
Ufente indica il proprio palmo come se fosse la stele sulla quale la legge era stata scritta.
Vabbè, comunque io ormai me ce sottometto – e vedo de preparamme er discorso pei marmocchi.
MESSAPO
Se te serve ‘na mano mandame un piccione, me raccomando! Se beccamo.
UFENTE
Grazie, Messa’. A più tardi. (esce a destra)
Scena quarta
Messapo solo
Messapo si muove rimuginante, quasi imitando lo stesso Ufente della prima scena, poi si siede.
MESSAPO
Dura ‘sta legge, ao… Tanto alla fine chi lo capisce se ‘sto a di’ er falso oppure no? Mo me tocca prega’ Iddio pe’ davero… Vabbè, che intanto ‘sti potenti fanno sempre quello che je pare… Però a ‘sto giro me fido, Turno è n’omo bono, de fero quasi, un re pure dentro ar core suo. Come lui ‘nc’è stato mai nessuno, eh! E poi m’ha sempre voluto tanto bene; sarà che ce vole rende’ tutti re co’ ‘sta verità, e almeno de capoccia ce sta a riusci’: co’ tutti ‘sti pensieri m’ha fatto senti’ i sacrifici che ha fatto in vita sua tutti in una botta. Ma come j’è venuta in mente ‘sta robetta nun se sa! Ammazza, oh…
Scena quinta
Camilla, Latino, Messapo
Camilla e Latino entrano da destra parlando dei loro fatti personali legati ai loro regni e alla possibile unione del popolo dei volsci con quello dei latini.
CAMILLA
(fermandosi improvvisamente) Messapo, non cialtroneggiate. Noi si va per la sala da pranzo.
MESSAPO
(alzandosi) Santi numi, Camilla! Siete entrata con forza nel senso di questa legge, voi!
CAMILLA
Altro: in senso più che assoluto. Era necessità d’ogni popolo riunitosi nel Regno di Ardea d’avere un sacro dogma di una tale levatura. Solo il Re Turno Illustrissimo poté ingegnarsi così eccellentemente in virtù di esso! Sia in Egli l’ammirazione tutta.
LATINO
D’ammirazione e stima a Egli Illustrissimo ne si deve un’infinità, ma mi viene il dubbio che sia fatta per difendersi dai troiani… piuttosto per difendersi dai regicidi!
CAMILLA
E ciò ne varrebbe altrettanto di ragione e virtù. Al fine di dare alla plebe una legge perseguente la Giustizia, per ignoranza estrema di loro, è concesso ai savi di mentire. Ma Turno, uomo illustrissimo e di genio unico e illuminato, sarebbe già sepolto con tanto di regi funerali se Egli avesse promulgata una mendace parola; è la legge, e la legge vige chiara e indiscussa.
LATINO
Oh, Camilla! Pare voi diciate il vero per istinto più che per legge! Tuttavia, io di una tale legge gradirei discutere.
MESSAPO
Quindi il vero è che è discussa o che è indiscussa? Mi dà ai nervi non capire… m’intendo di guerra, io, mica di morale!
CAMILLA
Messapo, non disperate: presto la verità vi darà corpo come mai successe in passato.
LATINO
Altroché! Difatti essa mi muove e tramite essa professo il mio cinismo. Riflettete, signori: Turno, Re Illustrissimo, oltre che di terra, di mare e di cielo, diverrebbe padrone anche di ogni testa, di ogni mente e pensiero, con questa sua “Legge della Verità”. E per legge, ohimé, sono obbligato a presentarvi queste mie istanze! Ma meglio sostenerne il diverbio nell’immediato, restando peraltro in vigor di legge, che tacerne e sopprimersi fino al tempo in cui si sarà già fatto troppo tardi.
CAMILLA
Svergognato d’un Latino! Da burino qual siete, vi par che io intenda meretrici per nutrici? Che io sia stolta come il più umile dei plebei? Resto esterrefatta.
MESSAPO
Cincischiate come bimbi! Orsù, signori, eccedete in amenità! Ne parleremo con garbo e rettitudine durante il pranzo.
CAMILLA
Accetto, ma biasimo. La verità è eterna, imperitura; non può essere oggetto di procrastinazione. Me ne vo’. (esce)
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