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Come di Magritte gli Amanti

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Consegna prevista Maggio 2026

In un perfetto mondo distopico di un futuro indefinito, una ragazza ha paura di ribellarsi. Si chiama Sofia, vive in un’era in cui un siero imposto sulla popolazione decide ogni relazione, ogni amore. Lei ha il terrore che andare controcorrente sia sbagliato, finché non incontra il misterioso Tommaso. I grandi drammi adolescenziali la sovrastano, impedendole di reagire a favore di una causa più grande di lei, finché scopre di non essere la sola a voler rivoluzionare la sua realtà. Forse, il siero non è altro che un app di incontri. Forse, il futuro di Sofia non è così distante dal nostro presente.

Perché ho scritto questo libro?

Ho ideato la trama di questo libro per gioco, quando avevo 12 anni. La scrittura ha sempre scandito la mia vita, non l’ho mai abbandonata. Ho ritrovato la trama quasi per sbaglio, sistemando la stanza, 6 anni dopo. Da allora, giorno dopo giorno, l’ho sistemata, aggiustata e sviluppata, dando vita a quest’opera. Nella protagonista, Sofia, c’è un po’ di me (o forse, ormai, viceversa) e nel suo mondo c’è un po’ di velata attualità. Trovo che in ogni fantasy o distopico si celi una sottile realtà.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo I – “Nel blu, dipinto di blu.”

Nel blu dipinto di blu

Felice di stare lassù

E volavo, volavo felice più in alto del sole

Ed ancora più su

Nel 1789 fu assemblato un cerchio diviso in 53 settori, uno per ogni sfumatura del blu del cielo. Si chiamava “cianometro” e con il tempo servì al suo inventore De Saussure per capire che in realtà l’aria è incolore e ciò che vediamo dipende dalle particelle, dal vapore acqueo e dai cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera. Io, però, nel mio cianometro appeso accanto alla finestra ci vedevo molto di più. Ogni mattina mi alzavo dal letto e controllavo la sfumatura del giorno. A volte c’erano dei bei cieli numero 17, di quelli che i bambini non vedono l’ora di giocare al parco e correre fuori casa; mentre altri erano un cielo numero 36, che si aspetta solo il momento in cui scoppia a piovere per chiudere tutte le finestre e vedere un film. I miei cieli preferiti erano i numero 8, quelli così luminosi che danno speranza, che sembra quasi che tutto possa migliorare. Quella mattina il cielo era proprio un numero 8 e pensai che non esistesse nulla di più poetico di uno strumento che misura le sfumature di blu. Eppure, in quel mondo, cos’era rimasto di poetico? I cantanti non cantavano più, gli artisti non dipingevano più, gli scrittori non scrivevano più, i ballerini non ballavano più e i poeti non poetavano più. Non tutti ne comprendevano il motivo ed altri nemmeno se ne accorgevano, tanto abituati alla monotona routine di cui vivevano. Alcuni avevano cominciato a capirla la causa: era cominciato tutto quando avevano inventato il soulmarker.

– Rivoluzionerà il mondo! – aveva detto qualche politico in tv -Verrà iniettato a tutti all’età di 10 anni, farà vivere tutti quanti

meglio!

Non era neanche stata presa una decisione comune, era stato scelto e basta. Il soulmarker era un siero nero come la notte, più scuro di un cielo numero 53. Una volta iniettato, permetteva di riconoscere la propria anima gemella: una volta che due anime gemelle si toccavano, la parte di pelle che era stata sfiorata diventava subito nera. Era come un segno, un marchio che ricordava chi fosse la propria anima gemella. La nonna me lo raccontava com’era il mondo prima: un mondo dove ci si poteva innamorare, dove si viveva liberi, circondati dall’amore che ora sembra sepolto in lontananza. Invece, nella mia realtà, innamorarsi era diventato un dovere, non un sentimento. L’amore non lo si sceglieva, era un compito che spettava a qualche sconosciuto o qualche strambo destino che giocava con i sentimenti, ormai praticamente inesistenti e futili, irrilevanti. L’amore era solo un costrutto, qualcosa che si era obbligati a provare a causa di un segno nero. Io sognavo un mondo diverso, un mondo in cui innamorarmi con tutto il cuore, in cui decidere da sola cosa provare e per chi, sognavo qualcuno che si innamorasse davvero di me, non del marchio. In un mondo come questo, come potrebbero i cantanti cantare, gli artisti dipingere, gli scrittori scrivere, i ballerini ballare ed i poeti poetare, se non avevano l’amore? Quell’amore di cui prima il mondo era circondato, avvolto, “che move il sole e l’altre stelle”. Se non c’era questo da provare, allora come poteva esistere la poesia, in tutte le sue forme? Avrei tanto voluto vedere il mondo prima del siero ma invece ero lì, davanti allo specchio, senza poter fare niente per cambiare ciò che mi circonda. Mi guardavo e controllavo che i vestiti fossero coprenti a sufficienza da evitare che ci fosse pelle troppo esposta, così se mi toccava qualcuno non rischiavo apparisse il segno del soulmarker. Pettinavo i capelli biondi svogliatamente, tanto non erano mai nè belli nè brutti, un po’ lisci e un po’ mossi. Gli occhiali da vista coprivano il bel colore verde dei miei occhi ma facevano sembrare migliore il mio naso. Il viso da bambolina probabilmente mi faceva sembrare più piccola di qualche anno rispetto alla realtà, mentre tutti i miei amici dimostravano alla perfezione i loro 19 anni. “Tutti” è un parolone, sembra quasi siano tanti: saranno stati forse 5 in tutto, ma mi bastavano loro, mi facevano stare bene e mi capivano. Sapevo di non essere una persona facile, sempre troppo indecisa, troppo insicura. Non mi sentivo mai abbastanza: ero brava ma non mi impegnavo, ero bella ma potevo essere meglio. Non ero abbastanza sorridente ma ero troppo allegra, non sapevo consolare ma ero estremamente empatica. Riuscivo ad essere la persona più estroversa del mondo per poi chiudermi in un guscio qualche attimo dopo. Ero solare ma tristissima, introversa ma socievole. Mi sentivo come un grande ossimoro, ma ai miei amici non l’ho mai dovuto spiegare. Loro erano là per me, a prescindere da quale parte di me mostrassi. Era come se la mia personalità fosse spaccata in tante sfaccettature e decidesse

autonomamente quale far conoscere. Non lo vedevo come un difetto, pur confondendomi da sola. Sapevo nascondere e mascherare alla perfezione qualunque sentimento e distaccarmi in modo atarassico, oppure fallivo nel gestire la rabbia, la tristezza e la delusione ed esplodevo. Non avevo una via di mezzo. Io ero questo: ero tante cose tutte insieme, forse per questo, a volte, ero solamente troppo, troppo perché qualcuno mi sopportasse o mi capisse. Il mio carattere era il motivo per cui tenevo ai miei amici come oro colato: mi hanno vista e conosciuta in ogni mia piccola sfaccettatura, non era da sottovalutare ed io lo sapevo bene. Loro erano tutto quello che

avevo e non chiedevo altro: far pace dopo i litigi con loro era facile, oserei dire naturale. Certo, con gli amici maschi era più facile, tra loro non ci sono la competizione e l’invidia presenti nell’amicizia tra femmine. I maschi litigano ed il giorno dopo ci fanno una partita a calcio sopra e tornano migliori amici. Tra femmine non è così semplice, passano mesi di battute, sguardi e frasi pungenti prima di tornare a parlare normalmente. Tutte troppo impegnate e troppo orgogliose per chiarire più velocemente ed umanamente. Solamente con Greta era diverso. L’una accanto all’altra eravamo due opposti, lei scura, sicura di sé, io bionda, incerta su tutto. L’incertezza era una caratteristica di cui tendevo a dare la colpa a mia mamma, probabilmente solo per non prendermi il peso di un altro difetto, per costruirmi un alibi solido tanto quanto uno di quelli di Zeno, una scarsa giustificazione. Lei a volte sapeva essere tanto indecisa, ma allo stesso modo tanto forte. Con mio papà aveva in comune la dolcezza ed allo stesso tempo il pugno fermo con cui gestivano le situazioni. A vederli facevano scaldare il cuore, loro che si erano innamorati prima del soulmarker. Si amavano e si vedeva, si leggeva nei loro sguardi. L’amore inondava la nostra casa come uno tsunami quando loro erano insieme. L’avevano capito subito che il siero era un’invenzione terribile ed avevano previsto di non farmelo iniettare. Purtroppo, lo resero obbligatorio. La mia annata è stata la prima ad essere coinvolta in totalità. Molte persone erano a favore, probabilmente solo perché rendeva tutto più facile: non c’era più bisogno di avere delusioni d’amore, di soffrire per amore. Nessuno doveva andare dietro alla persona che amava, nessuno si doveva chiedere se i propri sentimenti fossero reali o se fosse la persona giusta: c’era il siero a farlo per tutti. Girando per strada si vedevano ovunque le coppiette, con marchi sulle braccia, sul volto o sulle gambe, ma spesso senza segni sul cuore. Magari ogni tanto il soulmarker aveva pure ragione ed individuava persone destinate a stare insieme ed amarsi per tutta la vita, ma non sarebbe stato meglio innamorarsi, perdersi, lasciarsi andare all’amore alla cieca?

Erano pochi quelli che la pensavano come me, perlomeno dove vivevo io. La maggior parte si fidava, aspettava solo che il marchio spuntasse per abbandonarsi a quell’amore artificioso. Ogni tanto ricordo i miei genitori mentre nei telegiornali parlavano del siero:

– Sofia, non ascoltarli, quei signori, – mi dicevano – l’amore è un’altra cosa. Probabilmente sono solo stata influenzata da loro e se fossi

cresciuta in un’altra famiglia sarei stata elettrizzata vedendo spuntare il marchio. Adesso, invece, ne ero terrorizzata. Cosa sarebbe successo se la mia anima gemella mi avesse toccato? Come potevo innamorarmi di qualcuno a comando, solo perché l’aveva deciso il soulmarker per me?

Eppure, sembrava che tutti se lo facessero andare bene quest’amore fatto di polvere, come se non fosse importante la persona o il sentimento, solo il fatto d’averlo trovato. Sentivo addosso tutta l’ansia del mondo ed allo stesso tempo il peso di dover cambiare il mondo. Mi sentivo colpevole del mondo stesso in cui vivevo dato che non avevo mai provato a far nulla per cambiarlo, come se fossi la più grande ipocrita della storia. Già mi vedevo nell’Inferno Dantesco con un enorme cappuccio sugli occhi, come punizione eterna per espiare la mia colpa di lamentarmi e non lottare. Eppure, far cambiare qualcosa mi sembrava impossibile, mi dicevo “cambierà tutto con il prossimo Governo”, o “ci sarà qualcuno che la pensa come me che smuoverà tutto”, pensavo di tutto, purché non toccasse a me. E mentre camminavo verso scuola, sotto quel cielo numero 8 con un sole splendente contornato da nuvole bianche, mi chiedevo cosa fosse quel famoso amore.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Klara Bontempo
Sono Klara Bontempo, studentessa di Scienza Politica presso l’Università di Catania. Ho da sempre coltivato la passione per la scrittura, fino alla realizzazione di questo primo romanzo. Metto tutta me stessa in ciò che scrivo, parlando con l’anima più che con le parole. Nasco “isola nell’isola”, come Pirandello, ma “vivo fra due mondi”, come Kafka. Amo viaggiare tanto quanto amo la mia terra e leggere tanto quanto scrivere. Il distopico è il mio genere preferito (proprio quello del mio romanzo!) ma apprezzo tutta l’arte in generale. Al momento vivo con il sogno di pubblicare il mio primo libro e di lavorare nell’ambito delle relazioni internazionali. Per conoscermi un po’ meglio consiglio di visitare i miei profili social, il mio diario di bordo contemporaneo.
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