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Come lacrime nella pioggia

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Consegna prevista Giugno 2026
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Una banda di ragazzini nella Torino anni ’70. Un gioco sempre più pericoloso che finisce nel crimine, con tutti i suoi risvolti più patinati e drammatici. E poi, soprattutto, la storia di un padre e di un figlio alla ricerca dell’altro. Lo sfondo cambia vorticosamente: i turbolenti anni di piombo in una plumbea Torino, la solare Napoli canterina, la Milano da bere che precede il crollo della prima repubblica e poi la realta’ carceraria, dove il protagonista comincia a vedere tutto con occhi diversi.

Perché ho scritto questo libro?

Le motivazioni sono semplici.
Primo: mi interessa il genere noir, a cui ho dedicato precedentemente 5 romanzi.
Secondo: la storia che racconto è esemplata su un personaggio in carne ed ossa, trasfigurato dalla mia fantasia nel nome e nel carattere.
Terzo: mi interessa parlare del rapporto padre/figlio in un contesto particolarmente difficile.
Quinto: credo che la situazione delle carceri italiane sia insostenibile e che la cultura possa cambiare la vita di un detenuto.
Puo’ bastare?

ANTEPRIMA NON EDITATA

Per molti anni sono andato a letto presto, ma non sono Marcel Proust e nemmeno Robert De Niro.

Sono un criminale.

“Non sparare. Ti prego. Ho moglie e due figli a casa.”

“Fai quello che ti dico e nessuno si farà male.”

L’uomo trema. E’ pelato e cicciottello, molto più adatto a stare sul sofà di casa in vestaglia che nel mezzo di una rapina.

“Apri quella cazzo di cassaforte!” gli grida Raf. Lui è piuttosto sbrigativo e lo devo tenere sotto tiro. Più pericoloso lui di  uno sbirro.

Gli faccio solo un cenno con la mano, ha capito cosa voglio comunicargli. 

Calma.

Sta andando tutto bene.

Gli impiegati della filiale, quasi tutti uomini, fissano immobili la scena. Ci tengono alla pelle e Raf li ha spaventati al punto giusto.

L’uomo tremante si è girato di spalle e ha azionato la cassaforte. 

Da lì escono un po’ di biglietti pesanti. Mazzette da dieci, cinquanta e centomila lire.

Saranno due, tre milioni.

Riempio la borsa e cammino come il gambero, a ritroso verso l’uscita, mentre Raf fa lo stesso.

Fuori tutto tranquillo. Fulvio mette in moto e schizziamo via per le strade affollate di una Torino imprigionata dal gelo. E’ il 24 gennaio 1975 e mi sbagliavo.

I milioni sono nove, tre a testa.

Io ho appena compiuto quindici anni.

Quando torno a casa mia madre mi saluta con il gelo negli occhi. Aria di tempesta. Conosco il motivo.

Mi padre ha lo sguardo più dolce, ma i suoi occhi sono tristi.

“Anche oggi non sei andato a scuola”.

“Chi te l’ha detto?”

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“Abbiamo telefonato, tua mamma ed io. Hai fatto sei assenze in otto giorni.”

Non fiato, perché non ho nulla da dire. 

“Ascolta, Max. Sediamoci qui, vieni”, e mi fa accomodare su quel sofà del minuto salotto che io avevo battezzato il confessionale.

“Lo so che non vuoi più fare quella scuola, non te ne frega niente di fare l’elettricista. Ti ho trovato un posto di lavoro.”

“Lavoro, che lavoro?” dico io un po’ stupidamente.

“Da Dino, il mio amico meccanico. Lo conosci anche tu. Ha bisogno di un aiuto perché il suo garzone parte militare. Un anno di prova, trecentomila lire al mese, e se vai bene ti tiene con un bel contratto a vita.”

Lo guardo inespressivo.

“E poi non hai sempre detto che le automobili sono la tua passione?”

Vero, pensai, ma da rubare, non da aggiustare.

“Beh, non mi dici niente?”

“Vuoi che faccia i salti di gioia?”

Papà scosse la testa.

“Non voglio farti la morale, basta che guardi me. Vuoi fare la mia fine? Vuoi che i tuoi figli, quando ne avrai e se ne avrai, crescano senza un padre?”

Questa volta risposi deciso: “No, no!”

“E allora accetta la mia proposta. Ti porto io da Dino domani. Ha bisogno di te subito”.

Un mese dopo tornai a casa verso le quattro. Mio padre era ancora al lavoro e mia mamma stava preparando le bugie di Carnevale.

“Tieni”, le dissi, porgendole una busta bianca.

“Cosa c’è dentro?”

“La mia paga. Mi sono licenziato. Dino mi ha dato tutto ciò che mi spettava.”

“Ma sei impazzito? Tuo padre morirà di crepacuore.”

“Non voglio fare il meccanico tutta la vita. “

“Ah sì? E cosa vorresti fare, sentiamo: il medico, l’avvocato e l’ingegnere? Max, Max!”

E scoppiò a piangere.

Io non sopportavo vederla in quello stato e me ne andai. Raf mi aspettava sotto casa. 

In realtà, avevo già scelto il lavoro.

Il rapinatore di banche.

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Mario Marino
Nato a Chivasso il 17 settembre 1961, chivassese nel profondo dell'animo, il sottoscritto ha dedicato la vita alla passione letteraria: leggendo, leggendo e ancora leggendo. Poi ha cominciato a insegnare e solo in seguito a scrivere. Non aggiungerei altro, sarebbe ozioso e dispersivo.
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