Era al secondo giorno di incarico e l’aveva già beccato. Pur con tutta la buona volontà di questo mondo, non avrebbe potuto tirarla tanto per le lunghe.
Non l’aveva colto in flagrante, ma quanto ci voleva a capire l’antifona? Federico avrebbe fatto due più due in un attimo. D’altronde la foto del bel Maurizio in compagnia di un altro uomo, all’ingresso di un hotel nei pressi della Stazione Termini, la diceva lunga. Stare lì a cercare la foto di un abbraccio o di un bacio era inutile.
Da quando aveva aperto l’agenzia investigativa, era il terzo caso di una coppia omosessuale che gli capitava per le mani. Non poteva fare di tutta l’erba un fascio, ma aveva la sensazione che il traditore gay fosse meno accorto. Le coppie eterosessuali gli davano decisamente più soddisfazione. Le donne in particolare. Almeno, poteva concedergli l’attenuante di qualche ingegnoso tentativo di occultare la relazione ai mariti.
«Due casi chiusi nel giro di una settimana» sospirò. «Che poi due è un parolone.»
Adele Marchitelli non era stata neppure un caso. Poverina! Si era ripromesso di chiamarla, ma non sapeva cosa dirle. Il marito l’aveva tradita e ripetutamente. E se non era responsabile lui dell’esaurimento nervoso di quella poveretta, poco ci mancava. Perché, altrimenti, lei si sarebbe dovuta convincere che un neo peloso dietro la schiena del marito fosse la prova inconfutabile della sua natura luciferina?
Contattarlo era stata una carognata, ma non aveva potuto fare altrimenti. Quell’uomo andava avvertito. Adele era pericolosa. In fondo, era arrivata ad assoldare un investigatore per trovare le prove della discendenza diabolica del consorte.
Mise in moto per tornarsene a casa. Era stravolto. Non riusciva a farsi una dormita e a darsi una sistemata decente da quattro giorni. La barba ormai era un cespuglio senza forma e i capelli, già poco gestibili di natura, vivevano di vita propria.
Non aveva neppure cenato, ma a quell’ora erano chiusi persino i bar. La sua unica possibilità era Ravi.
Un odore di zucchero a velo lo raggiunse non appena scese dalla macchina. Non doveva neppure bussare, perché il suo buon amico indiano stava fumando una sigaretta fuori dal laboratorio della pasticceria.
«Oh Carlo Tedeschi, sempre in giro di notte» lo salutò Ravi scuotendo la testa.
«Gli amanti non dormono mai, caro mio. Hai già sfornato qualche cornetto?»
«Sì, la prima infornata sta per uscire. Ma non ti sei stancato?»
«Un po’. I traditori sono la categoria più prevedibile sulla faccia della terra. Sai sempre come va a finire, sempre!»
«Lui o lei?»
«Meglio che non te lo dico.»
Ravi era un buon compagno di chiacchiera, ma solo se non toccavano determinati argomenti. D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da un ex militare, figlio di militari di stampo molto più che tradizionalista?
«In Italia ho capito che io sono, come si dice…»
«Un ex militare?»
«Bravo, sì»
Se non fosse stato così stanco, si sarebbe fermato volentieri, ma erano già le quattro del mattino e lui aveva bisogno di riposare seriamente. Prese i suoi due cornetti e se ne tornò a casa.
Capitolo 2
«Chi ti ha messo in testa questa cosa dell’operazione? Dio sceso in terra Carlo Tedeschi?» sbottò Marisa.
Era paonazza e stava parlando in italiano. Era un brutto segno e Maria lo sapeva, perché la madre rinunciava al romano solo quando era veramente arrabbiata.
«Voglio risolvere il problema dell’iperidrosi. Il professore mi ha detto che l’operazione è risolutiva nel 98% dei casi.»
«Sei proprio una cretina, così perderai l’invalidità.»
«Ma se non me l’hanno mai data!»
«Ho parlato con Terenzio del quarto piano. Conosce uno all’INPS e ha detto che in un caso come il tuo si può giostrare.»
«Di nuovo? Te l’ho già detto, non la faccio più la richiesta.»
La sua voce aveva raggiunto una nota isterica che irritò persino lei. Guardò implorante il padre in cerca di un alleato, ma lui se ne stava lì a spalmare e rispalmare la marmellata sul pane, con una lentezza esasperante.
«Tu non dici niente? E figuriamoci se mio marito si lascia uscire l’anima» esclamò Marisa, che aveva la sua razione di rimproveri quotidiani da distribuire sin dal primo mattino.
«Se il professore ha detto così, io sono d’accordo. Maria la smetterà di sudare in continuazione. Anche lei avrà finalmente una vita normale, e basta coi vestiti neri» rispose Cosimo.
In cucina calò il silenzio. Era grata al padre e, se non ci fosse stata una lite in atto, avrebbe persino scherzato sull’allusione al suo abbigliamento.
Non ci poteva fare niente, il nero le dava sicurezza. A parte nei momenti in cui la assaliva il timore di apparire una persona sciatta, con addosso degli abiti sbiaditi.
«Senza l’invalidità? Come pensi che farà questa quando saremo andati al creatore. Che può fare? Niente può fare. E qui lo sai, i condomini vogliono togliere di mezzo il portierato» concluse Marisa.
Subito dopo l’invalidità, l’argomento preferito della madre era il portierato. Insomma, lei aveva solo due opzioni possibili davanti a sé: essere una finta invalida o diventare una portiera, visto che la laurea era una storia finita male.
«Io non voglio fare la portiera, ho già un lavoro.»
«Ah, e qui ti volevo» esclamò Marisa, puntando l’indice sulla tavola, «ora perdere tempo con quell’ex poliziotto fallito di Carlo Tedeschi è un lavoro. E cosa fate? Aspetta, aspetta, seguite i cornuti o mi sbaglio? Bella professione, complimenti» replicò acida battendo le mani.
Il trillo del citofono interruppe la reazione teatrale di Marisa.
«Pronto?… Un pacco? Va bene, scendo subito.»
Mai corriere fu più benedetto. Maria ne approfittò subito per dileguarsi, impedendo alla madre di dire l’ultima parola.
L’agenzia investigativa distava solo cinquecento metri dalla palazzina dei genitori. Meno di cinque minuti ed era davanti alla porta. Chissà come era andato il pedinamento di Carlo. Se gli incarichi aumentavano ancora, forse avrebbero potuto cambiare sede.
L’ufficio a piano terra non la convinceva. Certo, nessuno avrebbe mai potuto indovinare che prima di loro c’era stata una copisteria. Ma si capiva benissimo che era un locale commerciale. Non a caso era incastrato tra un negozio di integratori per culturisti da un lato e un ristorante cinese dall’altro.
E poi quella dannata porta da negozio le dava ai nervi. Era troppo grande e tutta vetro e la serigrafia nero e oro da pompe funebri non migliorava la situazione. Sarebbe costato un po’, ma dovevano farla rimuovere.
Per fortuna, lei aveva messo mano agli interni e c’era da essere fieri del risultato. Già solo la tenda a pacchetto beige sulla porta e il tavolino basso, con le brochure dell’agenzia disposte a ventaglio, davano tutta un’altra aria all’agenzia.
Prima di sedersi alla scrivania cambiò gli oli essenziali del profumatore per ambiente.
«Dai, mi sembra meglio!»
La commessa era stata brava. Quel profumo era meno invasivo dei fiori provenzali della settimana prima. Forse, Carlo non sarebbe stato tutto il tempo a toccarsi il naso e a lamentarsi chiedendole di eliminare i profumatori. Tanto non poteva accontentarlo. Non c’era altro modo per contrastare il sentore di fritto del ristorante cinese.
Che poi a dirla tutta, ne avrebbe fatto volentieri a meno anche lei. Non a caso aveva già bandito profumi e saponette profumate dalla sua vita. Andavano troppo in conflitto con la sua iperidrosi.
«Buongiorno,» salutò Carlo. «Cos’è quest’odore?»
«Ma come fai a sentirlo? Ho acceso il profumatore in questo istante!»
«Eppure, io sento il pino mugo.»
«Fermooo.»
Balzò in piedi in un attimo e staccò subito il profumatore per impedire a Carlo di leggere l’etichetta.
«Marì hai lasciato la scatola sulla scrivania. C’è scritto a caratteri cubitali: PINO MUGO. Tieni» disse Carlo, porgendole la macchina fotografica.
«Mhmm, chiamo Federico e fisso un appuntamento?» chiese Maria. Aveva infilato la scheda nel pc e stava scorrendo le foto dell’hotel. «Non mi sembra il caso di mandargliele via mail. Cavolo, è stato veloce Maurizio.»
«Quanto mi eviterei volentieri l’appuntamento. Ma hai ragione tu, è meglio dargli la lieta novella a voce. Poi sai come si calma con una bella inspirazione ed espirazione al pino mugo.»
«Non ti rispondo neppure.»
«Il professore che ti ha detto ieri, ti puoi operare?»
Annuì soltanto. Se avesse dovuto parlare, non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime. Risolvere l’iperidrosi era una specie di svolta epocale per lei. Le sedute di ionoforesi per bloccare la sudorazione sarebbero potute diventare un lontano ricordo. Per non parlare dell’addio alle ascelle pezzate anche con zero gradi e il gelo per terra.
«Che ne dici, pranziamo fuori per festeggiare? Ah, no Maria, non posso. Ho appuntamento con Daria.»
«Roba personale o di lavoro?»
«Festeggiamo dieci anni di amicizia!»
«Addirittura? Avete invitato anche Filippo?»
«Per piacere, vuoi farmi andare di traverso il pranzo? Il nipote di Daria mi sta troppo indigesto!»
«Eppure, è merito suo se vi siete incontrati.»
«Già, un pedinamento più unico che raro.»
«Beh, non è che tutti si possano permettere di far pedinare un nipote perché spreca la costosa retta universitaria che gli paghi.»
Adorava Daria Marini Cavalieri. Era la persona più interessante in cui si era imbattuta da quando lavorava per Carlo. Chi si sarebbe mai aspettato di conoscere una principessa. La nobilità era quasi una razza in via di estinzione, eppure lei aveva incrociato addirittura una rappresentante di una delle famiglie romane più antiche.
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