Ci sono tempeste che non fanno rumore, ma cambiano tutto.
Sofia le attraversa una dopo l’altra, tra l’amicizia e l’amore, tra Lucas e Samuel, tra le parole che restano in gola e quelle che fanno male quando escono.
Cresce, sbaglia, sceglie, e impara che non sempre si può tenere insieme tutto.
A volte si deve lasciar andare, anche chi si ama, anche chi non si sa dimenticare.
“Dopo la tempesta esce sempre il sole” è una storia di fragilità e coraggio, di amore, amicizia e famiglia, di cuori che imparano a respirare anche quando fa male.
E di una ragazza che, forse, deve ancora capire dove finisce la pioggia e dove comincia la luce.
Perché ho scritto questo libro?
Questo libro è nato piano, come una voce che non voleva farsi sentire e poi ha trovato il coraggio di uscire.
Non l’ho scritto per raccontare una storia perfetta, ma per dare spazio a quelle imperfezioni che ci rendono umani: le scelte, le attese, le parole mancate, i silenzi pieni di significato.
E’ stato come attraversare anch’io una tempesta, e trovare, tra le righe, un po’ della mia luce.
Spero che chi lo legga possa riconoscersi, almeno in parte, in quella stessa ricerca.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Lucas si staccò dalla colonna. Non fu un gesto deciso: fu come smettere di trattenersi. Attraversò la folla senza spingere, schivando spalle, sorrisi, pezzi di frasi. Ogni passo gli portava via un pezzo di paura, e gliene metteva addosso un’altra, più lucida.
Le luci a specchio cadevano a tratti sul suo viso, accendendolo a momenti e subito dopo spegnendolo. La camicia scura gli segnava le spalle, il ciuffo ribelle gli scivolò sulla fronte, e non lo sistemò: era troppo concentrato su di lei. A ogni passo sentiva il fiato farsi più breve, come se l’emozione gli rubasse l’aria. Eccoti. Non sei cambiata, eppure sei diversa. Sei più di quanto ricordavo.
Sofia lo vide staccarsi dall’ombra e il rumore della sala si abbassò, come quando giri la manopola senza volerlo. Il battito prese a correre senza ritmo, le mani le pizzicarono i palmi. Sta venendo da me. Davvero da me. Si accorse di trattenere il respiro, come se inspirare troppo forte potesse rompere quel momento.
Lo guardava muoversi tra la gente e lo vedeva diverso da tutti gli altri. Ogni luce che cadeva su di lui lo scolpiva per un istante: lo zigomo che brillava, l’orologio che rifletteva come un lampo, la curva della bocca che tratteneva un mezzo sorriso. In quel momento si accorse di mordersi appena il labbro, senza volerlo. Lo fece per trattenere l’emozione, ma Lucas lo notò subito, e quel gesto piccolo, involontario, lo colpì più di qualunque parola.
Lucas non distolse lo sguardo, nemmeno per un secondo. La vide nell’abito chiaro che sembrava fatto apposta per lei, i capelli che le scivolavano sulla spalla, le labbra che si aprivano appena, come se stessero per dire qualcosa ma restassero sospese. Sei tu. Non ho mai voluto guardare nessun’altra così.
Il cuore di Sofia le batteva alto, quasi in gola. Non era come quando aspettava un compito o una risposta a un messaggio: era più forte, più incontrollabile. Perché mi sento così? Perché sembra che ogni passo di lui faccia tremare anche me?
Era come se la sala intera li stesse lasciando soli. La folla continuava a muoversi, ma sfocata, senza contorni. Rimanevano solo loro due, e quella distanza che si accorciava lentamente, inevitabile.
— Ciao — disse Lucas, quando furono vicini. E il “ciao” le arrivò pieno, senza scuse.
— Ciao — disse Sofia, e non si ricordò di respirare.
Lui allungò la mano e le sfiorò il viso, un gesto così naturale che le sembrò di ricordarlo da sempre. Non era una carezza lunga; era appena un pollice che le seguiva l’osso dello zigomo, il tempo di un battito.
— Sei splendida — disse piano.
Sofia deglutì, come se una parola le fosse rimasta in gola. Non fare così, non qui, non adesso, pensò, ma la sua pelle aveva già deciso cosa sentire.
Il dj, come se stesse leggendo un copione invisibile, fece partire un altro lento. Le prime note caddero nella sala una ad una, come gocce buone. Lucas le prese la mano. Non la strinse forte: la invitò. Lei fece un passo avanti. Andarono verso il centro.
Si mossero piano, il resto del mondo sfocato ai bordi. Le mani, le distanze, la misura di ogni respiro: tutto trovava un posto. Lucas la guardava come si guarda qualcosa che si ha paura di perdere; Sofia lo guardava e sentiva una specie di riconoscimento che faceva male e bene insieme. Perché è così? Perché ora? Il profumo di lui le arrivava in ondate piccole, il mento gli tremava appena quando abbassava lo sguardo per non dire troppo.
Samuel tornava, due bicchieri in mano, le frasi allineate in testa come soldatini pronti. Adesso glielo dico. Adesso o mai più. Cercò Sofia nella folla; non la vide. Si spostò di un passo, poi di due. La trovò. Al centro. Le mani intrecciate con quelle di Lucas, i corpi vicini, gli occhi che parlavano un linguaggio che non aveva bisogno di traduzione.
Si fermò. I bicchieri presero una vibrazione piccola, il ghiaccio che toccava la plastica. Guardò. E capì.
Non fu uno schianto rumoroso. Fu come un foglio che si piega piano. Tutte le parole che aveva custodito si sciolsero una dopo l’altra, senza più forza di uscire. Samuel rimase lì, con l’unica cosa che non cambiava: la verità che provava. Ti amo uguale. Anche se non sono io quello che stai guardando così.
Abbassò appena i bicchieri, come chi depone un peso senza far rumore, e non fuggì. Rimase. Perché voleva vederla felice, anche se non era lui a darle quella luce negli occhi.
La musica li avvolse subito, come se avesse deciso per loro la distanza giusta: né troppa, né troppo poca. Lucas teneva la mano di Sofia con delicatezza, le dita intrecciate solo in parte, come se avesse paura di stringere e insieme non potesse lasciarla andare. Ogni passo era misurato, un movimento lento che trovava subito la risposta dell’altro.
Non è come ballare con Samuel, pensò Sofia. Con Samuel era casa, era gioco, era sicurezza. Con Lucas, ogni gesto sembrava un salto nel vuoto, eppure non aveva paura. Perché sto tremando? Perché mi sembra di non avere più il pavimento sotto i piedi?
Lucas la guardava, e nei suoi pensieri non c’era spazio per altro. La vedo com’è sempre stata e come non l’ho mai vista: l’abito chiaro che sembra fatto di luce, i capelli che mi sfiorano la guancia quando si avvicina di più, il calore del suo corpo che passa attraverso ogni centimetro di tessuto. Anche se non ti ho mai detto niente, anche se non lo saprai mai davvero, tu sei già tutto.
Sofia abbassò un istante la testa contro la sua spalla, e lui si irrigidì solo per un respiro, prima di lasciarsi andare e stringerla piano. Non era una stretta forte: era un avvicinarsi lento, come una piuma che cade e si posa. Lei sospirò, e quel piccolo suono lo fece tremare più della musica.
Il mondo intorno diventò un brusio lontano. C’erano solo loro due, e quel lento che spiegava ciò che non osavano dire. La canzone andava avanti. Lucas fece scorrere la mano di un centimetro nella sua, come si fa con qualcosa che si vuole tenere e non rompere. Sofia staccò lentamente la testa dalla spalla di lui e lo guardò. Lucas le restituì lo sguardo, e il suo sussurro la raggiunse come un respiro caldo.
— Lucciola — disse. Non suonò come un semplice nomignolo: era un modo di dirle ti vedo senza dover aggiungere altro.
Il cuore di Sofia fece un balzo. Inspirò piano, cercando fiato dove non ne aveva, e rispose con un filo di voce che tremava e brillava insieme:
— Lucas.
Non lo disse solo come il suo nome: lo disse come si dice un sì, come si dice una certezza appena scoperta.
Restarono così, troppo vicini per parlare forte, abbastanza vicini per non doverne avere bisogno. Le luci giravano lente sul soffitto, il parquet restituiva specchi imperfetti. La stanza respirava con loro.
Samuel, a tre metri, inspirò e si impose gentilezza. Non adesso. Non così. Si girò di mezzo passo, poi rimase fermo: non voleva fuggire. Guardò ancora un secondo, abbastanza per ricordarsi perché era lì. Poi fece un passo indietro, solo uno, quanto bastava per lasciare a quella scena tutto lo spazio che chiedeva.
La canzone rallentò verso la fine, un filo di piano, un respiro. La sala rimase appesa a quel filo.
Poi arrivarono gli applausi spontanei, quelli che non erano per nessuno in particolare ma servivano a sciogliere l’aria troppo densa. Le luci ripresero ritmo, il dj fece partire un brano veloce, e la folla tornò a muoversi.
Sofia e Lucas si staccarono lentamente, quasi con riluttanza. Le mani rimasero intrecciate un attimo di più, poi lui le lasciò scivolare via, come se non volesse davvero mollare la presa. Restarono vicini, occhi negli occhi, senza dire niente. Non serviva.
— Vuoi bere qualcosa? — chiese Lucas, la voce bassa ma ferma.
Sofia annuì piano. Aveva ancora il battito alto, come se stesse correndo. Poi, d’istinto, si voltò appena. Samuel… si ricordò che lui era andato a prendere da bere poco prima. Lo cercò tra la folla, ma non lo trovò subito, e il cuore le fece un piccolo sobbalzo.
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