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Dove finisce l’amore

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Filippo Raimondi ha trent’anni e un desiderio che coltiva da tempo: andare a vivere con Beatrice, la donna di cui è innamorato. Per lui è un traguardo importante, per lei molto meno. Sopraffatta da sentimenti che non riesce più a interpretare, Beatrice decide di interrompere la loro relazione proprio il giorno in cui Filippo immaginava di festeggiare un nuovo inizio.

Poco dopo quell’addio, un terribile incidente stravolge tutto. Filippo si risveglia dal coma senza memoria dell’accaduto e quando racconta alla famiglia l’incontro con Beatrice in ospedale, scopre che qualcosa non torna.

Nel tentativo disperato di comprendere cosa stia accadendo, Filippo si aggrappa all’unica certezza che gli è rimasta: il sentimento dolce e tremendo che prova per Beatrice. Ma per ricostruire la verità, dovrà trovare il coraggio di affrontare ciò che teme.

1. Our house,
Madness,
The rise & Fall,
1982

«Trilocale in palazzo signorile. Ottanta metri quadri calpestabili, circa. Doppio balcone, centralissimo. Ampio piazzale adibito a parcheggio» leggo a voce alta questo annuncio salvato sul mio telefonino riguardante l’appartamento che stiamo per visitare.

«Speriamo non sia una perdita di tempo come gli altri due!» sottolinea quell’inguaribile ottimista di Beatrice, la metà della coppia di cui faccio parte, mentre, con invidiabile agilità, sgattaiola sui tacchi tra le auto selvaggiamente parcheggiate nell’ampio piazzale adibito a parcheggio.

Driin!

«Chi è?» domanda la voce metallica proveniente della piastra d’alluminio spazzolato su cui sono disordinatamente incollate etichette adesive riportanti i cognomi dei condomini.

«Buongiorno, siamo i ragazzi che hanno prenotato la visita delle tredici e trenta; Raimondi!» risponde Bea, dopo aver constatato quanto io sia distratto dalla lettura dei cognomi sui citofoni.

«Ah, ben arrivati, prego, salite. Terzo piano.»

Il rumore secco proveniente dal portone ci fa sussultare. Guardo Beatrice e insieme, una mano io e l’altra lei, spingiamo il maniglione del pesante portone che spalancandosi pian piano produce il cigolio del bisogno di manutenzione.

Una volta entrati, i miei passi e i tacchi di Bea cominciano a produrre il classico eco dei grossi androni, che sommato alle fatiscenti pareti perimetrali e allo spettrale rumore provocato dal portone che si sta richiudendo alle nostre spalle, creano un’atmosfera di suspense davvero notevole. Mi aspetto, da un momento all’altro, che la porta dell’ascensore si apra di fronte a noi espellendo ettolitri di sangue, come nella famosa scena di Shining!

«Hai visto i cognomi dell’interno tre?» sussurro, per alleggerire la tensione.

«Ovviamente no! Ero impegnata nel rispondere al citofono… io!» precisa Bea

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«A. Grazia, e P. Di Dio. Capito? Questi si chiamano Grazia e Di Dio! Cioè, si sono proprio trovati!»

«Sei un cretino patentato, lo sai?» sentenzia, guardandomi severa, alcuni attimi prima di cedere rovinosamente in un accennato sorriso, così nemico del rigore che vorrebbe mantenere.

Sbam! Esclama il portone alle nostre spalle dopo essersi chiuso prima di vibrare metallicamente alcuni istanti.

Quando qualche mese fa abbiamo deciso di intraprendere l’avventura della nostra convivenza, neanche potevamo immaginare quanto potesse essere difficile trovare il giusto compromesso immobiliare. Quante insidie si potessero nascondere dietro una semplice inserzione. Quanto l’ignoranza non sia contemplata in questo genere di affari. Tutti quegli, ahinoi, sconosciuti fattori di cui si deve tener conto quando si acquista una casa, ci hanno investito come fossimo barchette di carta durante la tempesta perfetta, catapultandoci in questo vortice di visite, false attese, analisi di zone abitative e prezzi al metro quadro che ci hanno trasformati in archeologi alla ricerca dell’introvabile tesoro. Noi, che all’inizio, eravamo ingenuamente convinti di dover rispettare esclusivamente il principio M.S.M.È.: meno spendiamo meglio è!

Chiamiamo l’ascensore, che ingabbiato in una rete di ferro battuto ondulata color beige, mostra corde e ingranaggi che ne permettono il funzionamento. Meraviglioso; ero convinto che questi esemplari esistessero solo nei film della commedia italiana anni Ottanta! La striminzita cabina mobile in cui entriamo riporta incisioni geroglifiche che gli inquilini devono aver lasciato come ricordo per le prossime generazioni. Bottoni avorio, cilindrici, sui quali un font vintage indica il piano corrispondente, spuntano un po’ troppo dalla pulsantiera d’ottone. Premo il tasto numero tre, l’unico girato sottosopra. Sembra essere una E.

Rumori poco rassicuranti di corde e ruote che si muovono anticipano il chiropratico contraccolpo dell’ascensore, che dopo aver testato la flessibilità della nostra colonna vertebrale, ci annuncia l’arrivo al terzo piano. Con non poche difficoltà, tiro verso noi le due scomode mezze ante, costringendoci quasi a spalmarci sulle pareti circostanti.

«Be’, comodo per portare la spesa…» osserva la mia compagna, sarcastica.

«È tutta questione di pratica, vedrai» le rispondo fiducioso, ma neanche troppo convinto.

Usciamo velocemente da questa trappola infernale, e solo dopo aver chiuso la porta dell’ascensore noto il rassicurante cartello riportante i recapiti da contattare nell’eventualità si dovesse rimanere chiusi all’interno. Possibilità non credo poi così remota…

Di fronte a noi quattro porte disposte sul pianerottolo semicircolare. Una lama di luce passa attraverso l’unica porta socchiusa. Busso chiedendo permesso, prima di essere raggiunto dalla ragazza dell’agenzia immobiliare che ci invita a entrare. Faccio accomodare galantemente Bea, poi entro a mia volta, tentando di chiudere la porta alle mie spalle, ma una improvvisa corrente d’aria mi fa scivolare il pomello dalle mani, con il risultato che la porta si chiude violentemente facendo saltare dallo spavento le due ragazze in casa e me: Boom!

«Scusate, mi è sfuggito…» tento di giustificarmi, mortificato, indicando il pomello.

«Non si preoccupi, sarà stata la corrente dovuta alle finestre aperte» mi rassicura, ma nello stesso tempo mi guarda male, l’agente immobiliare prima di avviare le presentazioni e porci la domanda rompighiaccio: «Allora, Beatrice e Filippo, che ne dite di iniziare il tour di questa interessantissima soluzione immobiliare?». Dice proprio così, giuro!

Le sue parole cominciano a echeggiare nell’appartamento unicamente arredato dal mobilio di cui i vecchi proprietari non sono riusciti a disfarsi. E io, nonostante dovrei, proprio non ci riesco a dedicarle l’attenzione che merita, distratto come sono dallo sforzo di ricordarne il nome, che, come mio solito, ho dimenticato non appena finito di stringerle la mano. Decido quindi di ribattezzarla Mariangela, vista la marcata somiglianza con la figlia di Fantozzi, personaggio per il quale la mia generazione, da bambini andava pazza.

Mariangela ha una statura medio/bassa, qualche chilo in più non le starebbe affatto male. Capelli e occhi castano standard. Indossa una camicia bianca, sotto una sobria divisa lavorativa composta da un foulard e una giacca color arancio evidenziatore, che richiama lo scintillante logo dell’agenzia immobiliare, una lunga gonna nera, e décolleté con tacco largo, logorate dall’uso. Nella sua pronuncia un marcato rotacismo: il difetto di pronunciare la lettera R arrotolando la lingua (come fanno i veneti per esempio), me la rende immediatamente simpatica.

Mentre stiamo visitando la stanza che dovrebbe essere stata la cucina dei vecchi proprietari, la conversazione viene spostata sulle stesse identiche domande utilizzate da qualsiasi agente immobiliare per cercare di capire esigenze, desideri, ma soprattutto punti deboli dei propri clienti.

L’impazienza di visitare il resto dell’appartamento mi sta divorando, e proprio non ci riesco a rispettare le strategiche tempistiche di Mariangela che continua a perdersi in dettagli così poco interessanti. Quanto meno per me! Decido quindi di defilarmi, cominciando a vagare nel silenzio inconfondibile che solo le case non più abitate sanno riprodurre.

Mattonato obsoleto, vetri smerigliati incastonati in severe porte color mogano, soffitti esageratamente alti, rubinetti maculati dal calcare e interruttori elettrici ingialliti ormai fuori norma. Carte da parati macchiate, decorate con fantasie che nel principio della ciclicità della moda probabilmente ritorneranno presto in voga. L’appartamento ha i suoi anni e li dimostra schiettamente. Pochi minuti sono stati sufficienti per decretarne l’assoluta necessità di una profonda ristrutturazione. Eppure, devo ammettere, che questo posto mi sta regalando un senso di familiarità mai provato nelle case viste finora. Guardo questi spazi inanimati chiedendomi chi deve aver chiamato questo posto casa. Chissà se lui, lei, loro sono ancora in vita. Quali sensazioni potrebbero provare, sapendo che degli estranei stanno per trasformare la fisionomia di quegli spazi per loro così familiari?

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Commenti

  1. Virginia Sulis

    (proprietario verificato)

    Dove finisce l’amore è un romanzo che racconta proprio la fine di un amore. La crepa tra Filippo e Beatrice si apre durante la visita di un appartamento. I due sembrano duellare di fronte all’agente immobiliare che sembra assumere il ruolo di mediatore tra le parti. Quando si apre una crepa il futuro è la voragine. Ed è purtroppo la voragine ad inghiottire la loro macchina ferma ad un incrocio, dopo che Beatrice ha il coraggio di ammettere che non è più del tutto convinta dei propri sentimenti per Filippo. Beatrice si prende una pausa momentanea da questa relazione ed una permanente dalla vita. La scena si trasferisce in un reparto di rianimazione. Qui comincia il calvario di Filippo con la riabilitazione dall’incidente in cui entrambi sono rimasti coinvolti e con la non accettazione da parte di Filippo della morte di Beatrice. L’autore decide di non tergiversare, di non giocare con il lettore. Avrebbe potuto creare suspance e tenere la verità nascosta sino alla fine ma decide per un altro tipo di racconto: la storia del suo dolore. Te la vomita sulle pagine, quasi “senza orgoglio e dignità” perché è proprio così che ti riduce un amore perduto. Il romanzo non è pretenzioso ma è un inginocchiarsi umilmente di fronte alla mancanza. L’autore descrive il male che lo inghiotte da fuori e da dentro. Il dolore che ti annulla , che ti scaraventa nei meandri dell’oblio di una realtà che egli continua a dimenticare.
    È un viaggio mentale nei meandri del proprio io, una corsa folle contro il tempo che sembra ricominciare ogni volta che Filippo sbatte contro il muro della realtà, che continua a sfuggirgli di mano sino a quando si ritroverà nel luogo dell’incidente e qui scoprirà l’amara verità.
    Il libro lascia al lettore la libertà di creare diversi scenari e possibili risvolti della storia o di un suo proseguo.
    Perché dopotutto la verità quando non è detta, muore anch’essa, e ciò che resta per andare oltre è l’umile accettazione della non comprensione.

  2. La storia di Filippo è la storia di tantissime persone e per questo è facile immedesimarsi in lui. Il libro non è solo il racconto di una rottura, ma di tutto quello che succede quando un amore finisce: la solitudine improvvisa, le domande senza risposta, il senso di vuoto che si prova nel dover ricominciare.
    Quello che attraversa, le emozioni che prova, i pensieri che lo tormentano, sono esperienze comuni a chiunque abbia vissuto una separazione importante.
    Con un tono semplice e spesso molto ironico, il libro ci mostra come soffrire per la fine di un amore non sia debolezza, ma una tappa inevitabile del vivere. Alla fine vediamo che anche se sembra impossibile da quel dolore si può uscire, magari non come prima, ma forse più consapevoli e con un po’ più di forza dentro.

  3. (proprietario verificato)

    Un racconto emozionante che tratta temi delicati con una profondità d’animo indescrivibile capace di teletrasportarti nei luoghi e nelle sensazioni vissute dai protagonisti. Non importa in che percorso della tua vita sia, è un libro autentico capace di muovere corde del tutto immobili.

  4. L’essere umano non può fare a meno di raccontare l’amore, il sentimento più discusso, esaminato e inafferrabile di sempre. Le fasi emotive causate dalla fine di una storia importante vengono spesso associate a quelle del lutto. In questo caso il protagonista vive un doppio lutto, talmente inconcepibile da volerlo rimuovere dalla propria memoria, almeno in parte.
    E’ difficile non diventare banali quando si affrontano questi argomenti e spiegare in modo così chiaro il tumulto, la rabbia, il dolore, la colpa, lo smarrimento. Eppure l’autore, con una facilità incredibile, riesce a farti vivere tutto questo, tra cose dette e cose non dette, che attingono alle esperienze che ognuno di noi contiene, difficili da esprimere ma tanto universali. E proprio come nella vita, il libro ci mostra come l’ironia e la quotidianità riescano a infiltrarsi anche negli spazi più bui e che, in fondo, siamo fatti per superare l’insuperabile. E’ un libro di dolore sì, ma che riesce a donare una serenità che sorprende il lettore: non tanto la speranza quanto la consapevolezza che, per quanto l’amore e la vita possano essere ingiusti, va bene così. Perché non potrebbe essere altrimenti.
    Complimenti a Francesco per la genuinità della sua scrittura!

  5. (proprietario verificato)

    Dove finisce l’amore é una lettura intensa e coinvolgente. La storia di Filippo affronta con grande delicatezza temi complessi come il lutto, la rimozione del dolore, la difficoltà di accettare una perdita e i sensi di colpa che derivano dalle nostre azioni.
    Sono rimasta colpita soprattutto dalla capacità con cui si é riuscito a mantenere un equilibrio tra empatia e leggerezza: una narrazione che non rinuncia alla profondità emotiva, ma che riesce a inserire tocchi di ironia ben dosati, rendendo il racconto ancora più autentico e capace di farti immedesimare nel personaggio. Il risultato é un romanzo che lascia spazio alla riflessione, senza mai risultare retorico o forzato.
    Consiglio a tutti di dargli una chance perché merita veramente. Complimenti Francesco!

  6. (proprietario verificato)

    E` curioso come leggendo la storia di qualcun’altro ci si possa ritrovare descritti nei posti, nelle parole, ma soprattutto nelle emozioni di personaggi mai conosciuti. Chiunque leggera` questo libro credo si portera` dentro qualcosa di prezioso. Pochi personaggi, poche scene, nessuna sovrastruttura…e` scritto con l’anima e si sente!
    Lo consiglio vivamente. Bravo Francesco.

  7. (proprietario verificato)

    Questo libro mi ha davvero preso, ammetto non sono un lettore abituale ma questo libro l’ho divorato anzi si è fatto divorare. Scorrevole, descrittivo, empatico ma soprattutto capace di farti entrare nel personaggio a tal punto di sembrare tutto molto reale. Ho iniziato a leggere questo libro per curiosità, l’ho finito per necessità. Consiglio questo libro a tutti coloro volessero una lettura di una storia d’amore che seppur finita ti faccia fare un viaggio dentro la parte più profonda di se stessi e trovare la forza per tornare a vivere.

  8. (proprietario verificato)

    Il romanzo racconta la storia di Filippo Raimondi, un giovane trentenne alle prese con la fine di un amore e con una perdita devastante. Filippo, confuso tra amore e dolore, ci guida in un viaggio toccante tra illusione e realtà.
    La capacità di Filippo di negare l’evidenza della morte di Beatrice rende il racconto ancora più umano e autentico, facendo emergere con delicatezza la fragilità dei sentimenti.
    Una lettura breve e piacevolmente scorrevole, che invita a riflettere sulla difficoltà di elaborare il lutto e sul misterioso percorso della memoria e del cuore. Consigliato

  9. (proprietario verificato)

    Libro intimo, scritto con l’ attenzione e la sensibilità che contraddistinguono lo scrittore. L’autore ha infatti saputo alternare momenti intensi e di riflessione ad altri più leggeri. Ogni personaggio è delineato, non solo Filippo Raimondi e la sua famiglia ma anche Beatrice, sua madre e l’amico “ritrovato” Marzio. Ognuno ha la sua importanza ed è un tassello che aiuta a comporre una storia avvincente che lascia al lettore spunti di riflessione. La lettura risulta scorrevole ed avvincente ed il testo si divora pagina dopo pagina. Il lettore resta piacevolmente incollato alle vicende della storia grazie al turbinio di emozioni che spaziano dall’entusiasmo alla disperazione in cui è facile immedesimarsi. Esperienza piacevole e consigliata.

  10. Tiziana Roberti

    Un viaggio a metà strada tra mondo reale ed onirico. La perdita della persona amata vissuta come un funambolo tra negazione e catarsi. Una trama emotivamente avvincente che ci porta nei meandri dell’anima del protagonista in un viaggio tra le sue emozioni che sono quelle di tutti senza appartenere a nessuno. Si ride, si spera, si piange e ci si appassiona. Uno spaccato di dolorosa esistenza che profuma di rinascita. Quella che soltanto l’amore sa donare; oltre lo spazio ed il tempo limite della ragione e luogo infinito dei sentimenti. Ogni personaggio appassiona e commuove nella sua lotta impari di fronte alla morte. Ad ognuno viene data l’occasione per vincere, ma dovranno trovarla là dove finisce l’amore o semplicemente dove inizia senza avere fine. L’autore sa come portarci fino a questo nebuloso confine; ci prende per mano e ci regala privilegio di sentirci smarriti come unica via per ritrovarci. In fondo l’amore è tutto qui. Filippo ce lo insegna e nessuno può non capire. La semplicità si fa poesia ed è ciò che l’autore sa fare meglio. Si esce da queste pagine diversi da come si era entrati e da un libro non possiamo aspettarci di meglio. Chapeau!

  11. Questo libro mi ha davvero colpito.
    La storia di Filippo non è solo una storia d’amore e di dolore, è un viaggio dentro quei momenti della vita in cui tutto sembra crollarti addosso e non sai più distinguere sogno e realtà.
    Si sente che è stato scritto con il cuore, senza forzature, come se l’autore avesse semplicemente lasciato che le emozioni venissero fuori da sole.
    È un libro che parla di perdita, ma anche di quanto sia forte e testardo l’amore, anche quando sembra che tutto sia finito.
    Non è la solita storia strappalacrime: è qualcosa di vero, che ti rimane addosso anche dopo aver chiuso l’ultima pagina.
    Consiglio davvero a chiunque di leggerlo, soprattutto se sta cercando un romanzo che sappia far emozionare senza essere mai banale. BRAVO!

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Francesco Vona
Quarantatré anni, è cresciuto tra cinema e VHS, sviluppando una forte passione per le storie e per i modi di raccontarle. Laureato al DAMS, lavora nel settore informatico senza abbandonare la scrittura, che lo ha portato a “Dove finisce l’amore”, il suo primo romanzo.
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