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Ero proprio fuori di me

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“Ero proprio fuori di me” non è un manuale di auto-aiuto: è un tuffo nell’anima di chi ha attraversato il confine sottile tra la lucidità e il caos. È la testimonianza sincera di chi ha guardato in faccia il dolore senza voltarsi. E ha scelto di restare. Di vivere. Di ricominciare senza dover diventare qualcun altro.
Un invito a non aggiustarsi, ma ad accogliersi. A non cercare la perfezione, ma una vita che ci somigli. A scoprire che non si è rotti. Si è in costruzione.
Attraverso una narrazione intima, a tratti cruda, sempre profondamente umana, l’autrice dà voce alla fragilità, all’ansia, alla depressione e al senso di smarrimento che spesso ci fanno sentire fuori posto. Ma lo fa senza giudizio, con parole che sfiorano e mai invadono, accompagnando il lettore in un viaggio fatto di verità sussurrate, piccoli gesti che salvano, e un’intimità che consola. Non c’è eroismo, ma c’è vita vera – quella che si sporca, che si perde, e che trova una sua forma di bellezza nel ricomporsi.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro perché a volte, quando tutto crolla, è la parola a restare. A fare da riparo, da ponte, da voce. È nato dal bisogno di dare voce alla fragilità – non per combatterla, ma per accoglierla. Non promette risposte: offre compagnia. Un linguaggio gentile, per chi si sente fuori posto. Questo libro è per chi ha sentito di aver toccato il fondo e ha scoperto che sotto c’era ancora una strada. È il mio tentativo di dire: non sei rotto. Sei in costruzione.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Quando tutto si spezza

C’è un momento, nella vita, in cui tutto sembra andare in frantumi.

Può accadere in silenzio, come una stanchezza che improvvisamente ti si incolla alla pelle e all’anima, lasciandoti esausto, svuotato. Oppure può arrivare con fragore, come una porta che si chiude di colpo: un amore finito, un lavoro perduto, un sogno frantumato. E all’improvviso ti ritrovi lì, in mezzo al vuoto, inerme, senza più le certezze che ti accompagnavano.

Proprio da quel momento – così fragile, così umano – nasce questo libro.

Non ti parlerò come un esperto di auto-aiuto o un guru del cambiamento. Ti parlerò come qualcuno che ha conosciuto il vuoto, la confusione, e ha imparato – passo dopo passo – a ricominciare.

Se stai leggendo queste pagine, forse anche tu stai cercando un modo per ripartire. Non una formula magica, ma un po’ di chiarezza. Di respiro. Di luce.

Questo libro è un invito: a guardarti dentro con onestà. A concederti il tempo di capire. A ritrovare quella forza che non hai perso – è solo nascosta, per ora.

In queste pagine troverai una storia vera, strumenti concreti per ripartire, e la possibilità di guardarti dentro senza giudizio.

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CAPITOLO 1

La forza dell’essere in costruzione

C’è un momento in cui la vita si ferma. O forse siamo noi a fermarci, finalmente.

Era inverno. Tutti dormivano. In punta di piedi sono andata in cucina. Ho acceso una piccola candela sul tavolo e mi sono seduta lì, in silenzio. Niente telefono, niente musica, niente distrazioni. Solo io, la fiamma, e un vuoto che urlava.
Ho iniziato a piangere. Non un pianto liberatorio, di quelli che ti fanno sentire subito meglio. Ma un pianto antico, profondo, che veniva da anni di dolore trattenuto.
Non stavo piangendo solo per il presente. Stavo piangendo per la bambina che ero stata e che nessuno aveva davvero visto. Per le volte in cui mi ero sentita di troppo. Per le volte in cui mi ero sentita invisibile. Sbagliata. Rotta.

Ma con il tempo ho imparato – sulla mia pelle – che non ero rotta, ero solo in costruzione. Ho capito che non dovevo tentare di “aggiustarmi”.
Dovevo solo imparare a non abbandonarmi più.

Se anche a te è capitato di sentirti così, ricorda che non sei un problema da risolvere.
Sei una storia che merita ascolto.
Un cammino che ha valore, anche quando non fa rumore.
Anche quando fa male. E sei già abbastanza. Non perché hai fatto tutto alla perfezione.
Non perché non sbaglierai più.
Ma perché sei vivo, consapevole, disposto a restare.

E magari, domani, sederti anche tu davanti a una piccola candela.
E ascoltarti.
Non per giudicarti.
Ma per dirti, piano:
“Ti vedo. Sei vivo. E non sei solo.”

Per troppo tempo ci hanno fatto credere che ci sono parti di noi sbagliate, difettose, da correggere o nascondere.
Ma non c’è niente da aggiustare.
C’è solo da accogliere.
Da comprendere.
Da trasformare.

Ricominciare non è tornare come prima

Quando qualcosa ci spezza, il primo istinto è spesso quello di cercare di tornare indietro, di recuperare la versione di noi che esisteva prima del crollo — quella che gli altri ricordano, quella che forse noi stessi rimpiangiamo. Come se potessimo rimettere insieme i pezzi esattamente com’erano.

Ma quella versione non esiste più.

C’è una verità che, per quanto basilare, troppo spesso dimentichiamo: non si torna indietro. Non ci è concesso. E più restiamo aggrappati a quel ricordo, a quel passato spesso idealizzato, più fatica faremo a muoverci nel presente.

Tornare “come prima” è un’illusione. Un tentativo destinato a spezzarsi sotto il peso delle aspettative, che ci lascerà frustrati, intrappolati in un limbo in cui tutto sembra sospeso e nulla davvero riparte.

Solo quando accetteremo che la realtà che ricordiamo è cambiata e continua a cambiare attimo dopo attimo, può cominciare davvero la nostra rinascita.

Perché ricominciare non vuol dire tornare indietro.
Significa scegliere, ogni giorno, di non voltarti più le spalle. Scegliere di andare avanti, anche quando niente è più come prima. Scegliere di essere una nuova versione di te. Non perfetta, non necessariamente migliore— ma più autentica, più felice, più allineata a ciò che sei oggi. Con le cicatrici, i tremori, le nuove consapevolezze. Con il desiderio, forse timido, di vivere in modo più autentico.

Ed è proprio questo il viaggio che faremo insieme. Un passo alla volta.

Lo so, quel dolore che stai provando ha una voce che spaventa. Ti sta facendo credere che niente cambierà. Che non guarirai. Che non amerai più. Che sei rotto per sempre. Ma non è così. Quel dolore è il tuo corpo che sta gridando un cambiamento. È una richiesta silenziosa di trasformazione. È il segnale che qualcosa ha bisogno di essere riscritto, non cancellato.  Non serve trovare subito un senso. Ma puoi iniziare a dare un nuovo significato. Il tuo.

Strumenti pratici: Scrivi una lettera al tuo domani

Dopo una caduta, restare in piedi è già un atto di coraggio. Ma poi, piano piano, nasce un desiderio diverso: non solo sopravvivere, ma creare. Costruire qualcosa di nuovo. Progetti. Sogni. Possibilità. Anche se piccoli, anche se ancora fragili. Un lavoro che ti somigli di più. Un viaggio rimandato troppe volte. Una relazione in cui poterti mostrare davvero. È questo il momento giusto per iniziare: ogni giorno è una pagina bianca. E tu hai in mano la penna. Non serve sapere tutto.
Basta un primo passo, con la fiducia che qualcosa dentro di te ha già deciso di ricominciare.

Ti propongo, allora, un esercizio semplice, ma potente: scrivi una lettera al te stesso di domani. Comincia così, se vuoi:

“Caro me,
so che stai ancora imparando a fidarti di nuovo. Ma sappi che oggi, io ho scelto di credere in te. Di lasciarti provare. Di lasciarti sbagliare. Di lasciarti vivere…”

Non pensare alle parole perfette.
Pensa alle parole vere. Quelle che ti fanno bene solo a leggerle. Poi conservala. E rileggila ogni volta che dimentichi che puoi essere altro rispetto a ciò che ti è successo.

Nel prossimo capitolo parleremo del crollo. Di quel momento in cui tutto si spezza e, paradossalmente, comincia la rinascita.

CAPITOLO 2

Accettare il crollo

C’è un momento in cui tutto cede.

Non sempre succede all’improvviso. A volte è un logoramento lento, silenzioso, che non fa rumore fino a quando non ti svegli una mattina e ti accorgi che non hai più energie… nemmeno per fingere che vada tutto bene.

Per me è stato così. Sorridevo fuori, ma dentro ero vuota. Stanca. Scollegata da tutto, come se qualcuno avesse staccato la corrente.

E per troppo tempo ho fatto finta di niente, come se ignorare la crepa potesse farla sparire. Ma la verità, per quanto dura, è questa: nulla si sistema da solo.
Il tempo, da solo, non guarisce. Serve una scelta. Serve un gesto.

Ti racconto una parte di me.

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con me stessa e con la mia immagine. Per anni ho misurato il mio valore con un numero sulla bilancia. Ogni grammo era identità, controllo, senso. Poco a poco, senza accorgermene, questa ossessione mi ha trascinata giù.
Mi sono ammalata.

Ho perso amicizie, relazioni, gioia, salute. E, a un certo punto, ho perso anche la voglia di vivere.

Non ho paura a dirlo: ho toccato il fondo.

Poi, qualcosa è cambiato.

Una sera, che non credo dimenticherò mai e non perché speciale, ma perché dolorosamente vera, ero seduta per terra nel corridoio di casa mia, le luci spente, la schiena contro il muro gelido. Avevo appena avuto l’ennesima discussione con mia madre. Nulla di nuovo. Solo parole stanche, ripetute. “Mangia qualcosa, ti prego.” “Non puoi continuare così.” “Stai sparendo.”
E io che rispondevo con silenzi carichi di rabbia, vergogna, e soprattutto paura.
Non riuscivo più a distinguere chi fossi.

Ogni mia giornata era scandita da riti che chiamavo “abitudini”, ma che erano in realtà gabbie. L’ossessione per il controllo era diventata la mia religione. Avevo imparato a non ascoltarmi. A mettere il corpo a tacere. A camminare chilometri pur di non sentire.

Eppure quella sera, proprio in quel corridoio freddo e silenzioso, per la prima volta, non ho avuto voglia di rialzarmi. Ero esausta. Come quando dopo aver remato contro corrente per anni, ti lasci semplicemente andare.
Lì ho capito che non potevo più far finta di niente. E che forse, il crollo che tanto avevo temuto… era l’unica via di salvezza rimasta.

La mia terapeuta una volta mi disse una frase che non ho mai dimenticato:
“A volte crollare è la forma più sincera di verità che possiamo concederci.”
E aveva ragione.

Fino a quel momento, avevo costruito una fortezza. Una facciata. Ero quella che “ce la fa sempre”, quella “in gamba”, “determinata”, “controllata”. Ma dentro, c’erano crepe dappertutto. Crepe che avevo imparato a nascondere così bene da dimenticare che esistessero. Finché hanno ceduto tutte insieme. E se ti sembrerà assurdo, lasciami dire questo: il crollo è stato il dono più grande che potesse capitarmi.

Perché solo allora ho avuto il coraggio di chiedermi:
“Ma io, per cosa sto vivendo veramente?”

E come un pugno in pieno volto, la realtà mi ha colpita in tutta la sua potenza. Non potevo più negare l’evidenza: avevo un problema. Per la prima volta, però, non sono fuggita. L’ho affrontato. L’ho guardato in faccia. L’ho chiamato per nome. L’ho accettato.

Ma questo non è bastato. Perché accettare non significa guarire. Per troppo tempo ho confuso l’accettazione con la guarigione e ho continuato a ripetere le stesse abitudini di sempre, sperando in un risultato diverso. Spesso, infatti,  chi è passato attraverso disturbi alimentari o ansia tende a trasformare anche la guarigione in una nuova forma di controllo. La cura, però, è libertà. Non è una routine perfetta, è una relazione gentile con te stessa.

Se ti accorgi che anche le nuove abitudini stanno diventando ossessive, fermati. Respira. Torna all’intenzione: sto facendo questo per amore o per paura?

Ricordo ancora come mi sono sentita il giorno in cui ho mangiato, dopo anni di privazioni, una pizza. Un gesto semplice, quasi banale per chi non ha mai vissuto un disturbo alimentare. Ma per me era una battaglia interiore. Un atto di ribellione contro una gabbia invisibile. Il problema è che un gesto isolato non basta. Il vero cambiamento accade nel quotidiano. Nei pensieri, nei no detti al controllo, nei sì detti alla libertà. E io nel quotidiano continuavo a controllare, a camminare per chilometri, a restringere la mia libertà. Finché non ho smesso di mentire a me stessa e agli altri. E ho cominciato – un gesto alla volta – a risalire.

Ho smesso di rincorrere l’illusione di “essere forte”. E qualcosa dentro di me ha iniziato a trasformarsi: non bastava “capire” il mio dolore, dovevo scegliere ogni giorno di affrontarlo, anche quando tutto in me voleva tornare indietro.

Non è stato facile.
La vocina nella testa che mi diceva di lasciar stare, che stavo meglio prima e che mi faceva sentire dannatamente in colpa per ogni caloria ingerita, era assordante, spietata, costante.
Ma, per quanto sia doloroso da accettare, è solo attraversando il disagio, accettandolo e facendogli spazio, che possiamo davvero liberarcene. Non c’è scampo.

E se una volta pensavo che accettare significasse dire: “va tutto bene così”, con il tempo ho capito non è così.
Accettare significa dire:
“Questa è la realtà. E io scelgo di non scappare più.”
Lo so, fa paura. Ma è anche il primo, vero atto di libertà.

E quelle che adesso vedi come fratture sono, in realtà, piccole fessure: da lì entra la luce. Ogni volta che cedi, impari qualcosa. A riconoscere i tuoi limiti. A chiedere aiuto. A smettere di pretendere la perfezione.
Ogni ricaduta è una lezione, non una condanna.
Quella voce oggi c’è ancora, non ti mentirò: non è sparita. Ma è più debole. E io, più forte.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Anna Valiante
Anna Valiante è una voce esordiente, delicata e profonda del panorama della scrittura emotiva contemporanea. Scrive per guarire, per ricordare, per restare. Dopo anni trascorsi a inseguire ideali lontani da sé, ha scelto di fermarsi e ascoltarsi. Questo libro nasce da quel momento di verità. Non è una terapeuta. Né una coach. È una persona che ha conosciuto la caduta e ha imparato a trasformarla in cammino. Oggi accompagna chi, come lei, sta cercando un modo per ricominciare. Con parole vere, umane. E una penna che non giudica, ma accoglie.
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