È difficile spiegare cosa succede quando ti metti a fumare con un dio. Ma ci provo. Era un giorno qualsiasi, in cui stavo passeggiando per il mio posto preferito, perso nei miei pensieri. Pensavo e pensavo, mi piace pensare, ma non riuscivo a trovare una risposta a tutto. E poi arrivò lui, Hermes, il furbo dio greco. Di fronte a un dio, ci si aspetterebbe di inchinarsi, di prostarsi, di rendere grazie. Ma lui non necessitava niente di tutto ciò. Cacciò un pacchetto di sigarette e se ne prese una, per poi offrirne una anche a me. Non aveva molto da fare, e quindi, tra una sigaretta e un’altra, mi ascoltò. Divenne il mio mentore, imparai più da lui, che da qualsiasi altra persona in vita mia. Lui riusciva bene a dare una forma ai miei pensieri. Pensieri da ragazzo, ma che tutti, prima o poi, abbiamo condiviso. Si parlerà di come le persone ci influenzano, di cambiamenti, di amore, di crescita personale, e di tanto altro. Ci sarà da pensare, da ridere, e anche da fumare in questo viaggio.
Perché ho scritto questo libro?
Io non scrivo per insegnare. Penso che non ne sarei capace. Io provo piuttosto a dare forma ai miei pensieri. A domande che tutti ci facciamo: chi siamo, cosa proviamo e perché. Io ho provato a dare un’interpretazione a quel che alla mia età, penso e provo della mia vita. E allora ecco com’è nata l’idea di “Ho fumato con Hermes”. Scrivo per provare a dare risposte, non per intrigare ancora di più. Il peso di una discussione con un dio, annebbiato dal fumo di una sigaretta. Leggerezza autentica.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Mi piace pensare.
Generalmente non c’è un momento in cui riesca a non farlo. Tranne quando sono arrabbiato — in quel caso è meglio evitare. Mi pongo quesiti, ma a volte non riesco a arrivare a una conclusione, oppure penso direttamente che la domanda generale sia: ci si può arrivare? Cercavo risposte parlando con persone che reputassi intelligenti, e se a volte riuscivo a esser d’accordo con loro, altre volte mi ponevo ancora più domande. Non pensare non era una soluzione. Un giorno ero parecchio annoiato e non sapevo che fare. Quel giorno trovai delle risposte, ma mi crearono altre domande ancora. Come dimenticarlo…
Quel giorno, nessuno dei miei amici poteva uscire, non avevo nulla da studiare e fuori era una bella giornata soleggiata. Ero vestito con una semplice maglietta e un pantaloncino, e decisi di uscire a fare una passeggiata. C’era un posto che definirei il mio preferito, dove trovavo la pace dei sensi, il posto più tranquillo che conoscessi. Andavo spesso lì per riconnettermi con la natura e pensare. Così tranquillo e perfetto per stare tranquilli a discutere, o anche solo per passare un pò di tempo con me stesso, che gli antichi poeti latini lo avrebbero chiamato locus amoenus. Erano delle colline, tutte ricoperte di erba e di fiori o di altre piante, di alberi, di cani randagi amichevoli che incontravi, di sentieri, di cespugli, e c’era una bellissima visuale dall’alto che affacciava sulla città dove abitavo e quelle circostanti. Spesso ci andavo con i miei amici più stretti. Ed era come riconnettersi con la pace e la natura. Stavo lì, sdraiato sul prato, immerso nel verde, e dall’alto vedevo il caos della città, mentre ero steso nell’ originale creato di Madre Natura. Era incredibile vedere la differenza fra la pace naturale, e la natura caotica artificiale. Sembrava di essere usciti dalla città e dalla civiltà, di essermi liberato un attimo di tutto l’ambiente che mi circondava, e di stare lì, steso a guardarlo dall’alto, immerso nel verde e nei tuoi pensieri. Io e i miei amici andavamo là per stare un pò in pace e scappare dai nostri impegni. Accendevamo ognuno una sigaretta e iniziavamo a parlare. Di tutto. Fuoriusciva qualsiasi cosa. Era come se la natura stessa, cercasse di farmi uscire quei pensieri profondi, e di cui magari non parlo sempre, per condividerli con chi c’era accanto a me. Si discuteva di qualsiasi cosa, e ognuno dava una propria interpretazione, quello che riteneva giusto riguardo, e ci si provava a venire in contro. Non sempre ci si riusciva. Ma si sa, è impossibile che tutti siano sempre d’accordo e la pensino sempre come te su ogni cosa. Ma forse è meglio così. Pensa che noia vivere sapendo che hai sempre ragione e non sarai mai contraddetto. Alcune persone pensano che sarebbe fantastico, ma prima o poi anche loro si annoierebbero. Se non si viene mai messi in discussione, non si avrà mai un pensiero differente, e dunque la si penserà sempre allo stesso modo, chiudendo mille porte di pensiero differenti, che magari si potrebbero ritrovare più giuste e migliori. Il mondo è bello perché è vario, ma anche avariato, e forse certa gente farebbe meglio a non pensare affatto. Questo pezzo di paradiso io e i miei amici lo chiamavamo Vinland. Il nome significava letteralmente terra del vino, così i vichinghi guidati da Leif Erikkson chiamarono l’isola che scoprirono in America, molto prima di Cristoforo Colombo, che definita come ospitale e con clima mite. Quel giorno ci andai da solo, avevo tanto da pensare su me stesso e la mia vita. Decisi di spingermi più in là fra le colline rispetto a dove andavamo abitualmente. Speravo di trovare qualche nuovo meandro da visitare con gli amici. Camminai e camminai, addentrandomi in un boschetto, dove sgorgava un ruscello. Camminando per la via dove portava, notai che a un tratto, dall’altra parte del ruscello c’era qualcosa di particolare. Era uno spiazzo pianeggiante, un prato, con tutt’intorno alti alberi come a formare un semicerchio, la cui parte lineare era tratteggiata dal ruscello. E in mezzo a questo spiazzo c’era un enorme masso. Era enorme, e ancor più strano, perfettamente liscio. Era bianco con striature nere, sembrava un enorme blocco sferico di marmo. Saltai per attraversare il ruscello e rischiai quasi di cadere, quando mi ritrovai di fronte a quel masso. Mi venne l’istinto di toccarlo, e subito dopo vidi che comparve come un’ombra su di esso. Alzai lo sguardo e vidi un enorme figura umana che fluttuava sopra di me. Non credevo ai miei occhi, che rimasero spalancati a fissare quella figura, che piano piano si abbassò dal volo sedendosi sopra il masso con le gambe incrociate mentre mi squadrava dall’alto al basso.
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Rimasi a fissarlo impietrito, quando la figura, con una voce calma e rassicurante ma allo stesso tempo anche strafottente e divertita, mi rivolse la parola.
- “Non devi avere paura solo perché non hai mai visto un dio”
- “Un Dio. Sono Hermes, al tuo servizio, mai sentito parlare di me? Impossibile”
Rimasi sbalordito. Mi ricomposi un attimo, squadrai per bene chi avevo davanti, e notai che effettivamente ci assomigliava. Aveva un fisico scolpito, come nelle statue che raffiguravano lui e lui e gli altri Dèi. In testa portava il suo iconico petaso, con due rigogliose ali dorate. In corpo portava una tunica bianca che gli copriva soltanto le gambe sopra le ginocchia, e che era aggrappata alla sua spalla destra. Ai piedi i suoi classici calzari alati, anch’essi ornati con due ali dorate. Mancava il suo caduceo.
- “Non ti manca il tuo bastone?”
Come per magia, con un fascio di luce apparve splendente nella sua mano destra.
- “Di solito non lo tengo in mano, è ingombrante.”
- “E invece sono qui in carne e ossa”
- “Ma che cazzo… Non sei solo una leggenda?!”
- “Sì che lo sono, ma da quando è arrivato il cristianesimo tutti ci hanno smesso di credere, in me e agli altri dèi dell’Olimpo. E quindi che dio sei se non hai seguaci che credono in te? Ognuno di noi si è ritirato a vita privata e io vivo qui. Mi piace questo posto, lo preferisco di gran lunga alle città del giorno d’oggi. Quando ero un dio rispettato e adorato, le città che abitavano gli umani erano molto più spoglie e soprattutto in contatto con la natura. Mi ha sorpreso vedere un essere umano, non ne vedevo uno qui da almeno 500 anni”
Non sapevo come rispondere. Intanto scese dalla roccia e mi si parò davanti. Avevo un dio greco davanti ai miei occhi. Non è qualcosa che capita tutti i giorni, insomma. Rimasi sbalordito, non riuscivo a dare una spiegazione di come fosse possibile. Lui, Hermes, un tempo prode messaggero degli dei, che aveva salvato Zeus restituendogli i tendini che Tifone gli aveva rubato, che il giorno stesso che nacque già era abbastanza intelligente da riuscire a ingannare Apollo, che portava le anime dei mortali nell’ Ade, che insomma era uno dei dodici dèi dell’Olimpo, ora invece si era ritirato a vita privata vivendo in un posto dimenticato. Rimasto a socializzare con un sedicenne qualsiasi che stava facendo una passeggiata. Davanti a me sentivo qualcosa, come se fosse un’aura proveniente da lui, che mi confermava che davanti non avevo una semplice persona. Se per un attimo rimasi sconvolto dalla mia visione, non durò a lungo lo stupore. Infatti, l’aura che emanava, inspiegabilmente mi infondeva sicurezza e tranquillità. Era così tranquillizzante, che era come se fosse qualcosa che si vede tutti i giorni, e la sua voce calma e decisa mi dava l’idea di star parlando con qualcuno che conosco da una vita. Mentre parlava, ogni tanto sogghignava, aveva una smorfia divertita e compiaciuta, sembrava quasi che non aspettasse altro che incontrarmi.
- “Io ci abito qui, tu invece cosa ci fai da queste parti? Di solito gli umani non passano così lontano fino ad arrivare qui”
- “Ero preso dai miei pensieri, e camminare mi allevia lo stress e mi aiuta a riflettere, e questo è il mio posto preferito per ragionare”
- “Cosa ti turba mio mortale amico?”
Per un attimo mi fece strano che un dio mi desse così tanta confidenza da chiamarmi addirittura amico, ma ciò non fece altro che infondermi ancora più tranquillità, e quindi decisi di parlare e di raccontargli quello che mi farfugliava in mente. Questa scelta cambiò tutto.
- “Beh, veramente tante cose. Certe volte sono in sovrappensiero e vorrei trovare una risposta a delle domande che mi faccio. Di vario genere, di vario tipo. Vorrei delle risposte”
- “Pensavo fossi il dio dei ladri e il messaggero degli dèi, non un filosofo”
- “Beh viaggiando tanto e conoscendo tante persone, impari sempre qualcosa di nuovo. Da ogni persona che incontri puoi imparare qualcosa. E io ho conosciuto tante persone e tanti punti di vista. Posso aiutarti a trovare delle risposte se vuoi”
- “Beh, se non hai di meglio da fare”
2
Forse non avrei dovuto rispondere così a un dio. Forse avrei dovuto essere la persona più grata sul pianeta e dimostrarglielo facendo qualche sorta di sacrificio. Forse si sarebbe adirato per il poco gradimento dell’enorme onore che mi ha rivolto. Forse con una frase mi sono giocato l’occasione più grande della mia vita e sarei anche stato punito per la mia sfrontatezza. E invece no. Cacciò dalla tunica un pacchetto di sigarette, se ne prese una e se la mise in bocca, poi allungò il braccio con il pacchetto in mano e mi chiese se ne volessi una. Rimasi esterrefatto.
- “Ma come, tu che sei l’emblema della velocità con i tuoi calzari alati, tu che dovresti essere sempre in movimento per viaggiare da un luogo all’altro, fumi?”
Si tolse un’attimo la sigaretta dalle le labbra e mi rispose come se gli avessi chiesto qualcosa di scontato e banale.
- “Che c’è di male? Io sono immortale, i miei polmoni e i miei organi si rigenerano all’infinito quindi posso permettermelo e posso tranquillamente fare quello che faccio sempre. Ne vuoi una?”
Non aveva tutti i torti. Accettai. Era una normalissima Winston Red, ma data da un dio dava tutt’un altro effetto.
- “Ti mostri agli umani per comprarle?”
- “Sono il dio dei ladri e posso muovermi a velocità sonica. Secondo te?”
- “Ah già, immaginavo. Winston Red, bella scelta.”
Me la ficcai in bocca. Hermes allungò il dito indice sulla punta della sigaretta, ed essa si accese. Poi fece lo stesso con la mia. Inspirai. Inalai. Espirai. Era una sigaretta come le altre, ma dava un effetto diverso. Non era la mia prima sigaretta. E sapevo che non sarebbe neanche stata l’ultima. Anche Hermes fece un tiro godendosi la sua, che già aveva fatto arrivare a metà. Alzò la testa come se stesse guardando qualcosa in alto ed espirò il fumo. Poi inclinò lo sguardo, e passò dall’avere un’ espressione quasi addormentata e strafottente ad uno sguardo serio. Mi guardò per bene negli occhi come se stesse cercando di scrutarmi l’anima, e prese a parlarmi con un tono più alto e con la voce più profonda.
- “Io posso permettermelo. Io sono un dio. Tu perché fumi? Non è possibile che nessuno ti abbia mai spiegato quanto faccia male e quanto ti renda dipendente. Come hai iniziato? E perché?”
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