La porta d’ingresso si aprì lentamente, l’aria della stanza sembrò improvvisamente appesantirsi.
Una donna anziana varcò la soglia con passo esitante. Indossava un cappotto scuro, troppo pesante per la stagione, un velo sottile di trucco cercava inutilmente di nascondere le profonde occhiaie che le segnavano il viso. Una signora elegante, Marco notò la pochette, le decolté con 5 cm di tacco. Dietro di lei, avanzava un cane.
Marco si bloccò nel momento in cui lo vide.
Era un pastore tedesco, grande e imponente, muscoloso, con una coda folta e il manto nero con focature brune, di lunghezza media, ma sporco di fango e polvere, come se fosse rimasto all’aperto per ore, forse giorni. La sua postura era rigida, ma non aggressiva. Tuttavia, ciò che colpì Marco fu il silenzio.
Nessun abbaio, nessun guaito, nessun ringhio. Solo un’ombra muta che si muoveva accanto alla donna, con lo sguardo fisso a terra.
«Dottore… la prego.» La voce della donna era spezzata dall’emozione. «Dovete aiutarci.»
Marco fece un cenno a Chiara di chiudere la porta per concedere un po’ di privacy alla nuova arrivata. Si avvicinò lentamente, cercando di non intimorire il cane.
«Cosa è successo?» chiese con tono calmo, inginocchiandosi per guardare meglio l’animale.
Gli occhi di Alfie – così lo chiamò la donna – erano profondi, scuri e pieni di qualcosa che Marco non riusciva subito a decifrare. Dolore? Confusione? Paura?
L’anziana signora deglutì e si asciugò una lacrima con il dorso della mano. «È stato lui a trovarlo.»
Marco aggrottò la fronte. «Trovare chi?»
«Mio fratello… Amelio. Morto nella sua villa.»
La stanza sembrò improvvisamente più fredda.
Marco rimase in silenzio per un istante, cercando di cogliere ogni sfumatura nel volto della donna. Il nome Amelio Torrigiani non gli era estraneo. Era un imprenditore noto in città, rispettato e temuto, anche se il suo passato era costellato di voci e ombre.
«Come è morto?»
La donna scosse la testa. «Non lo sappiamo ancora. Io… sono arrivata ieri sera. La porta era chiusa, tutto sembrava in ordine. Ma lui…» Fece un cenno verso Alfie. «Era lì, accanto al corpo. Immobile. Non si muoveva, non faceva un suono. Amelio era disteso a terra, sembra che abbia avuto un malore e picchiato la testa»
Marco guardò Alfie con ancora più attenzione. Il cane non mostrava segni fisici di trauma, ma il suo sguardo era quello di chi aveva visto qualcosa di terribile.
«E non ha abbaiato? Neanche una volta?»
«No. Niente.»
Marco si alzò lentamente. Il suo istinto gli diceva che c’era qualcosa che non quadrava. I cani reagiscono alla morte in modi diversi, ma la totale assenza di suoni, di movimento, di qualsiasi segnale di stress vocale, era insolita.
«Posso visitarlo?» chiese.
La signora che disse di chiamarsi Donatella, annuì debolmente, mentre Alfie restava immobile, come una statua. Marco lo invitò dolcemente a seguirlo nella sala visite, senza tirare il guinzaglio, senza forzarlo. Il cane lo seguì docilmente, senza fare resistenza, ma senza mostrare alcuna emozione.
Una volta dentro, Marco iniziò la visita.
Il battito era regolare, la respirazione normale. I muscoli, però, erano leggermente tesi, segno che il cane era in uno stato di allerta costante. Quando Marco provò a toccargli le zampe anteriori, Alfie le ritrasse di scatto.
«Hm… sei stato nel fango, eh?» mormorò il veterinario, notando la terra ancora incrostata tra i cuscinetti.
Gli occhi di Alfie si spostarono improvvisamente su di lui, come se quelle parole avessero attivato qualcosa nella sua mente. Marco ebbe un brivido.
«Quando l’ha trovato, dov’era esattamente?» chiese a Donatella, senza distogliere lo sguardo dal cane.
«Nel salotto principale. Accanto al camino.»
«E Alfie era vicino a lui?»
«Sì. Seduto accanto a lui. Come se… lo vegliasse.»
Marco sentì un nodo stringergli lo stomaco. C’era qualcosa di strano, qualcosa che il cane sapeva e che lui non riusciva a comprendere.
Provò ad accarezzarlo, ma Alfie non reagì. Tuttavia, quando Marco si alzò per annotare qualcosa sulla cartella, il cane fece un passo in avanti, verso di lui.
Un passo appena percettibile, ma sufficiente perché Marco se ne accorgesse.
Era un segnale.
Un tentativo disperato di comunicazione.
Marco si voltò e incrociò lo sguardo di Alfie. «Tu vuoi dirmi qualcosa, vero?» sussurrò.
Il cane lo fissò per un lungo istante. Poi, senza un suono, abbassò la testa, come se avesse perso la speranza.
Marco si voltò verso Donatella. «C’è qualcuno che potrebbe volere la morte di suo fratello?»
La donna rabbrividì. «Non lo so, dottore… Amelio aveva molti affari, molti nemici. Come tutti i grandi imprenditori. Ma io pensavo che ormai avesse chiuso con certe storie.»
«Che tipo di storie?»
Donatella esitò. «Affari… alleanze poco chiare. E poi c’erano i figli.»
«I figli?»
«Vivono all’estero. Non hanno mai avuto un buon rapporto con lui.»
Marco rimase in silenzio per qualche istante. Poi si voltò nuovamente verso Alfie.
Se c’era qualcuno che aveva assistito a quella morte, quel qualcuno era proprio lui.
E lui non abbaia.
«Voglio vederlo di nuovo domani,» disse Marco. «Voglio capire cosa gli passa per la testa.»
Donatella annuì debolmente. «Lo riporterò dottore. Sono molto preoccupata per quanto è successo. Io e mio figlio siamo gli unici parenti di Alfie ancora in Italia, non so se saremo in grado di occuparcene». Le lacrime iniziarono a scorrerle lungo il viso. Già profondamente rigato da ore di pianto.
Quando se ne andarono, Marco rimase immobile nella sala visite per qualche secondo.
Aveva trattato migliaia di animali nella sua carriera, ma mai nessuno come Alfie.
Quel cane era un enigma.
E lui aveva intenzione di risolverlo.
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