La neve cadeva sottile, leggera, adagiandosi sulla torre e sulla donna lì in piedi, con lo sguardo rivolto verso il cielo uggioso. Il suo mantello nero svolazzava al vento, sospinto da una leggera brezza invernale, e i suoi lunghi capelli argentati volteggiavano nella fredda aria mattutina. I fiocchi le accarezzavano appena il volto, sostando per alcuni istanti sulla pelle liscia, priva di imperfezioni, senza trasmetterle alcuna sensazione, come se ormai non le appartenessero più.
La donna spostò lo sguardo verso il basso a contemplare la valle e le foreste che la circondavano. Nonostante la neve fosse assai rara nelle terre meridionali, il paesaggio cominciava lentamente ad imbiancarsi, donando alla valle un effetto desolato e malinconico. Oltre la valle, a centinaia di miglia, si trovava un’imponente catena montuosa visibile anche da quella distanza. Lungo il versante nord delle montagne scorreva il fiume Tarsis, sul quale c’era un largo ponte protetto da una città fortificata. Oltre quel ponte si aprivano le terre dei suoi nemici, dove avrebbe sprigionato tutto l’odio che covava nel profondo del cuore. Il suo potere era cresciuto molto in quegli ultimi anni e l’avrebbe impiegato senza alcun rimorso, sfruttando la tensione che da tempo regnava tra i vari reami.
«Mia signora» disse una voce alle sue spalle, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
La donna rimase immobile, impassibile, con lo sguardo fisso sulle montagne a nord, senza emettere alcun suono. Il servo attese in silenzio, mantenendo gli occhi sulle pietre massicce che formavano il pavimento della torre.
«Parla» disse la donna alla fine.
«La delegazione reale è appena arrivata».
«Molto bene. Falli accomodare nelle stanze degli ospiti, li accoglierò a breve nel salone».
Il servo si inchinò leggermente, salutò e rientrò nel castello. Passarono alcuni minuti e la donna si voltò, raggiunse la scalinata che portava all’interno della struttura e recuperò un bastone in legno lungo sei piedi, appoggiato alla parete. Era completamente liscio, privo di venature, e la parte superiore era composta da un unico pezzo in acciaio scuro e denso. La donna scese la scala a chiocciola fino a raggiungere il salone principale, dove si sedette su uno scanno in solida quercia, grande e vistoso, simile a un trono reale. Alle sue spalle si trovavano due immensi drappi, appesi alle travi del soffitto, raffiguranti il simbolo della sua casata: un globo completamente nero. Fece un cenno al servo che si trovava vicino all’ingresso della sala, ordinandogli di aprire la porta. Quattro uomini alti e con le spade al fianco entrarono a passo svelto, fermandosi a qualche iarda di distanza da lei e disponendosi in riga, chinando il capo.
«Buongiorno, mia signora» disse l’uomo a capo della delegazione.
«Attendevo il re e la sua consorte. Dove si trovano?»
«Non sono qui, mia signora. Il re era impegnato con i nobili e ha mandato noi al suo posto».
«Guardami».
L’uomo sollevò lentamente la testa, posando il suo sguardo sulla donna, e ne osservò i lineamenti così singolari. I capelli erano dritti e lisci, bianchi come la seta, e incorniciavano un volto perfetto e privo di rughe, dalla carnagione chiarissima. Le ciglia e le sopracciglia, bianche anch’esse, sovrastavano due grandi occhi grigi, tendenti al ghiaccio, colmi di intelligenza. Le labbra erano sottili, di un rosa chiaro, immobili in un’espressione impassibile. Al mondo esistevano pochissime persone albine come lei, ma nessuna era in grado di incutere il suo stesso timore.
«Non sopporto le menzogne» sibilò la donna poco dopo, stringendo con forza il bastone.
«Mia signora, vi ho detto la verità, ve lo assicuro!»
«Bugiardo!»
La donna pronunciò una parola sottovoce e sulla parte superiore del bastone si materializzò una sfera oscura, simile alle ombre. Abbassò poi l’asta, mirò verso l’uomo che aveva davanti e gli scagliò il globo, disintegrandolo all’istante. L’attacco fu così rapido e diretto che il delegato non ebbe nemmeno il tempo di urlare o di rendersene conto. Di lui non restava più nulla, se non un mucchietto di ceneri sparse sul pavimento.
«Se volete vivere vi conviene dirmi la verità» disse la donna disperdendo le ombre dal bastone.
I tre uomini annuirono vigorosamente, emettendo dei piccoli versi disperati mentre guardavano il luogo dove fino a un attimo prima si trovava il loro compagno.
«Ripeto la mia domanda: dove si trova il re?»
Nessuno dei delegati riuscì a parlare, ancora bloccati dal panico che avvertivano nelle membra.
«Rispondete!» tuonò la donna.
L’uomo più a destra cedette alla paura e crollò a terra privo di sensi, inarcandosi all’indietro. Gli altri due lo guardarono preoccupati, spostando lo sguardo da lui alla donna e viceversa, temendo cosa sarebbe potuto succedere.
«Rispondete alla mia domanda, altrimenti eliminerò anche lui».
«Si trova nel suo palazzo, a Vorsùt» disse tremando il delegato di sinistra.
«Per quale motivo non è qui davanti a me?»
«Temeva la vostra reazione al messaggio che vi abbiamo portato» disse l’uomo tremando e temporeggiando per alcuni istanti. «Il re vi comunica che ha qualche riserva sull’imminente impresa».
«Credo che ormai sia tardi, delegato, l’impresa è già iniziata».
«Ne siamo a conoscenza, ma forse siamo ancora in tempo per annullarla».
«Annullarla?» urlò la donna alzandosi in piedi di scatto.
L’uomo abbassò lo sguardo terrorizzato, iniziando a singhiozzare in silenzio. La donna restò immobile per alcuni istanti, mentre i suoi occhi spargevano rabbia e odio in ogni direzione, per poi tornare a sedersi sullo scanno, riacquistando la sua compostezza.
«Sono tre anni che prepariamo questa impresa e il re era d’accordo con me sin dall’inizio».
«La regina è preoccupata per i suoi figli, teme per le loro vite» disse il delegato.
«Dovevano pensarci prima. Dove sono i soldati che mi aveva promesso? Dovevano essere qui la settimana scorsa».
«Sono pronti, mia signora, ma non hanno ancora ricevuto l’ordine di partire».
«Tornate subito dal vostro re» tuonò la donna adirata «e ditegli di far partire subito i miei dannati soldati. Altrimenti verrò a Vorsùt di persona a ricordargli chi comanda in queste terre! E portate con voi quel dannato smidollato» aggiunse poi indicando l’uomo disteso a terra.
I due delegati annuirono contemporaneamente, raccolsero il loro compagno e uscirono correndo dal salone. La donna lanciò un urlo di sfogo, rilasciando tutta la rabbia che aveva accumulato in quel breve colloquio con la delegazione reale. Si sentì frustata, quasi tradita, da quelle persone piccole e senza fegato, capaci solo di nascondersi dentro le mura dei loro castelli. Doveva fare tutto da sola, come sempre, obbligando e forzando chi non aveva il coraggio di agire.
«Mia signora» disse un servo alla sua destra.
«Cosa vuoi?» gridò la donna, senza voltarsi.
Un’aura oscura emerse lentamente dal mantello e dal bastone, simile a una nuvola tempestosa e carica di pioggia. Il suo odio si materializzò, prese forma, e le volteggiò attorno in un turbinare frenetico e minaccioso.
«È arrivato un messaggero dalla flotta».
«Fatelo entrare».
Dalla porta entrò un soldato, in cotta di maglia e tunica nera, che si inginocchiò davanti alla donna seduta sullo scanno. Un brivido di terrore lo percorse lungo la spina dorsale, mentre scrutava intimorito la sua signora pervasa da quell’aura tanto opprimente.
«Le navi dirette al nord sono riuscite a superare la flotta nemica tre giorni fa. Dovrebbero raggiungere il villaggio domani» disse il soldato vincendo a stento la paura.
«Molto bene, finalmente una buona notizia» disse la donna mentre l’aura oscura rientrava nel suo corpo. «Rifocillate quest’uomo e il suo cavallo».
Il servo si inchinò ed uscì dall’immensa sala facendo strada al soldato, lasciando la donna da sola in un silenzio assoluto. I suoni dei lavori quotidiani svolti nel castello non la raggiungevano, come se si fosse isolata dentro sé stessa. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, controllando l’odio che dimorava nel suo cuore e la rabbia che le avvelenava l’anima. I ricordi del passato le tornarono in mente con prepotenza, facendole rivivere ogni ingiustizia vissuta, dalla sua infanzia infelice fino al massacro della sua famiglia. Il ricordo di quella notte infausta prese il sopravvento: i corpi dilaniati abbandonati sulle pietre del castello, i volti straziati dalla morte, la disperazione nei suoi occhi colmi di lacrime. E quei due giovani uomini, con i capelli e gli occhi neri come la notte più scura, indecisi sulla sua identità e sul cosa farsene di lei.
La donna riaprì lentamente gli occhi, allontanandosi dai ricordi, avvertendo l’odio e la vergogna montare dentro di sé. Si sentì in colpa per essere l’unica sopravvissuta di quella notte, per non aver trovato la forza di combattere, per essersi nascosta nel momento del bisogno. Aveva deluso la sua famiglia, cercando di sopravvivere a qualunque costo, voltando le spalle a tutti. Con un’espressione fredda e adirata, la donna si alzò dallo scanno e si diresse verso la biblioteca, trovandovi all’interno una ventina di ragazzi e ragazze, con età comprese tra i quindici e i venticinque anni. Ciascuno di loro era immerso nella lettura di un volume, alcuni dei quali erano illuminati da una strana luminescenza colorata.
«Buongiorno mia signora» dissero in coro i ragazzi, interrompendo la lettura.
«Non distraetevi» urlò la donna «continuate a studiare!»
I ragazzi si zittirono e ripresero a leggere terrorizzati. La donna proseguì la sua camminata furiosa, spalancò una piccola porta in legno ed entrò in una stanza spoglia e priva di finestre. All’interno si trovava soltanto uno scrittoio, ormai consumato dal tempo, con sopra un volume avvolto da uno straccio di pelle morbida. La donna si sedette su una piccola poltrona davanti allo scrittoio e con estrema cura scostò i lembi dello straccio, portando alla luce un libro nero come le ombre. Chiuse nuovamente gli occhi, riportando alla mente l’immagine della sua famiglia massacrata e dei due uomini che la troneggiavano trionfanti.
«Padre, madre, fratelli e sorelle» sibilò a bassa voce «finalmente potrò vendicarvi».
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